domenica 24 aprile 2011

Triduo Pasquale 4. Terzo giorno

"A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto, cioè
  che Gesù è morto per i nostri peccati secondo le Scritture
  e che fu sepolto
  e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici"
(1Cor 15,3-5)

   Il Triduo Pasquale è compiuto con il notturno ingresso nella santa Domenica di Pasqua, è concluso dalla celebrazione della Veglia Pasquale che è notturna e tetramorfa.
Matthias Grunewald, anta destra del Polittico di Isenheim, 1515
   Matthias Grunewald, nel pannello dedicato alla Resurrezione dello splendido polittico dipinto per l'altare di Isenheim, coglie e valorizza la natura notturna della resurrezione di Gesù dai morti. Il Risorto si staglia nitido e sfolgorante sullo sfondo più che scuro della notte del mondo, sullo sfondo tenebroso del male, Egli è la Luce che brilla nelle tenebre "e le tenebre non l'hanno vinta" (Gv 1,5) perché il Dux vitae ha vinto il peccato e la morte, è la prima Parola detta da Dio, prima opera di Dio prima del peccato e primogenito dai morti dopo il peccato: Cristo risorto è il centro del mondo, comunque. La natura notturna della Veglia Pasquale è implicita nel nome stesso di Veglia; infatti, vegliare implica la sospensione del ciclo ordinario sonno/veglia con l'astensione dal dormire, attività che normalmente avviene nelle ore notturne e che ha un evidente significato simbolico affine alla morte. Il vegliare di questa notte, a differenza del vegliare la prima notte del Triduo, è la prima partecipazione alla resurrezione di Gesù: "Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà" (Ef 5,14). Chi dorme viene risvegliato dal Cristo Luce del mondo, ed essere risvegliato equivale a venire risuscitato, resurrezione che procede per gradi: ora, finchè si vive nel corpo, resurrezione dell'anima dalla morte spirituale del peccato, alla fine del mondo resurrezione del corpo dalla morte fisica. Cosicchè la sacra convocazione per vegliare nella terza notte introduce al Lucernario, primo atto della Veglia Pasquale.

El Greco, 1596-1600
 Anche Dominikos Theotokopoulos, alias El Greco, colse il carattere intimamente notturno della resurrezione di Cristo, soggetto che dipinse più volte sempre mantenendo alcuni elementi costanti. Il Risorto emerge tranquillo e potente, misericordioso e tremendo, come un fiotto di luce bianca e pura dal caotico groviglio di corpi sia dei soldati messi a guardia di un morto, raffigurati tramortiti e sconfitti, sia dei morti e dei morituri, rappresentati risorgenti in Lui, come dice l'apostolo Giovanni: "E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12,32).
 La Veglia è tetramorfa, ovvero si svolge in quattro liturgie che si susseguono l'un l'altra:
  1. il Lucernario o Liturgia del fuoco
  2. la Liturgia della Parola
  3. la Liturgia battesimale
  4. la Liturgia eucaristica
Sembra abbastanza evidente che i quattro elementi della cosmologia antica, fuoco, aria, acqua e terra, sono l'ordito dei quattro movimenti che scandiscono la sinfonia di questa notte santa. Così tutto il creato glorifica Dio perché ha risuscitato Gesù, la morte è vinta, il peccato del mondo è perdonato, tutte le creature del cielo, della terra e degli inferi cantano ed esultano di gioia perché il Figlio prediletto che era morto è vivo e lo è per sempre: "Dio lo ha risuscitato" (At 2,24.32; 3,15; 4,10; 10,40; 13,30.34.37; Rom 10,9).

Altdorfer Albrecth, 1516

Il fatto storico della resurrezione di Gesù Cristo è il fondamento della fede sul quale poggia tutto il cristianesimo e tutta la Chiesa, è la pietra angolare posta da Dio Padre a reggere l'intero universo, a dare stabilità e saldezza alla fede divina di Simon Pietro, è il fuoco che arde nel cuore di Dio fin dalla fondazione del mondo ed ora divampa nel cuore delle notte santa fuori dalla chiesa, nello spazio profano antistante la porta d'ingresso, nel giardino appena fuori della città dove l'avevano sepolto. Il fuoco nuovo che è acceso nella notte è il primo segno sacramentale dell'amore, della passione di Dio per gli uomini: "le sue vampe sono vampe di fuoco, fiamma divina!" (Ct 8,6). Quando di notte un fuoco è acceso, spontaneamente ci si raccoglie attorno, animati dalla stessa curiosità di Mosé quando vide il roveto ardente: "Voglio avvicinarmi per osservare questo grande spettacolo: perchè il roveto non brucia?" (Es 3,3) e la maestosa rivelazione del Nome di Dio fu su di lui, non prima di averlo chiamato dal roveto per ordinargli di restare a piedi nudi: "perchè il luogo sul quale tu stai è suolo santo!" (Es 3,5). La penitenza quaresimale ci ha insegnato a toglierci i sandali dai piedi, come ancora si deve fare per entrare in una moschea! Non solo per il sommo rispetto che dobbiamo al luogo santo in cui siamo quando preghiamo, al cospetto di Dio, ma anche perché il Signore e Maestro Gesù ci possa lavare i piedi ed esser da lui purificati (Gv 13,4-10). Al Fuoco nuovo e benedetto è acceso il Cero pasquale che rappresenta il Cristo risorto e poi si svolge il rito cosmogonico cristiano: la chiesa vuota e buia, come vuota e buia era la terra in principio, quando Dio pronunciò in quel primordiale silenzio tenebroso la sua prima parola: ""Sia la luce!". E la luce fu" (Gen 1,3) che squarciò le tenebre ed i silenzi che l'avvolgono, rivelando il Figlio, rivelato dal Figlio. E dietro al Cristo di Dio Luce del mondo, ecco i figli della luce che pian piano riempiono la chiesa e gettano fuori le tenebre del peccato dalla propria vita e dalla chiesa, riempiendole di luce, lasciandole riempire dalla "Luce di Cristo", triplice grido con cui il Servo del Signore, rappresentato dal diacono che reca il Cero pasquale, ha vinto "le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco" (Preconio). Questo è infatti il significato sacramentale del Cero pasquale, raffigurare la colonna di fuoco che guidò i nostri padri nella fede nell'esodo, per loro dall'Egitto, per noi dal peccato.

Bassano Francesco, 1584-88

 Nella chiesa tutta illuminata dalla Luce di Cristo risorto, ora risuona la voce delle Scritture, secondo le quali egli è risorto dai morti (cfr. 1Cor 15,3). La resurrezione di Gesù è il senso ed il fondamento di ogni proclamazione della Parola di Dio nella Liturgia: tutto ciò che è celebrato dalla Chiesa ha il suo fondamento storico-salvifico nella divina Resurrezione di Gesù nostro Signore. Perciò la Chiesa nostra madre proclama in questa notte santa nove letture, per spiegare ai fedeli che la fede in Gesù Cristo morto e risorto, non è una pia illusione, ma è fenomeno accaduto conformemente alla divina volontà, ovvero "secondo le Scritture" che spiegano la resurrezione di Gesù, come Lui risorto spiega le Scritture.
Così la prima lettura (Gen 1,1-2,4) mostra il Verbo creatore che diventa ricreatore del mondo grazie alla resurrezione di Gesù, con la quale riempie il cielo, la terra e gli inferi della sua Luce vivificante.
La seconda lettura (Gen 22,1-18) getta uno sguardo furtivo sul mistero abissale di Dio Padre che non risparmiò suo Figlio per noi, ma lo diede al mondo una prima volta nella creazione, una seconda volta nell'incarnazione, è una terza volta con la resurrezione.
La terza lettura (Es 14,15-15,1) racconta la natura comunitaria della salvezza, dentro il Popolo di Dio si è immersi nell'oceano della Grazia divina, la liberazione dal peccato.
La quarta lettura (Is 54,5-14) descrive la natura universale della salvezza, perché l'amore del Redentore è immenso e perenne, riguarda tutti e per sempre.
La quinta lettura (Is 55,1-11) sollecita la libertà umana ad accogliere la salvezza gratuita e a cercarla senza sosta, perchè i pensieri e le vie del Signore misericordioso sono diversi dai nostri.
La sesta lettura (Bar 3,9-15.32-4,4) annuncia che la via della sapienza è stata rivelata a Israele, è la legge che sussiste in eterno.
La settima lettura (Ez 36,16-28) contiene la promessa del rinnovamento interiore del popolo di Dio mediante il trapianto cardiaco che renderà fattibile l'obbedienza filiale.
L'epistola (Rom 6,3-11) illustra l'opera salvifica del battesimo che ci unisce al destino di Cristo Gesù.
Il Vangelo (Mt 28,1-10) colloca la visita delle donne alla tomba in un contesto teofanico, l'Angelo del terremoto con gesti e parole proclama l'evento della resurrezione e prepara all'incontro con il Risorto.

Rubens Pieter, 1616
   L'abbondante annuncio della Parola di Dio ravviva la memoria assopita dei credenti, riscalda i cuori freddi e tristi con le focose parole d'amore di Dio a noi e introduce tutto il popolo di Dio all'opera di rigenerazione interiore che culmina nella liturgia battesimale. I catecumeni oggi diventano pienamente cristiani, immersi dalla Chiesa nel crogiuolo dell'amore Trinitario, mentre coloro che sono già cristiani confermano l'adesione a Cristo morto e risorto. In questo processo cosmo-antropogenetico tutta la Comunione dei Santi è coinvolta, l'opera spirituale della cristificazione dell'uomo e del cosmo, infatti, conta più sulla preghiera dei Santi che sui nostri miseri sforzi.Infine, dopo aver rigenerato tutto il popolo di Dio nel nucleo originario della fede, il popolo sacerdotale consuma le nozze mistiche, unendosi all'Agnello immolato, al Cristo morto e risorto che con la sua morte e resurrezione ha istituito e consacrato il santissimo sacramento dell'Eucaristia, farmaco d'immortalità, banchetto del Regno, festa di nozze.

Triduo pasquale 3. Visione a 360° della Santa Domenica

"A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto, cioè
  che Gesù è morto per i nostri peccati secondo le Scritture
  e che fu sepolto
  e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici"
(1Cor 15,3-5)

Icona copta, XX sec.

  La Domenica di Resurrezione è il giorno più misterioso dell'anno liturgico, non si lascia ingabbiare in una definizione chiara ed esauriente, essendo simultaneamente e senza contraddizione:
  1. il terzo giorno
  2. il primo giorno
  3. l'ottavo giorno
   Non meravigliamoci se un solo giorno viene chiamato con tre nomi diversi, razionalmente inconciliabili.
Il mistero di cui i tre nomi sono eco sonora è celebrato da tre celebrazioni, le quali non esauriscono il supremo mistero della resurrezione di Gesù che dà fuoco e sostanza alla Chiesa in toto, infatti, la resurrezione di Gesù è:
  • causa della sua fede nel Dio che ha risuscitato Gesù dai morti
  • oggetto dell'annuncio e motore della missione universale
  • potenza salvifica operante nei sacramenti e nella preghiera
  • attesa che anche la materia sia coinvolta nella resurrezione
  • e molto altro ancora...
 Come il Sabato santo è la silenziosa cerniera interna al Triduo Pasquale, così la Domenica di Risurrezione è la cerniera tra la Quaresima e la Pasqua, tra il tempo storico e l'eternità, tra il mondo vecchio che sta morendo e il mondo nuovo che sta nascendo. Essa è misteriosa: qualcosa di completamente nuovo e inaspettato sorge dalle ceneri dell'uomo vecchio, l'umanità che ben conosciamo cede il passo ad un uomo nuovo, insolito e sorprendente. Il mito della Fenice, anche nella variante russa dell'Uccello di fuoco, lo racconta.

Lullaby e l'inno finale ultimo movimento dalla Suite L'uccello di fuoco,
Igor Stravinsky dirige la New Philarmonia Orchestra

 Pur sapendo che solo con la futura resurrezione della carne godremo pienamente della resurrezione, un mistero così inesauribilmente ricco e glorioso viene celebrato annualmente dalle tre celebrazioni della Santa Domenica di Resurrezione:
  1. la Veglia Pasquale
  2. la Messa del giorno
  3. la Messa vespertina
La prima di queste celebrazioni è la grande, santa e gloriosa Veglia Pasquale, la sola delle tre celebrazioni che di per sè attiene al Triduo Pasquale, concludendo con la gloria della resurrezione la celebrazione della passione, morte e sepoltura di Gesù Cristo scandite nei precedenti due giorni santi del Triduo e dando il sospirato congedo al Popolo santo di Dio che ha celebrato i misteri pasquali della propria rigenerazione, anche iniziando i catecumeni eletti. La seconda celebrazione della Domenica di Resurrezione è la Messa del giorno che di per sé illumina il santo mistero del Primo giorno della settimana. La terza celebrazione è la Messa vespertina che illustra il significato del terzo nome di questo giorno santissimo l'Ottavo giorno della settimana.

sabato 23 aprile 2011

Triduo pasquale 2. Sabato santo

"A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto, cioè
che Gesù è morto per i nostri peccati secondo le Scritture  
e che fu sepolto"
(1Cor 15,3-4)
Sepoltura di Cristo, Icona del XV sec.
   Il Cristo, avvolto dalle bende del sudario, è steso nel sepolcro, solo il suo volto è ancora visibile tutto abbracciato dal volto di sua Madre che nel proprio volto è tutta protesa al Figlio che ora giace nel sepolcro del ricco benefattore. E dopo Maria sua madre, ecco Giovanni, discepolo amato di Gesù e nuovo figlio della Madre perché amato dal Figlio suo e il primo figlio adottivo di Maria, ecco Giuseppe d'Arimatea, autorevole e ricco membro del Sinedrio che ottenuto da Pilato il cadavere di Gesù offre la propria sepoltura, realizzando così la profezia di Isaia sul Servo sofferente: "con il ricco fu il suo tumulo" (Is 53,9). Dietro a lui, svetta Nicodemo, notturno discepolo di Gesù portatore di mirra ed aloe per il pietoso ufficio della sepoltura; seguono tre pie donne che han varia identificazione nei Vangeli: "Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe e la madre dei figli di Zebedeo" (Mt 27,56), oppure: "Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e Ioses, Salome" (Mc 15,40), infine: "la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Magdala" (Gv 19,25).
   Il Sabato santo è il giorno cardine del Triduo Pasquale, infatti articola tra loro il Venerdì santo e la Domenica di Resurrezione, cioè distingue ed unisce. Dal punto di vista linguistico ciò viene espresso dalla congiunzione tra i due articoli di fede: "Gesù è morto e risorto", congiunzione che afferma l'identità di Colui che è risorto con Coui che è morto, punto sul quale dovrà insistere il Verbo incarnato, apparendo ai discepoli: "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!" (Lc 24,39). Ciò dirà il Risorto il primo giorno della settimana, mentre oggi siamo ancora nel giorno settimo, quando Egli ancora riposa cadavere nella tomba. Da ciò si vede l'importanza capitale di questo giorno santo e benedetto, senza il quale non è possibile articolare la fede e la speranza cristiane, senza il quale non c'è né preghiera, né sacramento, né fede, né speranza.
   L'oggetto teologico del Sabato santo è la sepoltura di Gesù; sepoltura che più precisamente riguarda solo il  suo cadavere ed include la discesa agli inferi della sua anima immortale e la restituzione al Padre del suo spirito. In questo giorno santo si realizza la profezia di Gesù: "Ma verranno giorni in cui lo lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno" (Mc 2,20). Veramente lo Sposo è tolto; veramente la Chiesa è vedova; perciò in questo giorno gli invitati a nozze digiunano.
   Di conseguenza l'oggetto liturgico di questo giorno santo è sui generis, perché essendo venuto a mancare il soggetto primo della Liturgia cristiana, il Figlio incarnato di Dio, l'oggetto della Liturgia, la glorificazione di Dio non può compiersi, rimane inespressa nelle gole anelanti, come la prima parola che lentamente si forma sulle labrra dei lattanti ma ancora non esce. Infatti, il soggetto primo della Liturgia, il soggetto unico che la compie e attraverso il Quale la Chiesa ed il cosmo danno gloria a Dio è morto: il Cristo capo ed unico Mediatore della lode e della supplica (cfr. Eb 9,15). Manca il Sommo Sacerdote che guida e presiede il suo corpo nell'adorazione (cfr. Eb 8,1-3), è stato distrutto il Tempio di Dio (cfr. Gv 2,19) e non c'è più il luogo per incontrare Dio, la casa di preghiera è vuota e deserta, tohu wabohu (Gen 1,1) come la terra prima che brillasse la prima Parola di Dio (cfr. Gen 1,3). Nel breve lasso di tempo che intercorre tra il suo decesso sulla croce alle tre postmeridiane del venerdì e la sua resurrezione dalla tomba nella notte tra il Sabato ed il primo giorno della settimana, Egli non è disponibile per alcuno, essendo preda della Morte. C'è solo il suo cadavere privo di vita insufficiente per celebrare la Liturgia. Ecco perché questo è giorno assolutamente a-liturgico: l'Eucaristia non può essere consacrata, non può nemmeno essere distribuita, se non ai morenti sotto forma di viatico, perché l'andare nel regno dei morti è l'unica forma cristica del Sabato santo.
   Il cadavere di Gesù è disponibile solo per essere rapidamente ricomposto ed essere sepolto prima che inizi il Sabato, giorno del riposo di Dio e in Dio dell'uomo. In effetti nel giorno benedetto del Sabato santo giunge a compimento il riposo di Dio e dell'uomo: riposa il Figlio di Dio e riposa anche l'uomo Gesù. Come il Creatore dopo i sei giorni in cui lavorò creando il cielo e la terra nel settimo giorno si riposò, anche il Verbo Redentore dopo i giorni in cui soffrì ricreando il cielo e la terra, si riposò: la terra ricevette e custodì il suo corpo martoriato e crocifisso (cfr. Mt 27,59-60), gli inferi ricevettero e custodirono la sua anima angosciata ed abbandonata (cfr. 1Pt 3,19-20), il Padre che è nei cieli ricevette e custodì il suo spirito umile (cfr. Lc 23,46). Ciascuno custodì una parte di Colui che era "il più bello dei figli dell'uomo" (Sal 45,3) e che per noi tutti è divenuto senza "apparenza né bellezza" (Is 53,2) per poterci rivestirci del suo splendore, "il vestito più bello" (Lc 15,22).
   Il silenzio della terra, il silenzio degli inferi e il silenzio dei cieli ricevettero e custodirono la Parola di Dio che tace; oggi il silenzio è più denso che mai, perché Dio stesso tace, non parla: il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato e tutto di Dio è stato rivelato, entra nel silenzio della morte e del peccato, nei territori impuri del capovolgimento, nel cuore immondo dell'uomo dove lo spirito orgoglioso e superbo del Tentatore fa germogliare quei pensieri che rendono impuro l'uomo e tramite l'uomo corrompono la creazione di Dio. Tace il Padre che accoglie in silenzio l'offerta sacrificale del Figlio : nessun angelo ha fermato il Cristo vero Abramo ed il Cristo vero Isacco morì innocente per tutti. Tace il Figlio che accoglie il silenzio del Padre suo e lo rivela con il suo silenzio. Tace lo Spirito Santo che accoglie il silenzio del Padre ed il silenzio del Figlio, come accoglie la Parola di Dio che è il Figlio per restituirla eternamente al Padre, così lo Spirito Santo accoglie e restituisce l'Un l'Altro il silenzio del Padre e il silenzio del Figlio. Ma non tace la Chiesa che veglia in preghiera.
   E come potrebbe tacere la Madre che perde suo Figlio? Come potrebbe tacere la Donna che perde il suo Sposo? Le loro urla di dolore squarciano i cieli e i cieli dei cieli e svegliano Dio, le loro grida strazianti rieccheggiano per tutta la terra che ne è percossa e scavata: "Rachele piange i suoi figli e non vuol essere consolata perché non sono più" (Ger 31,6; Mt 2,18), fiumi di lacrime sgorgano dai loro occhi, fino a straripare nel terzo giorno dagli occhi di Maria di Magdala: "Donna, perché piangi?" (Gv 20,11.13.15), ma qui ha inizio il mondo nuovo, nel quale "Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi" (Ap 7,17), oggetto del terzo giorno del Triduo pasquale.
   Quali figure bibliche aiutano a penetrare il mistero del sabato santo? Tre ne ho trovate:
  1. Giuseppe
  2. Geremia
  3. Giona
   Nella storia di Giuseppe (cfr. Gen 37.39) molti sono i riferimenti cristologici che mi limito a sottolineare. Giuseppe, il signore dei sogni, figlio prediletto del padre Giacobbe è invidiato ed inviso ai suoi dieci fratelli che ne progettano l'uccisione. Quando egli, inviato dal padre, giunse da loro, lo spogliarono della tunica e lo calarono in una cistera vuota (prima discesa), da dove lo trassero per venderlo come schiavo. Finito in Egitto come schiavo di Potifar (seconda discesa), resistette alle advance della padrona che ingiustamente lo accusò, facendolo imprigionare (terza discesa). Mediante questa triplice umiliazione Giuseppe divenne salvatore di coloro che lo perseguitarono, sia degli egiziani che dei suoi fratelli.
   Geremia fu perseguitato a causa della sua fedeltà alla missione: egli trasmise fedelmente la Parola di Dio e perciò venne gettato nella cisterna e poi custodito in prigione; di fronte al fallimento dell'alleanza mosaica, divenne profeta di una nuova alleanza, fondata sulla promessa divina del trapianto cardiaco per rendere l'uomo capace di fedeltà a Dio.
   Giona fugge dalla propria missione e scende sempre più in basso: prima a Giaffa (Giona 1,3), poi nel fondo della nave (Giona 1,5), infine nel cuore del mare (Giona 1,15; 2,4), sempre più lontano da Dio che viceversa è Misericordioso prima con il suo riottoso profeta e poi con Ninive; Giona diventa suo malgrado il profeta del giudizio misericordioso di Dio. Nel Nuovo Testamento il destino di Giona diventa il segno di Giona non più rivolto ai pagani che credono e si convertono, ma ai vicini che non vogliono credere: "Allora alcuni scribi e farisei gli dissero: "Maestro, da te vogliamo vedere un segno!" Ed egli rispose loro: "Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra" (Mt 12,38-40).

Michelangelo, Profeta Giona, Cappella Sistina

   Questo forse è il motivo per cui Michelangelo pose il profeta Giona come chiave di lettura del ciclo di affreschi della Sistina, sulla verticale del Cristo del giudizio universale. Anche allora, come al tempo di Gesù, come al nostro tempo, alla generazione che pretende un segno non è dato altro che il segno di Giona: "il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra". Segno eloquente nel tacere, auto-evidente nel nascondersi: Gesù non è disponibile, non è manipolabile come un idolo, proprio quando si crede di possederlo, sfugge di mano come il Pesce.

venerdì 22 aprile 2011

Triduo Pasquale 1. Venerdì santo

   Nel primo giorno del Triduo pasquale la Chiesa celebra la passione e morte di Gesù attraverso due celebrazioni distinte ed unite:
  1. la messa in Coena Domini
  2. la Passione del Signore
Michelangelo, Cristo nudo (1495)

   "A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto, cioè
che Gesù è morto per i nostri peccati secondo le Scritture" (1Cor 15,3).

   Questo è il primo articolo di fede ricevuto dall'apostolo Paolo e da lui trasmesso nella medesima forma in cui l'ha ricevuto. Questo è l'oggetto teologico del primo giorno del Triduo, oggetto celebrato nei due momenti. Il fatto storico della morte in croce di Gesù é la pietra d'inciampo universale, rifiutato sia dai giudei che dai greci perché mette in crisi le rispettive immagini di Dio (cfr. 1Cor 1,22-25), viene interpretato grazie a due chiavi di lettura:
  1. per i nostri peccati
  2. secondo le Scritture
   I peccati dell'umanità sono la causa efficiente della croce di Gesù, non la causa finale che è l'amore di Dio Padre per il mondo (cfr. Gv 3,16) e che il Figlio suo accetta di testimoniare sino alla fine (cfr. Gv 13,1). Il peccato del mondo è trasferito dai peccatori, incapaci di liberarsene, all'unico giusto capace di liberarcene, discernendo in ciascun peccatore l'uomo creato a sua immagine dai suoi peccati.
   Le Scritture rivelano che la morte di Gesù in croce avvenne secondo il pensiero di Dio (cfr. Mc 8,33), cosa di per sé difficile da accettare perfino ai suoi discepoli (cfr. Lc 24,19-21). Nella morte in croce del Figlio dell'uomo si realizza la volontà salvifica universale. Ciò che Adamo non riesce a fare, lo realizzò Gesù aprendo così la via di salvezza nella sua carne, grazie alla quale ha perfettamente obbedito al Padre, diventando causa di salvezza eterna per tutti ed esempio da seguire.
   La stessa articolazione tra fatto storico della morte di Gesù e sua interpretazione salvifica è utile per comprendere la stretta relazione tra le due celebrazioni di questo primo giorno del Triduo pasquale:
  1. la messa in Coena Domini è focalizzata sull'interpretazione che Gesù stesso ha consegnato della sua morte imminente come servizio e lavacro
  2. la Passione del Signore è focalizzata sul fatto storico della morte in croce di Gesù
   Tale distinzione tra interpretazione e fatto storico non è rigida ma puramente indicativa. Infatti la Coena Domini non si riduce alla sola interpretazione di Gesù della sua morte imminente, ma consegna pure il triplice memoriale di quel fatto storico: l'Eucaristia, il ministero sacerdotale, il comandamento nuovo dell'amore. Così la Passione del Signore non si riduce alla sola cronaca del fatto storico, ma trasmette anche la sua autentica interpretazione confermata da Gesù e dalle Scritture (Is 53; Sal 22) e che la Chiesa attua nel tempo con la Preghiera universale. Tale Preghiera universale prosegue lungo la storia la preghiera di Gesù (Mc 15; Gv 17), preghiera di Gesù e della Chiesa che ha il suo culmine nel memoriale della pasqua di Gesù (morte e resurrezione) la liturgia Eucaristica.

Otranto, Chiesa di san Pietro (XI sec.)

Messa in Coena Domini
Es 12,1-8.11-14 * Sal 115 * 1Cor 11,23-26 * Gv 13,1-15
   La prima lettura ci presenta il rito pasquale dell'agnello. Nella notte in cui lo sterminatore attraversò la terra d'Egitto per uccidere tutti primogeniti, da quello del faraone al primogenito dello schiavo e del bestiame, passò oltre le case degli israeliti perché segnate col sangue dell'agnello immolato, arrostito ed in fretta consumato. Per l'evangelista Giovanni l'agnello pasquale è Gesù, immolato nell'ora in cui venivano sacrificati gli agnelli pasquali e al quale non venne spezzato alcun osso (cfr. Gv 19,14.33.36), come dichiarò il Battista Gesù è veramente: "l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo" (Gv 1,29.36).
   Nella seconda lettura l'apostolo Paolo trasmette ciò che egli stesso ha ricevuto dal Signore riguardo all'ultima cena. Il comando: "fate questo in memoria di me" ripetuto sul pane e sul calice (1Cor 11,24-25) unisce gesti e parole compiute dal Signore a gesti e parole fatte in sua memoria dai suoi discepoli. Quindi l'apostolo dichiara che tali gesti e parole annunciano la morte del Signore. La morte del Signore non è il ricordo triste di una giovane vita violentemente ed ingiustamente troncata, ma è l'annuncio dell'amore illimitato di Dio per noi (Rom 8,32.34); non è un ricordo che passivamente s'imprime nella nostra memoria, ma è l'annuncio che Dio è per noi: "Egli, non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?" (Rom 8,32).


   Il Vangelo della lavanda dei piedi illustra compiutamente il significato che Gesù stesso ha dato alla sua morte imminente. Una morte accolta e forse provocata, sicuramente muore libero e consapevole come dichiara nella preghiera del Getsemani: "Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà" (Mt 26,42). Una morte che conferma il suo amore "perfetto, integro, compiuto, al quale non manca nulla", essendo questo il significato di "li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Amore folle che compie un gesto sconveniente per l'uomo libero e persino allo schiavo, a maggior ragione sconveniente per il Signore ed il Maestro, gesto d'amore che sovverte tutti i criteri di giudizio e che giustamente provoca la spontanea ribellione di Simon Pietro: "Tu non mi laverai i piedi in eterno" (Gv 13,8). Eppure Colui che venuto nel mondo per servire e non per essere servito (cfr. Mc 10,45) è il Signore e non teme di lavare i piedi ai suoi discepoli, compie l'umile atto d'amore che non teme di abbassarsi rispetto all'amato, gesto che nei Vangeli compiono solo due donne: la peccatrice nella casa di Simone il fariseo (Lc 7,38) e Maria di Lazzaro (Gv 12,3). Quanto è grande l'amore di Dio per l'uomo! Amore che si sostanzia nella divina Eucaristia, corpo crocifisso e sangue versato per diventare alimento necessario alla volontà redenta dei peccatori che umilmente mangiano quel corpo e indegnamente bevono al calice e poter amare, secondo il comandamento nuovo, come da Lui sono amati.

Matthias Grunewald, Pala dell'Altare d'Issenheim (1512-16)


Passione del Signore
Is 52,13-53,12 * Sal 22 * Eb 4,14-16; 5,7-9 * Gv 18,1-19,42
   I due brani del Primo Testamento, la prima lettura presa dal profeta Isaia ed il Salmo 22, sono la chiave  per accedere alla croce di Gesù. I lunghi secoli di cristianesimo ci hanno abituato al Cristo crocifisso, perdendo la scandalosa novità della sua morte in croce che la rendeva indigeribile agli uomini del mondo antico. La morte di Cristo in croce era incomprensibile non solo per i Giudei e per i Greci, come scrive san Paolo ai Corinzi (1Cor 1,17ss), ma anche per i suoi discepoli, sia prima che avvenisse quando Gesù profetizzava la propria morte (cfr. Mc 8,32-33), sia dopo la sua morte che li aveva resi tristi perché le loro umane speranze di riscatto erano state deluse (cfr. Lc 24,17.21). La Chiesa apostolica ha iniziato a comprendere la necessità della croce solo grazie allo Spirito Santo, Colui che pensa secondo Dio (cfr. Mt 16,23, 1Cor 2,10-11). Lo Spirito Santo prosegue la spiegazione di tali cose iniziata dal Signore Risorto con il rimprovero sulla strada di Emmaus: "Stolti e lenti di cuore nel credere in tutto ciò che hanno detto i profeti. Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24,25-26). La stoltezza rallenta la naturale facoltà del cuore a credere, allora la diffidenza prende il posto della fiducia, la paura sostituisce la gioia. Ecco  perciò la misteriosa figura del Servo sofferente di Dio, il profeta Isaia lo descrive nel suo quarto carme e Davide nel Salmo 22 raccoglie e trasmette il suo grido. Grazie al Servo sofferente testimoniato dalle Scritture d'Israele, la passione e morte di Gesù diventano comprensibili, nonostante ciò che ha sofferto da parte degli uomini e da parte di Dio, il suo Servo ha custodito la sua fiducia in Dio, come sta scritto: "Non stare lontano da me, perché l'angoscia è vicina e non c'è chi mi aiuti [...] Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto" (Sal 22,12.20).
   La seconda lettura è doppiamente rivolta agli uomini. Come ogni lettura essa è rivolta agli uditori; ma lo è in particolare perché mette in luce il rapporto di causa - effetto tra ciò che è accaduto a Gesù e ciò che può accadere agli uomini. Presenta Gesù come: "Sommo Sacerdote grande", grande perché: "è passato attraverso i cieli" (Eb 4,14). Ciò fa riferimento a due eventi della vita di Gesù, con cui è stato innalzato fin dentro il Santuario celeste: la morte e l'ascensione. Ma ciò fa anche riferimento al Sommo Sacerdote aronnitico che una sola volta all'anno, il giorno dell'Espiazione (yom Kippur), entrava nel Santo dei Santi con il sangue del capro per aspergere il coperchio dell'Arca (Chapporret = espiatorio) e pronunciare il Nome sacro di Dio per ottenere ad Israele il perdono dei peccati. Il rito antico giunge a compimento nella morte di Gesù, l'agnello che toglie il peccato del mondo, versando il proprio sangue in espiazione di tutti i peccati e diventando: "causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5,9). La salvezza procurata dall'obbedienza di Gesù ha come effetto la fiducia: Dio ha avuto misericordia di noi quindi possiamo, anzi, dobbiamo accostarci a Dio senza più quella paura tipica dello stato adamitico, la paura del colpevole, ma con la piena fiducia tipica dello stato filiale che Gesù ci ha aperto.

giovedì 21 aprile 2011

Triduo Pasquale. Alcune premesse

       Il Triduo pasquale è il centro dell'anno liturgico, ove sono celebrati i misteri fondamentali della fede cristiana: la passione e la morte in croce, la sepoltura e la discesa agli inferi, la resurrezione di Gesù, misteri fondamentali perché rivelano e consegnano compiutamente il mistero dell'amore di Dio per il mondo, amore che genera i nuovi cristiani e rigenera quelli invecchiati.


       Eppure, nonostante la sua importanza capitale, proprio il Triduo pasquale è spesso misconosciuto e frainteso: misconosciuto nella sua unità, frainteso nella sua pluralità. L'unità del Triduo pasquale è innanzitutto teologica, infatti la fede cristiana si fonda essenzialmente sulla congiunzione che unisce la morte di Gesù Cristo alla sua resurrezione: "Cristo morì per i nostri peccati secondo la Scrittura e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo la Scrittura" (1Cor 15,3-4). Il cristianesimo sta o cade su tale "e", brevissima congiunzione che esclude due tentazioni uguali e contrarie: il dolorismo della croce senza resurrezione, il felicismo della resurrezione senza la croce.
       Tale unità teologica dei misteri celebrati dal Triduo pasquale si riflette nell'unità liturgica delle celebrazioni, le quali sono distinte solo apparentemente, ad uno sguardo distratto e superficiale, ma in realtà sono una sola ed unica celebrazione distesa lungo i tre giorni del Triduo: il venerdì santo, il sabato santo e la domenica santa. Infatti, la Messa nella cena del Signore non ha congedo, compiuta la reposizione della santissima Eucaristia in una cappella, dopo alcuni istanti di adorazione silenziosa, i ministri tornano in sagrestia e l'assemblea lentamente si scioglie. La messa in Coena Domini prosegue nella successiva celebrazione della Passione del Signore che pure non ha congedo; la Passione del Signore non è una santa messa perché non vi è consacrazione eucaristica, ma semplice distribuzione dell'Eucaristia, consacrata in sovrabbondanza nella messa senza congedo, per attraversare il giorno silenzioso e aliturgico del Sabato santo e concludersi con la Veglia pasquale che inaugura l'ottavo giorno. La Veglia pasquale da un lato conclude la celebrazione della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo che ha avuto inizio con la Messa in Coena Domini e dall'altro lato dà inizio al tempo nuovo, inizio escatologico dell'eternità nella storia, l'ottavo giorno.
       Abbiamo così tre giorni e tre celebrazioni. Sembrerebbe logico attribuire ciascuna celebrazione ad un giorno del Triduo:  la messa in Coena Domini al giovedì, la Passione del Signore al venerdì, la Veglia pasquale al sabato. Ma questa soluzione di apparente buon senso, in verità sovverte la natura del Triduo pasquale "venerdì - sabato - domenica", contraddicendo due indicazioni chiarissime del Messale Romano che per la Passione del Signore prescrive: "In questo giorno e nel seguente, la Chiesa, per antichissima tradizione non celebra l'Eucaristia" (MR p. 145) e per il giorno seguente: "Il Sabato santo, la Chiesa, sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e morte, astenendosi dal celebrare il sacrificio della Messa (la mensa resta senza tovaglia e ornamenti) fino alla solenne Veglia o attesa notturna della risurrezione" (MR p. 160).
       Questa prescrizione sancisce la natura propria del Sabato santo, il giorno più incompreso del Triduo pasquale. Il Sabato santo ha per oggetto il mistero della sepoltura del corpo di Gesù e della sua discesa agli inferi. Mistero che sottrae alla Chiesa e al mondo il Salvatore e ne certifica l'indisponibilità. Gesù ha profeticamente alluso al giorno in cui non sarà disponibile, nell'apologia dei suoi discepoli che in sua presenza non digiunano, ma lo faranno quando: "lo sposo sarà loro tolto" (Mc 2,20) e nell'apologia di Maria sorella di Lazzaro perché cosparse i piedi di Gesù con trecento grammi di nardo puro: "I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avrete me" (Gv 12,8). Per tale motivo nel giorno del Sabato santo l'Eucaristia non può essere né celebrata né distribuita se non come viatico ai morenti.

domenica 17 aprile 2011

Quaresima 6. Ingresso

Domenica delle Palme
Mt 21,1-11 * Is 50,4-7 * Sal 22 * Fil 2,6-11 * Mt 26,14-27,66

Duccio di Buoninsegna, Maestà del Duomo di Siena (1308-11)

   Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme. Entrare significa varcare una soglia. La soglia segna il confine tra due mondi distinti che esigono due diversi modi d'essere. Diversità che implica la metamorfosi. Metamorfosi che avviene in due modi diversi e complementari: come esito dell'irruzione della Grazia che rapisce, uccide e rigenera, fatto che accade in un momento preciso della storia, in un luogo puntuale, come quando si nasce, quando si è battezzati e qaundo si muore; come esito del lento e faticoso adeguamento volontario alla forma divina, evento che si distende lungo tutto il tempo della vita e che avviene secondo i ritmi delle sue diverse stagioni, alternando cadute più o meno rovinose a camminate spensierate.
   Il Verbo di Dio ha compiuto tre ingressi principali. Il primo quando l'angelo Gabriele portò il felice annuncio a Maria e il Verbo di Dio entrò nel mondo degli uomini: divenne uomo con la sua divina incarnazione. Il secondo ingresso quando il velo del Tempio si squarciò dall'alto al basso e il Verbo incarnato e crocifisso entrò nel regno dei morti: il suo corpo venne sepolto nel sepolcro e la sua anima discese agli inferi. Il terzo ingresso quando l'angelo del terremoto fece rotolare la pietra ed il Verbo incarnato, crocifisso e sepolto entrò da risorto nel regno dei cieli, inaugurandolo quale primogenito dei morti.
   L'ingresso di Gesù a Gerusalemme è immediatamente prodromico all'ingresso nel regno dei morti perché a Gerusalemme egli doveva salire secondo le Scritture e secondo la sua triplice profezia per essere ucciso e risorgere (Mt 16,21; 17,22; 20,18). Altresì è collegato all'ingresso nei cieli, poiché la Gerusalemme terrena è immagine concreta e vivente della Gerusalemme celeste che è nostra madre. Cosicché chi segue Gesù ha come meta finale la Gerusalemme del cielo, dove il Figlio dell'Uomo siede alla destra della Potenza e da dove verrà per giudicare e come tappa intermedia il Getsemani ed il Golgota.
   La liturgia della domenica delle palme con quella della Veglia Pasquale sono le uniche liturgie che hanno inizio fuori dalla chiesa, nello spazio profano in cui Gesù è morto, fuori della città, spazio che allude anche alle tenebre in cui sarà pianto e stridore di denti, segni della disperazione per la perdizione. Che queste due liturgie abbiano inizio fuori dallo spazio consacrato della chiesa indica una cosa molto importante, che l'abitudine può facilmente far dimenticare: la Chiesa non è l'origine del fatto cristiano, essa accoglie più o meno festante la visita del Salvatore che la precede e la supera, come il sole è l'unica sorgente della luce che la luna si limita a riflettere.
   Ecco la porta aperta nella cerchia esterna delle mura della città dipinta da Duccio nella Maestà per il Duomo di Siena: non è forse l'invito a seguire Gesù? Egli sta arrivando seduto sul puledro, seguito dai suoi discepoli, e la porta e lì, stretta perchè tale è la porta che conduce alla vita (Mt 7,13-14) però semiaperta, pronta ad esser varcata e portare dal piccolo giardino con un piccolo alberello al punto esatto della strada dove Gesù sta giungendo.

sabato 9 aprile 2011

Quaresima 5. Metamorfosi dello spirito: credere che Dio l'ha mandato

Quinta domenica di Quaresima, anno A
Ez 37,12-14 * Sal 129 * Rom 8,8-11 * Gv 11,1-45

   La metamorfosi del creato innescata dalla Trasfigurazione di Gesù (II^domenica), dopo aver coinvolto distintamente il corpo (III^domenica) e l'anima (IV^ domenica) della creatura umana, coinvolge infine il suo spirito creato che simultaneamente è il terzo elemento costitutivo dell'uomo e l'unità del corpo materiale e dell'anima spirituale appartenenti all'unica persona, unità che la diabolica morte scioglie e scioglierà e che la divina Resurrezione ricompone e ricomporrà.

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1608-09
   Il Caravaggio ha raffigurato l'ultimo atto della resurrezione di Lazzaro, dopo che la voce del comando divino del Cristo, penetrata nell'oscurità maledorante del sepolcro, ha operato il miracolo e Lazzaro è appena uscito dalla grotta. Il Redentore ordina con un potente eppure misurato gesto della mano destra, di liberarlo dalle bende che tenevano legate mani e piedi di Lazzaro, essendo già caduto a terra il sudario che avvolgeva il suo volto. Un teschio frantumato, simbolo della morte ormai sconfitta, giace sotto la mano sinistra di Lazzaro colta mentre si rianima dall'abbandono cadaverico. La destra di Lazzaro, in esatta corrispondenza della destra del Salvatore, s'eleva repentina e decisa a proteggersi dall'eccesso di Luce che a fiotti penetra nelle tenebre sepolcrali e sommerge i testimoni del miracolo con la sua sorprendente evidenza. Luce proveniente da Gesù e da oltre, dal Padre che attraverso il Figlio suo opera. Luce che plasma con la sua densa e liquida vitalità tutta la scena, dalle spalle di Gesù si rifrange sui volti attoniti dei testimoni  e sulle loro membra mortali, fino al corpo risuscitato di Lazzaro. Splendida raffigurazione dell'antichissima antifona liturgica trasmessaci dalla lettera paolina agli Efesini e ascoltata domenica scorsa: "Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà" (Ef 5,14).
  
   Nella prima lettura Dio ripete due volte la stessa promessa: una prima volta i verbi sono al presente (apro, faccio uscire, riconduco); essi si riferiscono alla precisa situazione storica del popolo di Dio esule in Babilonia, al quale il profeta Ezechiele annuncia l'intervento salvifico di Dio che si realizzò attraverso Ciro re dei persiani. Nella ripetizione della promessa divina i verbi compaiono al futuro (voi riconoscerete, io aprirò, farò uscire, farò entrare, voi rivivrete, io farò riposare, voi saprete); con il passaggio dal presente/passato al futuro la promessa perde precisione storica e diventa ambigua; l'ambiguità è necessaria per restare aperta sul futuro e poter significare più cose insieme:
  1. l'imminente liberazione dall'esilio babilonese, ma al tempo della profezia ancora futura, liberazione soprattutto politica, ma non solo
  2. il perdono dei peccati, causa ultima della schiavitù, perdono che genera il timore di Dio (esso non è la paura provata da Adamo dopo il peccato, ma la fiducia in Dio generata dal suo perdono)
  3. la risurrezione di alcuni morti, fin quando nella pienezza dei tempi Dio risuscitò Gesù dai morti costituendolo Vita eterna per chi crede in lui, "causa di salvezza" secondo la lettera agli Ebrei
   La divina Liturgia ci istruisce, mostrandoci qual'è la radice ultima della triste condizione umana dei mortali, il peccato è la causa prima della morte spirituale e poi di quella corporea. Anche circa la risurrezione la Liturgia ci istruisce, mostrandoci che essa inizia già ora col perdono dei peccati che realmente risuscita l'anima dalla morte spirituale, senza esonerarci dalla pena della morte fisica; la risurrezione sarà compiuta solo alla fine del mondo quando anche la carne, sottoposta suo malgrado alla morte per i peccati commessi dall'anima, risorgerà manifestando così nuovamente e per sempre l'unità della persona umana, quando lo spirito creato proprio dell'uomo sarà unito allo Spirito increato di Dio: "farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete" (Ez 37,14), promessa confermata dall'apostolo Paolo che ai Romani scrive: "E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Cristo dai morti, abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" (Rom 8,11).
   Quando Gesù ritorna in Giudea a casa di Lazzaro, Marta e Maria, trova il suo amico sepolto già da quattro giorni; Marta confessa con Gesù la fede ebraica tradizionale nella risurrezione finale, confessione che offre a  Gesù l'opportunità di presentare la sua novità fondata sul depositum fidei ebraico: "Io sono la risurrezione e la vita" (Gv 11,25). Cristo è la resurrezione perché è la vita. Prima viene la risurrezione, non perché essa sia prima della vita, ma perché Colui che è la Vita sta parlando con uomini peccatori che a causa del loro peccato sono diventati mortali. Gesù Verbo incarnato è anzitutto la Vita, il prologo giovanneo dice: "In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" (Gv 1,4).
   In principio: "Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vita e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male" (Gen 2,9). Il comando dato da Dio all'uomo, costituisce l'uomo nella sua più alta dignità, quale interlocutore di Dio, suo vicario nel mondo e responsabile del creato, creatura libera perché ragionevole. Quel comando si compone di un ordine positivo molto ampio: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino" (Gen 2,16) e di un piccolo ma decisivo divieto: "ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare" (Gen 2,17); questa composizione del comando di Dio smentisce l'immagine torva di un Dio che sommerge l'uomo di prescrizioni e divieti, per restituirci il Dio vivo e vero che come una madre premurosa tutto dona ai figli perché vivano nella grazia sovrabbondante e come un padre prudente pone un solo decisivo limite affinché i figli non muoiano.
Profeticamente l'albero annuncia la sua Croce salvifica dalla quale Egli dona la Vita per il mondo, sulla quale morì per distruggere tutti i peccati e donare nuovamente la vita ai morti e ai peccatori morenti. Cosa che avviene per la sua obbedienza con la quale ha corretto, assorbito e vinto la disobbedienza di Adamo.
   Per fortuna la storia non si interrompe quì, ma Gesù ha detto e ripetuto: "chi crede in me, anche se muore, vivrà e chi vive e crede in me, non morirà in eterno" (Gv 11,25). Tutto il racconto della risurrezione di Lazzaro è costruito sul verbo "credere in". Ai discepoli che lo fraintendono, dice: "sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate" (Gv 11,15). A Marta, dopo averle rivelato la propria novità rispetto al depositum fidei ebraico: "Io sono la risurrezione e la vita", chiede: "Credi questo?", provocandola all'adesione di fede: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo" (Gv 11,25-27). Infine, davanti al sepolcro aperto di Lazzaro che realizza la profezia di Ezechiele: "aprirò i vostri sepolcri" (Ez 37,13), prima di gridare il comando divino: "Lazzaro, vieni fuori" operando il miracolo, Gesù si rivolge al Padre per ringraziarlo - momento colto dal Porta Salviati - e spiegare il motivo di tutto, della malattia di Lazzaro, del suo intenzionale rimanere nel luogo dove la notizia della malattia l'aveva raggiunto, delle sue lacrime di commozione davanti al sepolcro dell'uomo suo amico e del dolore delle sorelle dell'amico: "perché credano che tu mi hai mandato" (Gv 11,42) e molti dei Giudei credettero in Lui. Segno che ciascuno, nelle diverse situazioni personali può credere, dato che la fede di ognuno può crescere, aumentare, perfezionarsi.

Giuseppe Porta detto il Salviati, Resurrezione di Lazzaro, 1540-45
   La metamorfosi dello spirito dell'uomo avviene nella confessione di Gesù: "Gesù allora alzò gli occhi e disse: <Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perchè credano che tu mi hai mandato>" (Gv 11,42-43) confessione raffigurata da Giuseppe Salviati. Al centro della scena si staglia il Salvatore che con morbido movimento delle membra, sottolineato dal braccio destro levato accompagnato dal volto rivolto a Dio, domina la composizione con calma regale, resa più evidente dalla confusione che regna sovrana tra i testimoni per la sopresa del miracolo già avvenuto. Attraverso la confessione di Gesù lo spirito dell'uomo peccatore e perciò mortale, apprende e riceve la virtù soprannaturale della Grazia, viene trasformata la naturale paura del colpevole di fronte all'innocente in fiducia, come dice il Salmo odierno: "presso di te è il perdono che infonde il tuo timore" (Sal 130,4). Il timore di Dio è principio di sapienza, solo la scorza del timor di Dio è paura, terrore panico di fronte al rivelarsi del Santo, la polpa del timore è la fiducia filiale. Così per i peccatori la confessione che opera la metamorfosi del loro spirito è sempre confessione della propria miseria e della misericordia di Dio, è credere che Dio ha mandato Gesù.

lunedì 4 aprile 2011

Quaresima 4. Metamorfosi dell'anima: concedimi di vedere i miei peccati

Quarta domenica di Quaresima, anno A
1Sam 16,1.4.6-7.10-13 * Sal 22 * Ef 5,8-14 * Gv 9,1-41


    La metamorfosi somministrata domenica scorsa è materica, riguarda la dimensione fisico-carnale dell'uomo: il cuore di pietra viene trasformato dall'incontro con Gesù in una sorgente d'acqua viva zampillante per la vita eterna. La metamorfosi somministrata questa domenica, viceversa, è spirituale, riguarda la dimensione psichica dell'uomo: le facoltà spirituali dell'intelletto e della volontà con cui l'uomo conosce, giudica e sceglie. Tale metamorfosi dell'anima e delle sue potenze avviene anch'essa attraverso il corpo, mediante l'applicazione del fango di Gesù sugli occhi ed il successivo lavacro nell'acqua sulla parola di Gesù, ma non può prescindere dalla libertà umana che può essere liberata solo se liberamente lo vuole. Come dicono i Padri: Dio può tutto, tranne che obbligare l'uomo ad amarlo.

Guarigione del cieco nato, Codice Purpureo di Rossano (VI sec.)

    Nella prima lettura Dio rivela a Samuele il proprio modo di giudicare e chiede al giudice e profeta di adeguarsi: "Non guardare al suo aspetto [...] io non guardo a ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda all'apparenza, io guardo il cuore" (1Re 16,7). Certamente Dio sa guardare il cuore e le sue profondità (colletta), ma l'uomo ha questa conoscenza interiore? L'ha avuta, infatti sta scritto che Dio, dopo aver creato gli animali: "li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati [...] quello doveva essere il suo nome" (Gen 2,19). Adamo, cioè ogni uomo, dà il nome alle creature mostrando di avere la capacità di conoscere le loro essenze, esprimendole col nome adeguato a ciascuna creatura. Questa capacità intellettiva dell'uomo grazie alla quale anche la creatura umana è capace di guardare il cuore, è gravemente ridotta dal peccato. Il serpente associa la conoscenza del bene e del male al frutto proibito, falsamente perché il discernimento del bene e del male non è magicamente contenuto in un frutto esteriore all'uomo, ma è intrinseco alla libertà che Dio gli conferisce creandolo, come spiega Gesù: "Non ciò che entra nella bocca rende impuro l'uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l'uomo" (Mt 15,11). Ingannata, la donna crede che la conoscenza, da cui scaturisce la sua libertà, sia fuori di lei, nel frutto che le appare: "buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza" (Gen 3,6). Quel frutto proibito, una volta mangiato ha ben altri effetti, tutt'altro che positivi: "si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi" (Gen 3,7). I loro occhi s'aprirono come quelli dei ciechi, ma videro solo la propria nudità provandone vergogna, quella nudità che prima del peccato era vissuta nell'innocenza (Gen 2,25), diventa ora motivo di vergogna e di paura, perché all'innocenza è subentrata la voracità e la ferocia che portano a nascondersi tra gli alberi del giardino (Gen 3,8-10). Ecco come avviene che i vedenti siano in verità ciechi, spesso s'illudono di vedere, tutt'al più vedono, come rivela Dio a Samuele, le apparenze. Ecco la necessità e la somma utilità di un cieco nato: "Perché in lui siano manifestate le opere di Dio" (Gv 9,3) e poter rimuovere dal peccato, se lo vogliono, coloro che credono di vedere e sono ciechi.

Duccio di Buoninsegna, Maestà Predella, Guarigione del cieco nato (1311)
     I Vangeli narrano più miracoli in cui Gesù guarisce dei ciechi: Bartimeo cieco di Gerico (Mt 20,29-34; Mc 10,46-34; Lc 18,35-43), il cieco di Betsaida (Mc 8,22-26), l'indemoniato cieco e muto (Mt 12,22) e Giovanni porta alla perfezione questo segno nel brano evangelico del cieco nato (Gv 9,1-41). Sviluppa il suo racconto in sette piccoli dialoghi, ciascuno caratterizzato da alcune domande, talune ripetute più volte, che interrogano sul mistero dell'esistenza umana e sul mistero di Gesù:
  1. i suoi discepoli e Gesù (Gv 9,1-7)
  2.    i suoi vicini ed il cieco nato (Gv 9,8-12)
  3.       i farisei ed il cieco nato (Gv 9,13-17)
  4.          i giudei ed i suoi genitori (Gv 9,18-23)
  5.       i giudei e il cieco nato  (Gv 9,24-34)
  6.    Gesù e il cieco nato (Gv 9,35-38)
  7. Gesù e alcuni farisei (Gv 9,39-41)
Forse si potrebbe scorgere una struttura a chiasmo dei sette dialoghi, facente perno sul quarto tra i giudei e i genitori del cieco nato, l'unico dialogo in cui nessuno dei due interlocutori crede in Gesù, ovvero vede la Luce del mondo, dialogo tra ciechi che credono di vedere e sono immersi nelle tenebre, ma dove paradossalmente compare il riconoscimento di Gesù come il Cristo, seppure in negativo quale causa di espulsione dalla Sinagoga.


    Una domanda in particolare funge da filo di Arianna del racconto: chi ha peccato?
Ha peccato colui che è nato cieco, o i suoi genitori? Gesù respinge questa ipotesi della retribuzione che corrisponde all'idea indiana del karma e delle molteplici reincarnazioni necessarie per purgarsi da esso: né il cieco nato, né i suoi genitori sono i colpevoli per la sua cecità. Ha forse peccato Gesù, avendo violato il Sabato impastando del fango e spalmandolo sugli occhi del cieco? Se Gesù fosse solo un uomo forse  sarebbe un peccatore come noi tutti, secondo un'interpretazione rabbinica della Legge viola insistentemente il sacro precetto del Sabato. Ma Gesù non è solo un uomo, è anche il Verbo di Dio che si compiace di salvare l'uomo proprio in giorno di Sabato, essendo lui stesso il Sabato, il compimento di ciò che quel giorno significa, conservazione e giudizio del mondo: "Il Padre mio agisce anche ora (di Sabato) e anch'io agisco" (Gv 5,17), parole dette dopo la guarigione del paralitico alla piscina della porta Betzatà, simili a quelle dette prima della guarigione del cieco nato: "Bisogna che compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno" (Gv 9,3) e che hanno un'eco nelle parole dette dal cieco nato ai giudei: "Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla" (Gv 9,33). Parole che danno risposta all'altra domanda che si rincorre in questo racconto: di dove è Gesù? da dove viene? Lo rivela il suo operare, impasta con la saliva polvere della terra e la spalma sugli occhi del cieco, chiara allusione all'opera creatrice, quando: "Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffio nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" (Gen 2,7). Ecco il Figlio dell'uomo ricrea l'uomo accecato dall'orgoglio alla sola condizione che il peccatore riconosca l'evidenza, cioè d'essere peccatore, confessione che risulta ben più facile al cieco nato che ai vedenti, i quali rischiano, anche se seguaci di Gesù, di restare nel peccato per la pretesa di vedere nonostante la Luce del mondo. Colma di intelligenza spirituale la preghiera quaresimale di sant'Efrem il siro invita a seguire l'esempio del pubblicano che supplica pietà, non quello del fariseo che giudica: "concedimi di veder i miei peccati e di non giudicare il fratello che cade" (cfr. Lc 18).


Sant'Efrem il siro

    Così dalle tenebre interiori che dominano l'anima di chi crede di vedere e nemmeno vede il proprio cuore impuro e peccatore, se confessiamo il nostro status di peccatori, riconoscendo d'essere ciechi, passiamo nel regno della Luce. Questo dice la seconda lettura: "un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore" (Ef 5,8) che termina con un'antica antifona liturgica pasquale che fa da trait-d'union con domenica prossima:

Svegliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e Cristo ti illuminerà.