venerdì 11 maggio 2012

Non solo errori di traduzione, ma un peccato di omissione

Eadui Basan, Salmo 1 - dal ms. Arundel 155, 1012-23
La questione dell'ortodossia è sempre attuale: ogni generazione cristiana deve sottomettersi al vaglio della fede. Ciò non significa sottoporre all'Inquisizione la propria fede, ma sottomettere la propria preghiera a Dio e restare sotto il suo Giudizio. Ortodossia, infatti, significa innanzitutto "retta glorificazione [di Dio]" e solo secondariamente "retta professione di fede". L'adagio patristico "lex orandi lex credendi" ha un ordine che non può essere modificato: il pregando determina il credendo, cioè, dimmi come preghi e ti dirò in chi credi.
Tale norma aurea si fonda sull'esempio di Gesù, "apostolo e sommo sacerdote della fede che professiamo" (Eb 3,1). La sua preghiera, ovvero il dialogo continuo con suo Padre, ha plasmato la sua fede in Dio solo, ha determinato la sua vittoria sul Tentatore, Padre della menzogna e omicida fin da principio (cfr. Gv 8,44). Gesù ha così mostrato al mondo e ai suoi discepoli la Via da seguire, ha insegnato la Verità da fare, ha donato la Vita da ricevere. Solo così ha offerto a Dio Padre il culto gradito, l'adorazione in spirito e verità.

In questa prospettiva suscita ammirazione, gratitudine e filiale adesione l'impegno con cui il santo Padre  corregge gli errori nel modo di pregare e restituisce al popolo di Dio tutta la verità che gli è dovuta. Papa Benedetto XVI sta facendo ciò con l'esempio, mostrando come si presiede la Divina Liturgia per glorificare Dio, come si predica spiegando l'unità dei due testamenti e l'unità del corpo verbale di Cristo col suo corpo eucaristico, come si prega non ripiegati su se stessi ma rivolti a Dio, contenuto dell'ultima tentazione: "Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: "Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai". Allora Gesù gli rispose: "Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai:a lui solo renderai culto" (Mt 4,8-10).
Ciò richiederebbe anche la conversione dell'orientamento liturgico della Chiesa e delle chiese, riscoperendo e recuperando l'ordine antico di pregare rivolti ad oriente. Conversione della Chiesa-comunità che solo così si rivolge al Cristo Sole di giustizia ritornante e lo invoca: "Vieni presto, non tardare". Poi delle chiese-edifici che solo così esprimono architettonicamente  l'attesa escatologica  della Chiesa-fidanzata dell'Agnello e l'accompagnano.

Oltre che con l'esempio, Benedetto XVI opera per l'ortodossia della Chiesa anche con atti di magistero e con atti di governo: questi con il motu proprio Summorum pontificum, quelli con la lettera ai vescovi tedeschi del 14 aprile scorso. Questa missiva tratta della necessità di una catechesi preparatoria al recupero della corretta traduzione del "pro multis" nel Canone Eucaristico. Di questa lettera sono da apprezzare il tono mite e deciso con cui spiega i motivi della sua decisione, seppure resti irrisolta una questione teologica centrale: la distinzione fra traduzione e interpretazione, distinzione affermata dal papa, ma non spiegata e a mio avviso discutibile.
Basilio, Davide suona il salterio - dal Salterio di Melisenda, ms. Egerton, 1131-43

Ma al di là di tali questioni, un altro gravissimo errore di omissione richiede ancora di essere sanato: la censura che la Chiesa ha posto alla Parola di Dio quando ha eliminato dalla salmodia liturgica i Salmi ed i versetti imprecatori. La Costituzione apostolica Laudis Canticum giustifica così tale censura: Sono stati omessi alcuni salmi e versetti dall’espressione alquanto dura, tenendo presenti specialmente le difficoltà che potrebbero nascere dalla loro celebrazione in una lingua moderna” (n. 4).
I Salmi sono tre: Sal 58(57); 83(82); 109(108). I versetti sono addirittura sessantuno: Sal 5,11; 21(20),9-13; 28(27),4-5; 31(30),18-19; 35(34),3ab.4-8.20-21.24-26; 40(39),15-16; 54(53),7; 55(54),16; 56(55),8; 59(58),6-9.12-16; 63(62),10-12; 69(68),23-29; 79(78),6-7.12; 110(109),6; 137(136),7-9; 139(138),19-22; 140(139),10-12; 141(140),10; 143(142),12.

La Costituzione Apostolica Laudis Canticum riconosce che il salmista adopera “espressioni alquanto dure”, espressioni che, se da un lato sembrano contraddire il comando evangelico: “Benedite e non maledite” (Lc 6,28). D’altro canto sono perfettamente coerenti con le durissime parole pronunciate da Gesú stesso per scuotere i cuori piú duri, ad esempio i rimproveri rivolti alle città di Corazin, Betsaida e Cafarnao: "Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!". (Mt 11,21-24); con le parole astiose verso la donna cananea: "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini" (15,26); oppure con la minaccia terribile rivolta contro chi scandalizza i più piccoli: "Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all'uomo a causa del quale viene lo scandalo!" (Mt 18,6-7) e contro chi non perdona di cuore nella parabola del servo senza pietà: "Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello".(Mt 18,32-35). Proprio la pietà che la preghiera del cuore insegna a invocare senza ritegno e senza interruzione: "Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore". L'episodio un pò strano del fico sterile ci mostra un Gesù molto duro, nella versione marciana fuori di testa: "Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all'albero, disse: "Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!". E i suoi discepoli l'udirono" (Mc 11,13-14), mentre la versione matteana è più edulcorata, getta uno sgaurdo fugace sulla mentalità di allorai: i discepoli non restano meravigliati dalla maledizione di Gesù del fico sterile, ma della efficacia istantanea della maledizione(cfr. Mt 21,20-22). Ancora i sette guai contro scribi e farisei (cfr. Mt 23,13-36) o la condanna di chi non ha riconosciuto negli ultimi i tratti di Gesù nel Giudizio finale (Mt 25,41-46): "Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli...".

Libro d'Ore Gray-Fitzpay, XIV sec.


I Principi e Norme per la Liturgia delle Ore giustificano cosí la scelta di omettere i salmi imprecatori: “L’omissione di questi testi è dovuta unicamente ad una certa qual difficoltà psicologica. Infatti questi stessi salmi imprecatori si trovano nella pietà del NT […] ed in nessun modo intendono indurre a maledire” (n. 131). Difficoltà psicologica facilmente superabile con la spiegazione dei testi, spiegazione che gli stessi Principi e Norme già presuppongono, dato che offrono due suggerimenti. Il primo suggerimento: “Questi stessi salmi imprecatori si trovano nella pietà del NT”, per esempio in Ap 6,10,  vuole evitare l’errore marcionita dell’anti-ebraicità, errore che, giudicando superati i duri testi imprecatori, contrappone l’AT al NT. Il secondo suggerimento: “In nessun modo intendono indurre a maledire”, afferma che cosa non vuole il bimillenario uso cristiano dei Salmi imprecatori; il problema è caso mai di spiegare che cosa vuole l’uso cristiano, per esempio: scuotere la coscienza addormentata a convertirsi dagli idoli al Dio vivente, che è fuoco divorante.
Miniaturista inglese, Salterio Ormesby, XIV sec.
I Salmi ed i versetti imprecatori sono la voce delle vittime innocenti che protestano contro la violenza ingiusta cui sono sottoposte. Voce che spesso è zittita perché non la si vuole ascoltare. Essa scuote le fragili coscienze dei loro assassini, è la voce del sangue di Abele che grida a Dio dalla terra e invoca giustizia! Non possiamo farlo tacere, ma dobbiamo urlarlo, implorando a Dio la giustizia come la vedova importuna lodata da Gesú e presa a modello della preghiera perseverante. Quante vittime innocenti nel secolo XX sono state uccise e tragicamente la Chiesa ha anche rinunciato a dar loro voce nella sua preghiera! Milioni di uomini eliminati nei genocidi armeno, ebraico, kulaco, cambogiano, hutu-tutsi, jugoslavo, nel Darfur e soprattutto i bambini non nati uccisi ancora nel grembo materno.
 La Scrittura va letta e pregata nella sua integrità, senza pretendere di giudicarla, ma lasciandosi giudicare da essa. Il veggente dell’Apocalisse deve mangiare un rotolo che in bocca è dolce e poi nelle viscere risulta amaro (Ap 10,10), cosí è la Parola di Dio: non è solo fonte di gioia, ma anche urticante. Dolce per consolare, dura per scuotere. Eliminando dalla preghiera ufficiale della Chiesa una parte del libro dei Salmi, quella meno sopportabile al nostro gusto moderno, a mio avviso, si è compiuto un duplice peccato. Innanzitutto, un atto di superbia contro Dio, pretendendo di dire a Dio cosa vogliamo ascoltare e cosa Egli dovrebbe dirci, cadendo nella tentazione diabolica già subita da Pietro e dai discepoli (Mt 16,22-23; Gv 6,60). Questo fu l’errore di Marcione, quando rifiutò l’unità della Bibbia e selezionò in base alle sue preferenze i libri sacri. Marcione però, fu almeno piú coerente, mentre noi risultiamo un poco vigliacchetti; non potendo eliminare i salmi imprecatori dalla sacra Scrittura, li escludiamo dall’uso liturgico, ottenendo con meno fatica lo stesso risultato. Inoltre tale censura della Scrittura manifesta un peccato di omissione da parte dei pastori della Chiesa che rinunciano a spiegare il significato dei Salmi imprecatori: il loro senso storico ed il senso teologico, poiché: “Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Tm 3,16). La preghiera rivela sempre, nel bene e nel male, cosa c’è nel cuore di chi prega, e con la conoscenza di quel che si è in verità, il Signore dona anche la forza di cambiare, ovvero lo spirito, a chi persevera umilmente nella preghiera, infatti: “Il Padre cerca tali adoratori” (Gv 4,23).
Miniaturista francese, Salterio Duca di Berry, 1380-1420

sabato 5 maggio 2012

Alle Muse

Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Calliopè alquanto surga,
seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro
lo colpo tal, che disperar perdono.
(Purgatorio I,7-12)


Questa invocazione rivolta da Dante alle Muse è solo un dotto formalismo ma doveroso per un grande poeta, ovvero va considerata una preghiera vera e propria?
Raffaello, Il Parnaso, 1509-10, dettaglio Dante, Omero e Virgilio
Anche al principio della prima Cantica, dove i dannati vengono puniti per i peccati in cui sono morti, le Muse sono invocate ma molto brevemente: "O Muse, o alto ingegno, or m'aiutate" (Inferno II,7).
All'inizio della seconda Cantica, dove i penitenti sono purificati e si purgano dagli effetti dei peccati commessi, ripete l'invocazione alle Muse, ampliandola non poco (Purgatorio I,7-12).
Infine principia la terza Cantica, dove i beati godono della Gloria celeste, invocando Apollo che delle Muse è guida e capo, con una lunga articolata preghiera:
"O buon Appollo, a l'ultimo lavoro
fammi del tuo lavor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l'amato alloro.
Infino a qui l'un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
m'è d'uopo intrar ne l'aringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue
sì, come quando marsia traesti
de la vagina de le membra sue.
O divina virtù, se mi ti presti
tanto che l'ombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti,

vedra' mi al piè del tuo diletto legno
venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno.

Sì rade volte, padre, se ne coglie
per trïunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de l'umane voglie,

che parturir letizia in su la lieta
delfica deïtà dovria la fronda
peneia, quando alcun di sé asseta.

Poca favilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
si pregherà perché Cirra risponda.
"
Par I, 13-36


Mantegna, Il Parnaso, 1497



In apparenza queste tre invocazioni iniziali riprendono un modulo stilistico precedente e che Dante ha ricevuto e adottato, un mero costume dei poeti.
Tale soluzione riduce però le invocazioni alle Muse ad un mero formalismo incompatibile con quanto Dante stesso afferma della sua poetica, quando rispose a Bonagiunta Orbicciani, ovvero d'esser mero scrivano al solo servizio dell'Amore ispirante: "[...] I' mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo /
ch'e' ditta dentro vo significando
". (Purgatorio XXIV, 52-54).
Perciò anche le invocazioni alle Muse e ad Apollo devono essere considerate ispirate a Dante dall'Amore, cosa che fa intravedere sotto le spoglie pagane e i simboli mitologici, epifanie della Sapienza di Dio, alla Quale è lecito e doveroso per un cristiano rivolgere le sue preci.
Raffaello, La disputa del ss. Sacramento, 1510-11, dettaglio
Raffaello condivide questa prospettiva umanistica - che in Dante è preumanistica o semplicemente cattolica - collocando Dante nei due affreschi della Stanza della Segnatura, Il Parnaso e La Disputa del ss. Sacramento. Forse Dante è l'unico personaggio ad essere presente in entrambi gli affreschi, onore che Raffaello gli attribuisce cosciente della sua grande importanza non solo in campo artistico, ma altresì teologico.
Con le categorie dantesche il primo affresco raffigura la ragione umana ed il secondo la Grazia divina. Con le categorie raffaellesche l'uno raffigura la ricerca della vera bellezza ed il secondo la ricerca della vera bontà.
Raffaello, La disputa del ss. Sacramento, 1510-11, Dante