Testo che se ha un limite è la mancanza di sintesi e di una conclusione: i molti spunti rimangono eterogenici, la diversità talvolta contraddittoria permane disorganica e frammentaria.
Rimane irrisolto, ad esempio, come si concilino le seguenti quattro affermazioni ravasiane, due favorevoli allo spazio (1 e 4) e due nettamente contrarie (2 e 3):
- C'è, dunque, nel cristianesimo una celebrazione costante dello spazio come sede aperta al divino, partendo proprio da quel tempio supremo che è il cosmo.
- Detto questo c'è però nella concezione cristiana una componente molto pesante che - come si diceva - sposta il baricentro teologico dallo spazio al tempo.
- Tra Dio e uomo non è più necessaria nessuna mediazione spaziale; l'incontro è ormai tra persone, si incrocia la vita divina con quella umana in modo diretto.
- Il tempio architettonico sarà, quindi, sempre necessario, ma dovrà avere in sé una funzione di simbolo: non sarà più un elemento sacrale intangibile e magico, ma solo il segno necessario di una presenza divina nella storia e nella vita dell'umanità.
Il mondo è creato da Dio che lo affida alle cure dell'uomo, così il cosmo diventa la casa in cui l'uomo vive. Il mondo è il primo tempio, il cui architetto è Dio stesso.
Non il divino generico, anonimo e vago che ritorna più volte nel testo ravasiano, ma il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio di Mosè e dei profeti e finalmente il Dio di Gesù Cristo. Come è scritto nell'incipit della Lettera agli Ebrei:
Egli, Creatore di tutto ciò che esiste mediante il suo Verbo (Gen 1; Gv 1), è il Luogo in cui il mondo creato e gli uomini, sue creature predilette, sono ospitati.
Dio ha il primato assoluto, sia rispetto al divino impersonale, una pallida riduzione della sua infinita ricchezza, potenza e gloria ad una categoria, mero oggetto del pensiero; sia rispetto all'uomo con-creatore (Tolkien) il quale partecipa all'intelligenza e libertà divine, essendo creato "ad immagine e somiglianza di Dio", ma rimanendo una creatura, un essere finito, definito dallo spazio e dal tempo. Quindi, la creatività umana, come anche la sua intelligenza e la sua libertà, sono finite, non sono assolute.
Ciò significa che l'uomo sarà sempre in cerca di Dio e del suo luogo; sempre perché Dio non si lascia circoscrivere da nulla, ma tutto circoscrive, come recita la cantilena ebraica: "Egli, Dio, è il Luogo di ogni luogo, / eppure questo Luogo non ha luogo".
Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua grazia è come il fiore del campo (Isaia 40,3) |
La finitezza che qualifica la creatura in tutte le sue fibbre e facoltà, lungi dal costituire una catena pesante che deve essere scrollata di dosso, è l'essenza propria della creatura, unica opportunità che essa ha di vivere.
La creatura umana, grazie all'intelligenza di cui è dotata, può leggere il libro della natura scritto in elegante linguaggio matematico (Galileo). Grazie alla libertà può usare le conoscenze per custodire il Giardino affidatole, può essere ispirata e così creare opere artificiali, utili e belle.
Quì si pone il primo problema, poiché la libertà umana, se rimane umile si lascia ispirare dallo Spirito di Dio, viceversa se si inorgoglisce viene ispirata dallo spirito del mondo.