lunedì 20 febbraio 2012

Paralisi


Caravaggio, Incredulità di san Tommaso, 1601-02
Gesù opera dall'interno all'esterno, dall'invisibile al visibile, dal perdono del peccato dell'anima alla guarigione della paralisi del corpo. Dio crea prima il corpo e poi l'anima: "Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" (Gen 2,7). Gesù ricrea prima l'anima: "Figlio, ti sono perdonati i peccati" (Mc 2,5), poi il corpo: "dico a te - disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va' a casa tua". Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò" (Mc 2,11-12).


Il segreto peccato del paralitico nel corpo corrisponde ad un peccato pubblico, la paralisi interiore di scribi e farisei scandalizzati dalla parola di Gesù che rivela la sua divinità perdonando: "Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?" (Mc 2,7). Alla paralisi del corpo corrisponde la paralisi dell'anima degli intellettuali. Il paralitico nel corpo può essere condotto a Gesù dalla fede altrui, mentre i paralitici nello spirito possono essere guariti dalla propria incredulità?

Stom Mathias, 1620
L'incredulità è malattia dell'anima, peccato che paralizza la volontà, quì di scribi e farisei, ma al termine del Vangelo anche di apostoli e discepoli, increduli nonostante la testimonianza convergente di Maria Maddalena (Mc 16,9-11) e di due discepoli, verosimilmente i due di Emmaus, (Mc 16,12-13), incredulità rimproverata da Gesù risorto: "Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto" (Mc 16,14). In effetti la sua resurrezione è il miracolo e la sorgente inesauribile dei miracoli, è la sconfitta della morte del corpo e dell'anima generata dalla sconfitta del peccato.

Rubens, 1613-15
Terbrugghen Hendrick, 1604

domenica 19 febbraio 2012

L'inferno per Balthasar

"Tra l’inferno è vuoto di Von Balthasar e 500000 indemoniati l’anno solo in Italia una via di mezzo."
Così scrive Simona sul blog di Paolo Rodari, commentano un post dedicato a Woityla esorcista.
Sono innumerevoli le volte che il pensiero di Hans Urs von Balthasar in proposito è travisato, ridotto ad una battuta che falsa gravemente il suo pensiero.

Siccome oltre che fans di Balthasar, sono un fans della verità, sia quella storica che quella teologica, voglio fare alcune precisazioni.
1. Balthasar non ha mai affermato che l'inferno è vuoto, bensì che come cristiani possiamo sperare che l'inferno sia vuoto e per ciò dobbiamo pregare instancabilmente. Tutti siamo sotto il giudizio e vi restiamo sino alla fine.
2. Credere comporta sempre una conoscenza, l'affermazione di una verità alla quale ci si affida e nella quale si crede. Sperare comporta sempre un vivo desiderio che s'apre alle infinite possibilità delle libertà divina ed umana.
3. C'è quindi una differenza sostanziale tra il credere che l'inferno è vuoto, eresia condannata dalla Chiesa perché non prende sul serio la libertà umana, e lo sperare che l'inferno sia vuoto, una possibilità ancora in fieri la cui realizzazione dipende dalla Libertà di Dio e dalla libertà dell'uomo, dalla divina Misericordia che ha preso nettamente posizione in nostro favore e dalla preghiera insistente e testarda: "Abbi pietà di noi peccatori".

Per fare luce sul pensiero di questo grandissimo teologo, nominato cardinale dal beato Giovanni Paolo II ma morto improvvisamente due giorni prima di ricevere la berretta cardinalizia, ecco un articolo di Giandomenico Mucci sj, pubblicato sulla Civilità Cattolica e in rete sul sito di Sandro Magister, nel quale l'autore conclude con il pensiero di un teologo speciale, Joseph Ratzinger.

Infine una considerazione desunta dalla devozione popolare. Al termine di ciascuna decina del santo Rosario si recita la seguente breve preghiera, i cui contenuti concordano con la posizione di Balthasar:
                                                           Gesù mio,
                                                              perdona le nostre colpe,
                                                              preservaci dal fuoco dell'inferno,
                                                              porta in cielo tutte le anime
                                                                    specialmente le più bisognosoe della tua mnisericordia.

Madonna di Fatima

mercoledì 8 febbraio 2012

Sullo strano concetto di TOLLERANZA dei cristianofobi

Sul sito della Socìetas Raffaello Sanzio produttrice dello spettacolo di Romeo Castellucci "Sul concetto di volto del Figlio di Dio" ho trovato un "appello contro l'intolleranza" proposto dall'apposito "Comitato di sostegno alla libertà di rappresentazione dello spettacolo di Romeo Castellucci al Teatro della Città - Parigi", firmato dal direttore del Teatro, Emmanuel Demarcy-Mota e dall'equipe.
Romeo Castellucci
Un appello contro l'intolleranza è spesso contraddittorio. L'intolleranza subita diventa, con l'appello contro di essa, intolleranza promossa contro chi non tollera l'offesa recatagli dallo spettacolo. Una tale reazione contraddice proprio quella libertà d'espressione cui si appellano i commedianti, esigendola solo per sé, libertà di esprimere il proprio odio contro i cristiani.
Perché solo i cristiani dovrebbero tollerare d'essere offesi senza poter reagire?
Chi offende non può invocare la libertà d'espressione, precludendola alle sue vittime. Le vittime godono prima di tutti del diritto di alzare la voce e gridare la propria protesta contro chi li ha offesi.
A tutti è richiesto di non offendere i propri simili, di rispettarli: "Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te", oppure: "Fai agli altri quel che vuoi sia fatto a te" ed anche "Agisci in modo da trattare l'uomo, così in te come negli altri, sempre anche come fine e non mai solo come mezzo".

Ma non esiste il diritto di offendere, nemmeno celando l'offesa dietro la libertà d'espressione, tanto più accompagnato dalla pretesa di non subire la logica conseguenza dell'offesa provocata, la reazione risentita delle vittime.
 Viceversa esiste il diritto di difendersi, custodendo integro il bene più prezioso, qual'è Cristo per i cristiani.
L'intolleranza è quella espressa dallo spettacolo di Castellucci.
Intolleranza verso la debolezza e la malattia dell'uomo-padre.
Intolleranza verso la condizione tragica dell'uomo-figlio.
Intolleranza verso lo sguardo silenzioso e dolce del Cristo di Antonello da Messina, il volto del Figlio di Dio.
Ovvero intolleranza verso le creature umane, verso il loro Creatore (Dio Padre) e verso il loro Salvatore (Dio Figlio), verso Cristo ed i cristiani.
L'offesa ai cristiani viene confermata dallo stesso regista Romeo Castellucci nel comunicato dove dichiara: "è questo sgurado che disturba e mette a nudo; non certamente il colore marrone che, rivelando presto il proprio artificio, rappresenta le feci".
Lo sguardo del Cristo sicuramente mette a nudo ciò che si agita nel cuore dell'uomo, ma non disturba l'uomo oppresso ed affranto, nè il padre ammalato nè il figlio che lo accudisce; disturba il potente, il violento, ma soprattutto l'indifferente ed il qualunquista. Offende proprio l'artificio del colore marrone che rappresenta le feci proprio per ciò che rappresenta e che è chiaramente evidente durante lo spettacolo.
La frase che immediatamente segue diventa allora senza dubbio una excusatio non petita, ovvero accusatio manifesta: "Allo stesso tempo [...] è completamente falso che si lordi il volto del Cristo con gli escrementi".

mercoledì 1 febbraio 2012

sul concetto di volto del Figlio di Dio

Antonello da Messina, Salvator Mundi, 1465
Ho visto l'opera teatrale di Romeo Castellucci "Sul concetto di volto del Figlio di Dio".
Ne sono uscito disgustato.
Non per le azioni sacrileghe, paventate da alcuni cattolici faziosi, azioni che non ci sono.
Disgustato per la presenza ossessivo-compulsiva delle feci. Mi sono chiesto se ciò significhi una regressione o una fissazione dell'autore alla fase anale del suo sviluppo psichico, fase che Freud colloca tra i due e i quattro anni e ... ho provato una pena infinita.
Ritengo che l'ossessiva presenza degli escrementi voglia intenzionalemente provocare negli spettatori la nausea per la vita di merda del padre malato e del figlio che l'accudisce in ottemperanza al comandamento: "Onora il padre e la madre".
La tesi dell'opera teatrale è che la vita è uno schifo. Fa schifo la vita del padre ammalato che si imbratta delle sue feci. Fa schifo la vita del figlio che come Sisifo è condannato continuamente a pulirlo. Fa schifo il quarto comandamento che prescrive di onorare il padre, al posto di parcheggiarlo in un ospizio in attesa che crepi. Tutto fa schifo ciò che si svolge sotto lo sguardo del Cristo dipinto da Antonello da Messina, uno sguardo che nel corso dell'zione teatrale trascolora progressivamente dalla indicibile silenziosa dolcezza alla sadica beffarda indifferenza per gli uomini, il padre cagante ed il figlio pulente.
Dopo l'ennesimo spargimento di feci da parte del padre, letteralmente sparse sulla propria esistenza corporea e su quella inseparabile del figlio, finalmente il tristo figuro cui è stato ridotto il figlio si ribella, esplode la rabbia covata e dopo aver urlato la propria esasperazione per la propria vita sequestrata, il figlio disperato si appoggia inconsolabile al volto di Cristo. Questo è l'attimo sublime dell'opera teatrale, il figlio si appoggia al volto del Figlio di Dio. Ecco l'umano bisogno di redenzione e l'atto di fede che aderisce al Redentore, la necessità di essere salvati e l'abbandonarsi fiducioso al Salvatore del Mondo: "Venite a me voi tutti che siete stanchi ed oppressi e io vi darò ristoro" (Mt 11,28).
Ma dopo essere stati condotti a questa altezza, ecco che subito si viene precipitati nell'abisso della disperazione. Lentamente il volto del Figlio di Dio, sul quale il figlio stanco e oppresso ha trovato ristoro in un attimo di luce, si tinge di nero. Una macchia liquida annichila il bellissimo Volto di Gesù Cristo. Secondo il regista ciò rappresenta l'inchiostro con cui è scritta la Sacra Scrittura, inchiostro che annega nel nero più cupo i meravigliosi colori di Antonello da Messina. A me, invece, ha dato la netta impressione del liquame compulsivamente sparso per tutto lo spettacolo.
Poi il velo sul quale era proiettato il volto del Figlio di Dio si lacera, come il velo del tempio alla morte del Figlio di Dio, e sulle macerie del Volto santo dileggiato, sul letamaio della vita, compare l'incipit del Salmo 23: "Tu sei il mio pastore". Tu chi? Il Figlio di Dio il cui bellissimo volto è stato annientato e lacerato? Oppure il di lui Padre, creatore sadico di un tale schifo? Ma ecco, mentre ci si interroga nel tentativo di identificare il pastore, prima indecifrabile e poi distinta lampeggia una invettiva nichilista, un non capovolge l'affermazione di fede nel suo contrario: "Tu non sei il mio pastore". Il regista vorrebbe così circoscrivere la fede nel dubbio, ma se avesse voluto dubitare, avrebbe dovuto rendere interrogativa quella negazione: "Tu sei/non sei il mio pastore?". Non trasformandola in una interrogativa, la fede viene prima negata e poi resa equivalente al suo contrario. La mancanza di fede ha una sua dignità tragica. Mentre il lampeggiare del non significa che tutto è assolutamente indifferente: credere o dubitare, amare o odiare, essere o non essere, sperare o disperare. Nulla conta, nulla vale, l'indifferenza regna sovrana, come il Fato, e se tutto è indifferente, allora tutto è merda.


Alla fin fine l'opera teatrale del Castellucci  esprime l'odio verso l'OPERA CREATRICE, sia l'Opera prima del Creatore di ogni cosa, che le opere seconde dei cocreatori, gli artisti che nelle loro opere proseguono l'Opera creatrice del Sommo Artista, opere rappresentate più che degnamente dalla splendita tela dipinta da Antonello da Messina. Oltre all'odio verso l'opera creatrice di Dio e degli artisti, un altro genere di odio s'esprime in tale opera teatrale: l'odio per il VOLTO UMANO, opera divina in cui culmina la creazione prima e si riflette il Creatore. Come ha insegnato Emmanuel Levinas, nel volto dell'uomo si mostra e si espone all'altrui accoglienza, riconoscimento e rispetto, la vulnerabilità di ciascuno. Nel volto umano la vulnerabilità dell'uomo si espone e richiama la resposabilità di ciascuno a non uccidere. Il singolo volto è irriducibile e resiste alla presa del concetto che pretende di dominarlo, manipolarlo, strumentalizzarlo.

E' il volto benedetto del Cristo che nella prigione sivigliana, dopo aver ascoltato in silenzio tutte le recriminazioni ed accuse del Grande Inquisitore, "fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante", gli si accosta e "lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni". La più grande miseria che alberga nel cuore dell'uomo è sciolta dalla ben più grande misericordia che palpita sul volto del Figlio di Dio.