sabato 12 ottobre 2013

il ritorno del padre

Su Il Foglio di giovedì 10 ottobre ho letto uno dei migliori e più divertenti articoli dedicati al santo padre Francesco. Lo firma Ritanna Armeni, sempre interessante. Al testo dell'articolo, dove ho sottolineato i passaggi che mi hanno colpito, seguono le mie riflessioni.

Non stupitevi se la sinistra orfana del padre si accoccola su Francesco


“Noi post comunisti, cristiani anonimi, grati a un Papa che restituisce dignità al Terzo mondo e alla lotta per il lavoro”


Dovete capirci, noi di sinistra, se ci piace Papa Francesco. Non fate del sarcasmo, non diteci con ironica condiscendenza: “E che? Ora sei diventato cattolico” quando diamo segnali di soddisfazione per le parole del Pontefice. Dovete capirci, davvero. Ricordate quando Francesco è stato eletto? Era il 13 marzo di quest’anno, in Italia c’erano appena state le elezioni politiche e, mentre la sinistra dava una delle peggiori prove di incertezza e inettitudine, la chiesa, che aveva avuto lo choc delle dimissioni di Benedetto XVI, in quattro e quattr’otto ha eletto un Papa che veniva dalla “fine del mondo”. Sapete, malgrado tanti anni in cui anche noi siamo stati invischiati nel pantano delle decisioni lente e burocratiche della gestione del governo e dello stato, un po’ di sano gusto per l’efficienza ci è rimasto. E quella elezione rapida da parte di una istituzione che era in crisi ci è piaciuta. Sapete anche che abbiamo un passato terzomondista e quel capo della chiesa che veniva dalla “fine del mondo” rinverdiva molti vecchi sogni, ci faceva sperare in una nuova linfa vitale per la vecchia Europa cristiana.
Ma queste sono state le prime reazioni, positive, ma limitate e, se volete, superficiali. Poi c’è stato il seguito. Da tanto tempo noi di sinistra, non abbiamo un padre o una madre. Qualcuno che ci dica con chiarezza e, magari anche con qualche eccesso di semplificazione: questo è bene, questo è male, questo si fa, questo non si fa. Presto probabilmente capo della sinistra diventerà Matteo Renzi che – ammetterete – della figura paterna ha ben poco. Al massimo somiglia a quegli amici dei nostri fratelli minori, furbi e bricconcelli ai quali a nessuno di noi sarebbe venuto in testa di chiedere consiglio sulle grandi domande della vita. Di una certa autorevolezza sentiamo disperatamente bisogno. Di qualcuno che dica, per esempio, “vergogna” di fronte alle morti nel Mediterraneo. Per anni in molti – e non solo di sinistra – ricevevamo un pugno allo stomaco alla notizia di quei barconi affondati, di quelle morti innocenti, ma si doveva stare attenti a non dimostrarlo troppo altrimenti nel migliore dei casi si era accusati di “buonismo” (ritenuto evidentemente di caratura morale inferiore al “cattivismo”) e quindi di ignoranza delle cose del mondo, di incompetenza sui flussi, sulle leggi, sulle statistiche sulle compatibilità, sui pericoli per l’identità del paese ecc. ecc.
Ci dovete capire. Quando il Papa, dopo aver abbracciato un disoccupato e un cassintegrato, dice “Signore Gesù dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro” abbiamo un sussulto, quasi un momento di commozione. Davvero. La parola “lotta” l’avevamo dimenticata, avevamo dimenticato che potesse avere un suono elevato, nobile. In tanti l’hanno calpestata in questi anni, disprezzandola come primitiva o usandola male, strumentalizzandola ai loro fini. Francesco invoca Gesù perché sa che non si può avere un lavoro se qualcuno non ci insegna anche come lottare per averlo. Ogni insegnamento, ogni regola, ogni priorità sono andate evidentemente perdute. I sindacati, è chiaro, hanno bisogno anche loro di qualche ripetizione. Come tanti di noi anche il Papa pensa che si deve cominciare proprio tutto daccapo.



E allora, per favore, comprendeteci. Comprendete chi per anni a sinistra, quando andava bene, ha sentito parlare di disagio sociale, di crisi che ridimensiona i redditi e di soluzioni che alla fine buttavano sempre ad aumentare quel disagio sociale e a ridimensionare i redditi di chi aveva già poco. Poi abbiamo sentito un Pontefice che vuole mettere al primo posto gli ultimi. Fino ad allora nel dibattito pubblico erano apparsi lontani, lontanissimi, invisibili. Le reazioni, infatti sono state di meraviglia e stupore. Le sue parole sono suonate scandalose. Ma quello scandalo a noi è sembrato benefico. Qualcuno finalmente squarciava un velo.
E poi di questo Papa ci è piaciuto anche qualcosa di meno nobile, ma di molto utile. Una sorta di furbizia, qualcuno dice da parroco di campagna, che gli ha fatto intuire immediatamente l’odio crescente nei confronti del privilegio. Il Pontefice che porta la sua borsa da viaggio, il Papa che telefona agli amici, il successore di Pietro che paga il conto in albergo, il capo della chiesa che non abita negli appartamenti vaticani, ma nel convento di Santa Marta. Non siamo così ingenui da pensare a gesti che non siano ponderati e inviati come messaggi, ma ci siamo chiesti perché tanti politici, anche di sinistra, non hanno sentito il bisogno di mandare messaggi analoghi. Per furbizia, magari, se non per convinzione. Ma quella furbizia avrebbe indicato una sintonia e un rispetto, un senso dell’opportunità che ai nostri antichi padri e antiche madri non mancava.
Ma la dottrina, direte, la dottrina? Quando questo Papa parlerà di matrimonio gay, di aborto, divorzio, allora voi di sinistra che direte? Sarete ancora così entusiasti, così “papisti”? Probabilmente no. Probabilmente avremo molto da dire, da contestare, da criticare. Per il momento abbiamo provato una certa consolazione quando il Papa ha parlato degli omosessuali come “feriti sociali” e ha detto che la chiesa è la casa di tutti, anche e soprattutto, degli irregolari. E quando abbiamo constatato che dopo anni di affermazione di valori “non negoziabili” questo Pontefice ci ha detto: “L’opinione della chiesa su questi temi è nota e non c’è bisogno di parlarne sempre”. Per il momento ci basta. E anche qui dovete capire: non ne potevamo più di quella perdita di buon senso a cui sempre più spesso portano le discussioni di dottrina. Non è inevitabile che sia così, ma così finora è stato.
E allora per il momento attendiamo e pensiamo che non sarebbe male cominciare a discuterne prima di litigare con la chiesa. E chissà perché ci viene da pensare che, quando ne discuteremo con chi segue “la nota dottrina”, troveremo orecchie più attente, una testa più aperta, e gli steccati, anche quelli dei laici, potranno essere più fragili.

Sì, questo Papa ci piace. E chi alla chiesa ha sempre creduto dovrebbe essere contento della possibilità di una nuova fratellanza che si fonda su una fiducia reciproca. Di recente il mio amico Fausto Bertinotti, anche lui “papista” convinto, mi ha passato un numero del 2007 della rivista 30 giorni diretta da Giulio Andreotti. Contiene una stupenda intervista a Papa Francesco allora cardinale di Buenos Aires. Ne consiglio la lettura. Nell’intervista, nella quale con assoluta coerenza c’è già tutto Francesco, il Papa parla fra l’altro della necessità di “uscire dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è Dio”. “Questo vale anche per i laici?”, chiede l’intervistatrice Stefania Falasca. E il cardinale Bergoglio risponde: “La loro clericalizzazione è un problema. I preti clericalizzano i laici e i laici ci pregano di essere clericalizzati… E’ proprio una complicità peccatrice”. E prosegue: “E pensare che potrebbe bastare il solo battesimo. Penso a quelle comunità cristiane in Giappone che erano rimaste senza sacerdoti per più di duecento anni. Quando tornarono i missionari li trovarono tutti battezzati, tutti validamente sposati per la chiesa, i loro defunti avevano avuto un funerale cattolico. La fede era rimasta intatta per i doni di grazia che avevano allietato la vita di questi laici che avevano ricevuto solo il battesimo e avevano vissuto la loro missione apostolica in virtù del loro battesimo. Non si deve aver paura di dipendere solo dalla Sua tenerezza”.
Adesso è chiaro perché ci dovete capire? Perché molti di noi di sinistra sono quelli che Karl Rahner definiva “cristiani anonimi”, siamo fuori dal perimetro della chiesa, però ne possiamo condividere idee e convinzioni. E questo – rassicuratevi – sempre per dirla con Rahner “non rende superfluo il cristianesimo esplicito, anzi lo reclama per la sua stessa essenza e per la sua specifica dinamica”. Allora tranquilli. Niente di male se il Papa piace a sinistra. Se piace ai laici, ai non credenti, agli atei e ai miscredenti. Abbiate un po’ di comprensione. Anche noi abbiamo bisogno di un padre che abbia fiducia in noi. Che poi sia santo, questo lo ammetto, è fatto che vi riguarda quasi esclusivamente.


5. "Orfana del padre" dichiara il titolo dell'articolo, riferendosi alla sinistra, forse per giustificare l'accoccolarsi su Francesco, atteggiamento tipico del bambino. Strana questa scelta linguistica da parte di chi si proclama erede dell'illuminismo, il quale pretendeva di far uscire l'umanità dallo stato di minorità. In effetti, in ogni uomo adulto si cela un bambino che rimane vivo e vegeto, con tutta la sua energia e tutte le sue ferite, con la sua selvaggia esuberanza e i suoi desideri onnivori. 

mercoledì 26 giugno 2013

professo un solo battesimo

Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Così il Credo Niceno-Costantinopolitano normalmente recitato durante la Messa.
Ergo, i due sacramenti che perdonano i peccati, il sacramento della Penitenza e quello dell'Unzione degli infermi, sono espansioni nel tempo della grazia battesimale. Grazia che imprime nell'anima il sigillo della morte e resurrezione di Gesù.
Strano che chi venera il battesimo conferito agli adulti, senza perdere occasione per dichiarare la propria disistima contro il conferimento ai bambini dello stesso identico sacramento, sia spesso un parco frequentatore del sacramento della Penitenza. Anzi, è logico. Infatti venerare la propria coscienza e considerare la propria fede adulta, impedisce di conoscersi come un qualunque peccatore, come il vicino della porta accanto.
Povera la Chiesa che vagheggia la sola fede adulta! Ha abbandonato il confessionale e frequenta assiduamente i convegni.

giovedì 13 giugno 2013

Muoia Sansone e tutti i filistei

La Corte Costituzionale Federale tedesca ha terminato le sue audizioni.
In autunno emetterà la sentenza sulla compatibilità con la Legge Fondamentale dell'Outright monetary transactions (Omt) uno strumento finanziario adottato dalla BCE per combattere la crisi economica.
La Corte di Karlsruhe ha tre opzioni tra cui scegliere: approvare, limitare, bocciare che in realtà si riducono a due. Se approva conferma la principale arma messa in campo dalla BCE contro la speculazione finanziaria, dando torto alla BuBa. Se limita o boccia l'Omt, da torto alla BCE e condanna l'euro a saltare.
Speriamo che si avveri la seconda, così da uscire finalmente dalla lenta condanna a morte cui l'euro ci ha dannati.
Speriamo che la Banca d'Italia abbia conservato i cliché delle banconote in lire.
Speriamo che il Governo abbia piani adeguati ad entrambi gli esiti.

martedì 28 maggio 2013

Manifesto per un mondo un po' felice

Manifesto per un mondo un po’ felice

La femminista Elvira Banotti contro le ossessioni inquisitorie della Boccassini e il totalitarismo gay

Mi chiamo Elvira Banotti, autrice nel 1970 dello storico “Manifesto di Rivolta Femminile. Vorrei far riflettere le donne sull’accusa-paradosso ideata dalla pm Ilda Boccassini contro Silvio Berlusconi. Iniziativa fino a ora non inquadrata analiticamente nel “gigantesco affresco della prostituzione”.
Nel paese in cui circa 10 milioni di uomini nutrono la propria disfatta prostituendo platealmente milioni di giovani donne e bambine/i nel “turismo del disprezzo” (quindi sadismo e non sessualità!) e in quello ancor più terrificante della pedofobia (attente: non “pedofilia”), il clamoroso elefantiaco procedimento penale avviato dalla Boccassini per “induzione alla prostituzione” appare veramente comico!
Vi risulta per caso che siano in corso processi contro i milioni di “clienti-che-comprano-sesso”, uomini che indisturbati nelle nostre periferie e campagne compiono stupri, alimentando anche la tratta di persone? O che la magistratura sappia intervenire con un decreto-di protezione per arginare tutti i casi di aggressioni che preannunciano l’assassinio di tante donne? Dove credete che trovi la propria ispirazione il “donnicidio” – quel “diritto” punitivo di antica memoria che oggi terrorizza mogli e fidanzate – se non dalla prostituzione del Femminile teatralizzata persino dai Trans che scempiano l’identità di tutte le donne? Ricordate che Marrazzo affermò che “malgrado la presenza del pene il trans rappresenta la donna delle meraviglie”!
Ma Boccassini confeziona il teorema che dovrebbe “mandare al patibolo” chi attraversa – senza schermare i propri desideri di relazione – il campo ancora minato da quelle ipocrisie – ancora radicate nella nostra Costituzione – con cui è stata inabissata l’Eterosessualità, mentre contestualmente si celebra Nichi Vendola, un essere oscurantista impietrito da una pericolosa “repulsione” per la donna! E che dire della sodomia propagandata da trasmissioni come “La Mala Educaxxxion”, con la quale La7 inscrive la sodomia come pratica altamente erotica, suggerendola alle proprie spettatrici?
E’ il clima sbrindellato delle ideologie che consente a Gay e Lesbiche di investirci tutti con l’accusa di “omofobia” mentre sono attentissimi a oscurare le proprie pregiudizievoli cicatrici emotive con le quali aggiornano il sedimentato, morboso allontanamento tra uomini e donne: cioè l’erotismo e la preziosità dell’Accoppiamento. Sono depositaria di alcune loro narrazioni (autentiche). Raccontano sofferenze causate da un immaginario atrofizzato, evidenziano “scissioni” emotive derivate da rapporti alterati dalla misoginia, disastri che Gay e Lesbiche (più corretto definirli Ginofobi e Omofobe) riescono abilmente a oscurare. Traumi che per la loro intensità dovrebbero al contrario preoccuparci notevolmente! Più di quanto lo richiedano gli atteggiamenti deludenti di un uomo (forse) eccessivamente… espansivo.
Il procedimento sceneggiato dalla Boccassini in realtà non inquadra un reato ma tenta soltanto di dar corpo a una “colpa” fantasticata su intelaiature introspettive dell’accusato: l’induzione… Cioè una ipotesi tutta da dimostrare! Stiamo vivendo la materializzazione di una magistratura di stampo INQUISITORIO tesa appunto ad atrofizzare con ostilità persino le difese di avvocati e testimoni… Quel processo per “induzione” si svolge in un contesto “omofobico” più che giudiziale, tanto che vengono ridisegnate soprattutto le donne, offese con interrogatori che le hanno esposte al facile ludibrio di un giornalismo essenzialmente brutale, patologico che ci trascina tutti verso il pregiudizio. Al contrario, la Boccassini e il tribunale di Milano dovrebbero prima di ogni altra cosa schermare Ruby, proteggerla da divulgazioni diffamatorie proprio in quanto viene da loro definita “minore”. Soprattutto dovrebbe tener in debito conto l’impari confronto vissuto tra una adolescente ed un pubblico ministero!
Se la Boccassini ascoltasse le “confidenze” e i racconti che ciascuno offre della propria vita sessuale l’Italia sarebbe sommersa da rinvii a giudizio! E che dire poi dei club degli scambisti che sfuggono ai controlli arbitrari della pm?
Boccassini, a me piace evidenziare quanto finalmente noi tutti (o quasi) desideriamo lanciarci negli incontri alla ricerca di scoperte amorose, di emozioni sessuali e non sessiste! E nelle cosiddette “serate” speriamo sempre di divertirci ma soprattutto di sedurre. La nostra esistenza è infatti principalmente sostenuta dalla sessualità e dal piacere. Esperienza che noi donne stiamo tentando di ricomporre mentre contemporaneamente tentiamo di dipanare la matassa che da secoli altera la giustizia, i codici storici, le professioni, le mentalità e la politica; matassa nella quale troppe donne rimangono imbrigliate.
Tanto che quel desiderio ostinato di sopraffazione della pm rappresenta un cardine arcaico del desiderio di dominio su altri che satura ancora il sapere. Eredità concettuale che ancor oggi con la sua tremenda configurazione nei poteri giudiziari (di cui quel processo è una prova) devasta la società. La Boccassini persegue quel drammatico disegno tanto che intende scolpire un codice interpretativo delle nostre attitudini permeandolo sulla psichiatria più che sul reato. Mentalità di “replicante” il cui metodo è già profondamente stivato nel serbatoio del cosiddetto “diritto penale”, un rovesciamento dei significati teso lungo i secoli a riprogrammare donne senza desiderio, profilando per loro una “moralità depressiva”. Traccia sostanziosa del disagio psicologico degli uomini ideatori dei sistemi di comando che animano visibilmente la Boccassini impegnata a intercettare parole e commenti capaci di dequalificare la ricerca di libertà nelle relazioni.
Se la pm avesse dedicato la sua attività ventennale per inquadrare il dinamismo mafioso – che si è radicato fino a raggiungere come sede prediletta la Lombardia e soprattutto Milano – forse il suo attivismo sarebbe stato utile. Ma di quel detonatore del delitto se ne sono occupati soltanto valorosi giornalisti che hanno evidenziato in più occasioni eventi e nominativi… Inascoltati! Il Csm dovrebbe mettere sotto la lente di ingrandimento l’attività dispendiosa ma pericolosa della procura della Repubblica di Milano (tesa fin dal 1992 esclusivamente a tiranneggiare presidenti del Consiglio vari, ignorando del tutto un fenomeno appariscente come la mafia). Dovremmo addebitare a pubblici ministeri e magistratura i miliardi buttati al macero. Dobbiamo introdurre la responsabilità civile della magistratura per non collocare la giustizia tra le forme attuali di mafiosità.
A completamento di questo quadro deprimente voglio ricordare che alcuni giorni fa abbiamo assistito a una plateale rappresentazione esibita con scenografie psicotiche che a distanza di millenni continuano a “proclamare” il Maschile come solo tramite del sacro, egemonizzato da quella “intronazione papale” che neanche Luigi XVI avrebbe saputo immaginare. Una rappresentazione di misoginia che ci ha “rintronato” consentendo ancor oggi a uomini che negano il proprio corpo e i desideri per poi qualificarsi comicamente come unici tramiti di un mistero: il divino… (ma per nostra fortuna il film su Papa Alessandro Borgia ci ha restituito una minima verità su fanatismi camuffati!). Quella ressa di uomini addensati in una “umile” ginofoba teatralità che ha inchiodato i media era nei fatti una mostruosa rimozione dei significati della Donna reale, delle verità e della nascente Estetica dell’Eterosessualità. Coronata dalla “benedizione” nel nome del padre del figlio e dello spirito santo che rappresenta infatti l’enigma malefico che fa entrare l’Umanità nella Storia del Mondo senza la madre e senza la donna! E’ evidente che le religioni – sia cristiane che islamiche – condensano ancor oggi una sistemica “induzione ideologica alla prostituzione” dei corpi e del piacere evidenziando un’etica che contiene “profili giudiziari di ordine penale” che purtroppo la Boccassini non sa interpretare. Solo Berlusconi fa problema!
Se tentassimo una modesta individuazione sugli effetti di tutte le teatralità che partono dal Vaticano fino al Quirinale e ne valutassimo effetti rischi e pericoli, le serate da Silvio Berlusconi ci apparirebbero ingenue, certamente non pregiudizievoli… e potrei continuare.
di Elvira Banotti

domenica 26 maggio 2013

sorpreso dalla gioia

Trinità, Maestro tedesco, 1415-30

I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce.
San Gregorio di Nissa

Il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell'evento di Cristo con delle regole.
Papa Giovanni Paolo I

Abbiamo dichiarato eretici l'amore e il buon umore.
Papa Benedetto XVI


Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede. La fede è un dono, è il Padre che ce la dà.
Papa Francesco


Trinità, Lorenzo Lotto, 1523 - Chiesa di sant'Alessandro (BG)


Sono rimasto sorpreso dalla gioia per questi stupendi aforismi. Li ho trovati nella terza pagina del Foglio odierno, sabato 25 maggio 2013. Difficile trovare riuniti in un solo articolo tanti e tali pensieri, è perfino difficile trovarne di pensieri. Grazie a Maurizio Crippa, vicedirettore del Foglio e autore dell'articolo.
Buona festa della santa Trinità.

Trinità, Pieter Coecke van Aelst, Museo del Prado

giovedì 23 maggio 2013

Sul Padiglione del Vaticano alla Biennale

   C'è chi pensa che il dialogo con il mondo sia inseguire i maître à penser per esserne battezzati. C'è chi pratica il dialogo con il mondo senza accorgersi che dietro o dentro il mondo può celarsi la mondanità del "principe di questo mondo" (Gv 12,31; 16,11) col quale giammai si può dialogare per non incorrere nell'errore di Eva: interloquire col "padre della menzogna" (Gv 8,44) comporta l'abbandono dell'unico Signore.
   Esempio di un siffato dialogo col mondo è la partecipazione del Vaticano alla Biennale di Venezia. Il Vaticano ha scelto come tema per la sua prima volta il libro della Genesi. Per ironia della sorte è lo stesso tema che cinquecento anni orsono Michelangelo affrescò sulla volta della Sistina.


   Ecco il commento di Gabriella Rouf pubblicato sul n° 753 de Il Covile.

La rinascita del bello negli ateliers e le mummie della Biennale. Un aggiornamento.
   Né cronache di arte. Né cronache vaticane. Il Covile interviene sui territori di confine, dove la distanza colloca con più chiarezza la prospettiva. La relazione di Aude de Kerros pubblicata nel n° 748 ne dà una, confortante e impegnativa: la rinascita del bello negli ateliers.
   Vogliamo pertanto considerare residuale, comunque vada votato all'oblio, l'imbarazzante episodio del Padiglione del Vaticano alla Biennale di Venezia. Passarlo sotto il silenzio che merita, come quelle operazioni intempestive e attardate, che si affrettano a mettersi in pari, pagando pegno per entrare nel gioco? Sul paradosso istituzionale, e sulla subalterneità alle mode dell'Arte Contemporanea concettuale, c'è poco da dire, fatti e immagini si commentano da sé. Che esso sia il prodotto del carrierismo e protagonismo di alcuni personaggi della Curia, anche questo è purtroppo evidente. Che ci sia anche un aspetto inquietante di spreco di danaro, di fatua complicità con il sistema speculativo dell'AC, chi può negarlo?
   L'iniziativa, per molti versi inopportuna, e le difese di essa, per quanto impacciate e stizzite, sembrano però mirare (e questo è più preoccupante) ad ufficializzare un punto di non ritorno, e proprio nel momento in cui il monopolio e l'arroganza dell'AC sembrano messi in discussione, e lo sono comunque dal ridursi dei flussi finanziari di cui essa non può fare a meno per esistere. Insomma, mentre i MAXXI vari collassano sul proprio vuoto, e i vip dell'AC vanno a cerca di qualunque connubio (con moda, pubblicità, arredi urbani ecc.) purché retribuito, è proprio la «commissione cultura»della Santa Sede ad accreditare come arte la produzione di «oggetti estetici» che arte non sono, che emergono per cooptazione da un mercato drogato e speculativo, in mano a lobbies ben note, eticamente e professionalmente indifendibili. Questo errore di prospettiva e di valutazione, arrogante quanto imprudente, ha una duplice negatività: quella evidente, perché trasferisce su opere banali e insulse un'aura a cui mai potrebbero aspirare, e quella «che non si vede», perché svia altri possibili e fecondi confronti, dando ad essi la sponda fasulla di avanguardie spossate e senili, di «arti povere», di avanzi e robaccia messa in saldo sui circuiti internazionali.
   Che questa impostazione vada a confluire con quella della gestione del «Il Cortile dei Gentili» non è una forzatura, perché il cardinal Ravasi stesso trionfalisticamente vi accenna, preannunciandone ulteriori tappe, forse usando la tattica del fait accompli. Come notammo a suo tempo, l'intuizione di Papa  Benedetto è stata stravolta dalla gestione ravasiana, trasformandola in un programma di eventi istituzionali, palcoscenico in cui ognuno rappresenta se stesso (lui per primo), con i soliti (o anche insoliti, se si pensa al cabaret de CdG di Parigi) professionisti dell'ateismo, dell'agnosticismo, ecc..
Iniziative di questo genere, del resto scontatissime, non hanno mai turbato nessuno, né tanto meno convertito, sono tipiche «iniziative culturali», in cui si vanta la partecipazione di questo e di quello, per dimostrare apertura di vedute e il riconoscimento da parte di ipotetiche élites intellettuali (in realtà tuttologi pronti a tutto).
   È questo stesso schema che sta dietro alla partecipazione del Vaticano alla Biennale, e basta leggere le dichiarazioni di Ravasi in proposito: da una parte dimostrare che la Chiesa ha attenzione verso il mondo dell'arte, preso come oro colato per quello che è ufficialmente, con i suoi «artisti famosi», curatori ambiziosi e critici prezzolati e, dall'altra fare in modo che la Chiesa sia presente come istituzione in un ambiente che si avvale di un'eco mediatica (spesso procurata del resto con scandali «ad arte»). Il pasticcio che ne deriva è evidente: sponsorizzare il concettuale, che arte non è? Proporre agli «artisti» un tema vagamente religioso? Andare sul sicuro, con nomi storicizzati? E il costo dell'operazione?
   Questo disorientamento è paradossale, perché l'arte sacra cristiana costituisce di per sè un termine di discernimento, in quanto risorsa spirituale e materiale condivisa, arte dell'incarnazione, integralmente umana, testimonianza di fede, sintesi di testo sacro, culto, devozione. Mai al servizio dell'artista, per quanto geniale. Mai espressione di una generica spiritualità, ma di profondi ed elaborati concetti teologici, leggibili in simboli e figurazione.
   L'arte concettuale, non può essere che a servizio dell'artista, anzi della firma, in quanto lo stesso statuto di arte le viene da una convenzione interna al sistema AC, e la firma è a sua volta prodotto di operazioni finanziarie e commerciali. L'arte concettuale è l'arte della dittatura, dittatura soft nell'occidente, dittatura di regime in Cina. È la copertina patinata degli orrori marcianti delle teorie del gender, del relativismo morale, degli apparati speculativi e dei poteri forti. Non si può ignorarlo, e spremere da essa ipotetici aneliti al divino; anche il suo morali smo, nel mettere in evidenza i mali della società, è, com'è noto, compiaciuto e pretestuoso.
   Del resto, l'arte non è politica, in cui occorre individuare ragionevoli compromessi per il bene comune. In ogni caso, quest'ultimo è ignorato e irriso dallo spreco e dalla mondanità fatua che caratterizza gli eventi legati all'AC, eventi usa e getta, mentre la spesa sul patrimonio avrebbe invece carattere di investimento.
   La Chiesa deve ripercorrere e recuperare il suo ruolo di committenza, smarrito nelle teorizzazioni di padre Couturier, pervertito in una vera marcia della follia nella teologia del Collège des Bernardins e negli scempi delle archistar e negli adeguamenti liturgici horror. L'arte è incarnazione di Bellezza, e pertanto non ha niente a che fare con l'arte ufficiale AC, che è una metafisica rovesciata, per la quale qualunque bruttura, oscenità, insensatezza, una volta che sia cooptata e accreditata da un sistema  autoreferenziale, viene imposta come arte, oggetto di culto, orrido feticcio.
Cardinale Ravasi
   Ravasi questo non vuole vederlo, e si guardò bene da rispondere a suo tempo a Jean Clair che sollevò con chiarezza questi problemi al Cortile dei Gentili di Parigi, invocando una diversa assunzione di responsabilità della Chiesa di fronte alla deriva autodistruttiva dell'arte, ormai consumatasi nel monopolio globalizzato dell'arte concettuale. Gli argomenti di Ravasi e dei promotori del Padiglione del Vaticano alla Biennale sono una triste eco di quelli di padre Couturier: triste perché bene o male il domenicano aveva a che fare con Matisse, Chagall, Picasso, insomma con gente che sapeva il suo mestiere, realizzava opere d'arte e aveva una sua etica. Motivava mesi fa Ravasi, operando vertiginosi salti logici:

«[...] è un terzo ambito di evangelizzazione che è stato per secoli decisivo, ed è quello dell’arte che esige oggi di essere ritessuto secondo la nuova grammatica e stilistica delle espressioni artistiche contemporanee senza perdere il legame con la sacralità del culto cristiano. In questo orizzonte si colloca l'invito rivolto ad alcuni artisti di partecipare, con una loro opera ispirata al tema della Creazione-Decreazione-Nuova Creazione, nel padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia.»

   Se l'arte è stata decisiva per secoli, lo è stato in quanto integrata e condivisa con la vita dei popoli e della Chiesa, con le sue tradizioni e il suo magistero. Oggetto dell'evangelizzazione non era tanto l'artista o l'ambiente artistico, quanto il popolo nel suo insieme, senza che questo volesse dire una strumentalizzazione dell'arte, anzi: proprio da questo legame con il popolo e con la trascendenza, l'arte cristiana ha espresso la metafisica del visibile, a cominciare dalla figura umana nella sua realtà, nobilitata e trasfigurata dall'Incarnazione. L'artista, anche di grande successo, si metteva al servizio di un progetto iconografico, che era tutt'altro che una banalizzazione dei testi sacri, bensì una catechesi per immagini, capace anzi di esprimere diversi e complessi percorsi dottrinali e morali; pensiamo, per esempio, alla Cappella degli Scrovegni, e come la sua impostazione teologica agostiniana si confronti con quella contemporanea di Dante, ispirata a San Tommaso.
   Questo linguaggio, e questa grammatica (per usare le parole di Ravasi), pur in un meraviglioso, inesauribile mutare storico, sono gli stessi ed eterni, perché radicati nella realtà dell'uomo, nei suoi sensi, nel suo cuore. La Bellezza non è qualità relativa, anche se infinite sono le forme in cui si rivela. Certo, esiste un problema di ricerca, di sapienza, anche un mistero. Ma con l'arte contemporanea AC, il processo è esattamente opposto, perché si parte da un a-priori convenzionale, da un concetto, da una trovata qualunque che possa corrispondere a qualche segmento del sistema: dall'oggetto «povero» esposto come tale, al tecnologico, all'osceno, alludico, al blasfemo, all'informe irriconoscibile come opera, e come tale totalmente disponibile (così ci si può trovare l'anelito all'infinito, al divino ecc..). Non si può parlare allora di linguaggio o tanto meno di grammatica, perché nulla in questo prodotto è per definizione condivisibile e comunicabile, va accettato per quello che squallidamente è, salvo poi impacchettarlo in qualche pia intenzione, corredato d'istruzioni per l'uso (si paga per questo, visto che un valore intrinseco non c'è). È l'esatto opposto del simbolismo, in cui un'immagine offre plurime e stratificate letture: l'arte concettuale realizza un'immagine brutta e insensata, che a sua volta non significa nulla. Il ridicolo cero del Duomo di Reggio Emilia è un brutto tubo tra il razzo e lo scaldabagno, e tale rimane, muto e chiuso nella sua sgraziata materialità.
   Le problematiche sui linguaggi artistici del sacro e sull'opera incarnata sono sempre state feconde nei secoli, tutt'altro che immobili o scontate, tutt'altro che eterodirette. Esse hanno mosso dall'interno l'intera storia del'arte dell'occidente, perché la Bellezza come valore trascendente incarnato nell'umanità di Cristo ha dato alla rappresentazione della natura e della figura umana una dignità ed una ricchezza inesauribile, sfida e stimolo alla forma. È solo nel XX secolo che il tessuto si è lacerato, e l'arte si è prosciugata e inaridita nei soli aspetti esistenziali, perdendo rapidamente il dominio e la sapienza della forma, per venir meno nella sua essenza e nella sua vera libertà. Questo però non è un processo irreversibile, e la testimonianza dell'arte del passato e della Bellezza dell'uomo e della natura, non potrà non richiamare la sensibilità e il talento alla rappresentazione della realtà nei suoi aspetti complessi e profondi, nella sua gloria e nel suo mistero. In questo quadro iniziative come quella del Padiglione vaticano alla Biennale, anziché «ritessere» alcunché, testimoniano conformismo ai fasti mondani, e, più  profondamente, il disagio di una diffusa cecità, ottusità del cuore e dei sensi, abitudine al brutto, che è poi la forma del male.
   I sostenitori dell'AC, com'è noto, sono i suoi peggiori propagandisti, appena tolti dai loro laboratori protetti. Padre Dall'Asta, emissario del card. Ravasi sul terreno, e nel cui curriculum c'è lo scempio del Duomo di Reggio Emilia, non ha dubbi: il dialogo è tra Chiesa e arte concettuale AC, la religione del postmoderno. Che vi sia un'Arte di oggi diversa, che sia in corso, a livello internazionale, una seria discussione sull'Arte, e sull'Arte cristiana, Dall'Asta lo ignora. Egli fa propria l'ideologia e la pretesa dell'AC che non essendo arte, necessita di un riconoscimento extra artistico, concettuale e pecuniario insieme. Il Padiglione del Vaticano alla Biennale glielo dà. Esso offrirà una copertura di parole, parole, ai soliti imparaticci, ai soliti assemblaggi di materiali, che trarranno un'aura dalle generose didascalie del card. Ravasi. L'episodio fa del resto emergere tensioni più profonde: le dichiarazioni di Dall'Asta, infatti, si fanno torve e isteriche quando allude a chi non condivide i suoi obnubilamenti, sprezzanti e minacciose quando preannuncia nuove offensive (è la parola giusta) dell'AC nell'arte sacra e liturgica. Anche in questo si dimostra dove si trova la sincera sollecitudine, la competenza e la condivisione — la generosa battaglia di Francesco Colafemmina — e dove invece la subalternità alle mode, la posizione di privilegio e l'indisponibiltà a qualunque serio confronto.
Raffaello, Papa Leone X e i cardinali Giulio de medici e Luigi de Rossi

domenica 7 aprile 2013

Triduo Pasquale 6. Ottavo giorno

   La Pasqua di Gesù identificata come Primo Giorno della Settimana e come Terzo Giorno dopo la morte, è chiamata anche Ottavo Giorno.
   Primo Giorno della Settimana indica che la Resurrezione è l'Alfa, l'Inizio di tutto ciò che esiste, del cosmo, della natura, della storia della Salvezza, tutto ebbe inizio con la creazione della Luce, riflesso e conseguenza nel mondo creato della generazione del Figlio dal Padre sul piano increato.
   Terzo giorno dalla morte di Gesù indica che la Resurrezione non è solo un idea religiosa, né una semplice attesa psicologica e nemmeno il segreto desiderio di vita eterna di ogni creatura. Se la Resurrezione fosse solo una idea, una speranza o un desiderio sarebbe irreale come i sogni e i fantasmi, mentre Gesù risorto insiste a presentarsi come reale, dotato di un corpo in carne ed ossa, palpabile, profumato  e vivente, capace di mangiare una porzione di pesce arrostito (Lc 24,36-43). Il desiderio d'immortalità è vero e universale e si fonda sulla carne umana e mortale di un uomo preciso e realmente esistito, nato e vissuto in 'eretz Isra'el, morto e sepolto nell'anno 30 dC (oppure 33).
   Ottavo giorno è una denominazione paradossale, nome che esprime la dimensione sovratemporale della pasqua cristiana e della domenica. Questo nome si radica sul semplice fatto che Gesù risorto vive per sempre, come dice il Figlio dell'uomo al veggente di Patmos nel giorno del Signore: "Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi" (Ap 1,18). In lui iniziò il nuovo eone, la vita eterna. Iniziò proprio in questa sua e nostra storia, poiché nell'eternità non c'è nè può esserci inizio.
   La Vita della resurrezione non è più soggetta alla morte è compiutamente espressa dal bel nome di Ottavo Giorno. Esso non si lascia circoscrivere dalla serie dei sette giorni che compongono il rosario delle settimane. L'ottavo giorno rispetto alla serie settimanale composta da sette giorni, indica l'ingresso nell'eternità, ma senza uscire dal tempo storico, infatti è il giorno successivo, cioè legato, al settimo. Legame costituito dall'identità personale di colui che è morto in croce con colui che è risorto dal sepolcro. Identità certificata silenziosamente dalla presenza delle piaghe, segni corporei della sua passione per noi. Identità garantita da lui stesso sia prima che dopo la sua sepoltura; prima quando nel corso della sua predicazione profetizzò la sua fine cruenta e la sua resurrezione il terzo giorno; dopo la sepoltura quando si fa riconoscere dai suoi in vari modi: chiamando per nome Maria Maddalena, spezzando il pane ai due discepoli di Emmaus, mostrando i segni della sua crocefissione impressi nel suo corpo agli apostoli.
CARAVAGGIO, Incredulità di Tommaso
   Nell'Ottavo Giorno Gesù risorto appare per guarire Tommaso "chiamato Didimo" (Gv 20,24).
Perché l'evangelista puntualizza il soprannome di Tommaso? Tra i dodici non v'era omonimia col rischio di confondere l'uno con l'altro. Tale soprannome racconta una notiziola biografica dell'apostolo, il mero fatto che come Giacobbe anche Tommaso aveva un fratello gemello. Forse il soprannome allude alla malattia spirituale da cui è affetto Tommaso il doppio? Egli sfida i condiscepoli che danno testimonianza apostolica della resurrezione di Gesù e implicitamente sfida il Signore che li ha costituiti con il soffio del suo Spirito, ponendo stringenti condizioni all'atto di fede : "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo" (Gv 20,25). Tommaso è rattrappito, il suo corpo è formato dall'anima sua: le sue dita e le sue mani contratte raccontano di un uomo che vuole vedere il Risorto per credere alla resurrezione di Gesù, vuole toccare il Corpo crocifisso per credere alla redenzione di Cristo. Tommaso ha in mente una fede solo umana, fondata sul vedere e dal toccare plasmata. Una fede incredula e diffidente, per la quale Tommaso è veramente doppio: crede come miscredente, perciò pone condizioni a Colui che "conosce quello che c'è nell'uomo"(Gv 2,25).
   Per guarirlo dall'incredulità Gesù appare e gli offre il suo Corpo trafitto quale farmaco. L'ostensione del Corpo Risorto è accompagnata dalle Parole che salvano: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!" (Gv 20,27). Solo per questo comando del Signore il vedere e il toccare di Tommaso sono salvifici, perchè fatti in obbedienza a Gesù e non al proprio desiderio, alle proprie insicurezze e dubbi, dai quali da soli non possiamo liberarci. Guarigione che avvenne perché s'adempisse la Scrittura: "Per le sue piaghe siamo stati guariti" (Is 53,5). Le piaghe che ci guariscono e nelle quali nasconderci, non sono quelle di un cadavere, piaghe immonde per la Legge, ma sono le piaghe del Vivente, "sorgente zampillante per lavare il peccato e l'impurità" (Zac 13,1), fontana della divina misericordia.
   Grande  misericordia di Gesù verso Tommaso. Non tutti potranno vedere per credere, ma tutti crederanno e vedranno. Il rapporto tra segni e credere è uno dei fili conduttori del IV Vangelo. Ecco come inizia e come termina."Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo." (Gv 2,23-25). I segni sono fatti per essere mostrati e quindi per essere visti, per passare dalla visione dei segni alla fede in Colui che compie i segni. Questo è il criterio indicato nel Primo Testamento per discernere i falsi profeti dai profeti di Dio. Ciò nonostante Gesù diffida di coloro che credono nel suo nome avendo visto i segni che egli compiva, perchè conosce quello che c'è nell'uomo. Il problema è che spesso l'uomo ignora quello che c'è in lui, ed ignorandosi non può sapere ciò che fa. Al termine del Vangelo, l'apostolo Giovanni dichiara lo scopo per cui lo scrisse: "Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome." (Gv 20,30-31). I segni vennero scritti perchè siano letti e leggendoli siano immaginati e vedendoli si creda che Gesù è il Cristo e il Figlio di Dio e credendo si abbia la vita nel suo nome.

venerdì 15 marzo 2013

qui sibi nomen imposuit Franciscum


I commenti sul nome che il cardinal Jorge Mario Bergoglio si è imposto danno per scontato che lo abbia scelto in onore di san Francesco d'Assisi, fondatore dei Francescani e patrono d'Italia. Possibile e sottilmente ironico, un gesuita che sceglie di chiamarsi col nome di Francesco, nemesi del fatto che un papa francescano, Clemente XIV, abbia soppresso l'Ordine della Società di Gesù.
Tale interpretazione trova conferma nell'attenzione evangelica del novello pontefice per i poveri e soprattutto permette al pensiero dominante di appropiarsi dell'icona papale per promuovere le proprie battaglie: per una chiesa ecologica, alternativa, priva di mezzi, tutta spirituale, finalmente doma!
Ma non credo che questa interpretazione sia l'unica, né tanto meno quella esatta, fatta salva l'ironia salvifica.

L'attività pastorale del card. Bergoglio in Argentina mi sembra abbia avuto due priorità: l'Evangelizzazione e la Chiesa di popolo. Ovvero una Chiesa missionaria e non riepiegata su se stessa, e una Chiesa non elitaria, dei perfetti, dei pochi ma buoni, bensì una chiesa di popolo, magnanima e misericordiosa che dona senza misura e senza rigide condizioni la Grazia che Dio le dona e di cui ella è strumento e sacramento.
Soprattutto la prima priorità suggerisce un'altra figura tra i santi, guarda caso gesuita e patrono con santa Teresina delle missioni, san Francesco Saverio.

mercoledì 13 marzo 2013

Caro cardo salutis

La parabola del padre misericordioso (Lc 15) è aperta, affinché ciascun lettore decida come concluderla. Ecco lo svolgersi dell'azione. Il destino del figlio minore è noto: per il suo ritrovamento in cielo si festeggia allegramente, è la soluzione del dramma umano secondo la mente di Dio. Il destino del figlio maggiore rimane, invece, sospeso: entrerà in casa dove si festeggia per il fratello minore, oppure resterà fuori, solo con il suo rancore, in quelle tenebre esteriori ove risuona lo stridore dei denti? La soluzione definitiva ancora manca, sospesa alla libertà del fratello maggiore.


Il figlio perduto è salvato dalla carne affamata. Quando comiciò a trovarsi nel bisogno, divenne pastore di maiali e nessuno gli dava nulla: è solo e affamato. La carne affamata del suo corpo diventa la sua maestra e gli ricorda la via smarrita. Il primo passo, quello decisivo, lo fa rientrare in se stesso. Il secondo passo viene di conseguenza, egli rammenta che la situazione dei salariati di suo padre è migliore della sua: loro ricevono il pane, cibo dei figli, mentre a lui nessuno dà nemmeno delle carrube, cibo dei porci. Col terzo passo, ancora traballante, decide di ritornare da suo padre e di chiedere perdono, pur riconoscendolo come padre, non tira la conseguenza logica e necessaria di riconoscersi figlio, decide di chiedergli solo d'essere un servo. Tutto ciò grazie alla carne, vero cardine della salvezza.


Il figlio minore pecca contro il Cielo, contro se stesso e contro suo padre.
Contro il cielo quando abbandona la casa paterna, pretendendo l'eredità prima del tempo, prima di restare orfano. Contro di sé quando dichiara di non essere più degno d'essere chiamato suo figlio, pur chiamandolo ancora padre contraddicendosi. Contro suo padre quando decide di chiedergli di trattarlo come uno dei suoi servi.
Il figlio maggiore pecca contro suo padre, contro se stesso e contro suo fratello. Contro suo padre quando non lo chiama padre e lo tratta come un padrone. Contro di sé quando si condanna a vivere come un salariato di suo padre, non riuscendo a diventare figlio che condivide con il padre ciò che il padre possiede. Contro suo fratello quando non lo riconosce come tale, ma solo come figlio di suo padre.

Nelle allegre parole che il padre rivolge prima ai servi poi al figlio maggiore forse v'è un'allusione implicita al destino pasquale di Gesù, il Figlio del Padre "che era morto ed è tornato in vita" (Lc 15,24.32) per ritrovare i suoi fratelli perduti. La resurrezione di Gesù è motivo eterno di esultanza. In Cristo tutti gli uomini, suoi fratelli minori perduti, sono ritrovati dall'amore paterno grazie all'obbedienza filiale del primogenito. Non servile come l'obbedienza vissuta dal primogenito della parabola, il cui destino aperto è il nostro, quello di ciascun moralista che giudica Gesù perché "accoglie i peccatori e mangia con loro" (Lc 15,2) e non comprendono la divina necessità di "far festa e rallegrarsi" (Lc 15,32). L'uomo che era perduto è stato ritrovato, è molto più prezioso della moneta e della pecora per cui fanno festa la donna e l'uomo della prima parte della parabola (Lc 15,4-10).

venerdì 8 marzo 2013

Principi non negoziabili

La questione antropologica è antica. Da sempre l’uomo vuole definirsi e cerca una risposta alle domande: Chi è l’uomo? Chi sono io? Sul frontone del tempio di Apollo a Delo stava scritto: Conosci te stesso. La domanda antropologica non è astratta e lontana, ma concreta e vicina, molto più che vicina perché coincide con l'uomo stesso che allo stesso tempo è colui che interroga, il testimone chiamato a rispondere e l'oggetto della domanda.
La domanda antropologica non è introspezione solipststica ma essendo l'uomo l'animale politico (Aristotele) coinvolge la legge che la società si dà. La questione antropologica è questione politica e ciò pone un domanda ulteriore circa la giustizia: La legge umana è sempre giusta? Qualora una legge umana sia ingiusta, le si deve obbedienza? Socrate venne condannato a morte perché un tribunale lo giudicò colpevole: avendo egli insegnato a fare domande, aveva disonorato gli Dei e traviato i giovani. Nell’Antigone Sofocle mise in scena la questione dell’obbedienza alle leggi: Antigone, condannata a morte per aver seppellito suo fratello traditore della patria, giustifica la propria violazione della legge umana appellandosi ad una legge superiore, la legge divina, eterna e non scritta, Legge che risuona nella coscienza di ciascun uomo.


La questione antropologica è nuova sotto la forma dell’emergenza. Un’emergenza dovuta al fatto che le conoscenze scientifiche e le capacità tecnologiche sono cresciute moltissimo, mentre le capacità morali non altrettanto, formando un uomo sproporzionato, con testa grande e grandi mani, ma con un cuore piccolo, piccolo, sgraziato come i Moai dell’isola di Pasqua. Le tecno-scienze hanno il potere di plasmare a proprio piacere la natura delle cose: dagli atomi al patrimonio genetico di piante e animali, uomo compreso. Il potere di strappare alla morte naturale gli esseri umani grazie a tecniche mediche sempre più avanzate, ormai non più orientate alla ricerca di curare le malattie, bensì proiettate alla guarigione definitiva dalla malattia chiamata  morte, alla ricerca dell’immortalità, quali novelli alchimisti alla ricerca della pietra filosofale. Pensavamo di conoscere per intuito l’inizio e la fine della vita umana, una conoscenza universale  e comune a tutti perché tutti fanno esperienza dei vivi e dei morti. Ora, invece, solo pochi iniziati ai misteri scientifici, grazie ad elaborati algoritmi e a tecniche sempre più raffinate, possono decidere quando e come e dove la vita deve iniziare o finire e quali caratteristiche deve avere.


Per rispondere alle domande sollevate dall’emergenza antropologica e per riaffermare il valore unico, universale ed assoluto di ogni essere umano, la Chiesa Cattolica ha recentemente introdotto nel dibattito culturale e politico la nozione di PRINCIPI non NEGOZIABILI. Precisamente questa idea è un insegnamento rivolto a tutti i cattolici, sia i semplici cittadini elettori che i politici da loro eletti; essa è anche una proposta razionale rivolta a tutti gli uomini, sia credenti che non; i principi non negoziabili sono valori che non possono mai diventare oggetto di compromesso politico, ovvero sono NON negoziabili.
I Principi non negoziabili sono tre:

     1. il diritto alla vita, dal suo inizio (concepimento) alla sua fine (morte naturale)
     2. il diritto alla libertà religiosa e di educazione
     3. il diritto alla differenza sessuale tra uomo e donna, i quali nel matrimonio trovano e pongono il fondamento della famiglia

Risulta abbastanza evidente che tali principi si fondano esclusivamente sulla ragione umana ed esprimono la legge naturale, due realtà accessibili a chiunque e valide per ognuno.
Questi tre principi non negoziabile sono tre sì alla vita, alla libertà e alla differenza sessuale; da essi discendono alcune conseguenze logiche e necessarie, come da ogni sì scaturiscono dei no:
    1. rifiuto dell’aborto procurato
    2. rifiuto dell’eutanasia
    3. rifiuto della manipolazione genetica
    4. rifiuto della religione di stato
    5. rifiuto della scuola solo di stato
    6. rifiuto della convivenza
    7. rifiuto del cosiddetto matrimonio omosessuale
    8. rifiuto dell’adozione alle coppie omosessuali

Il mondo contemporaneo imperniato sul primato dell’economia non dovrebbe faticare a comprendere l’esistenza di principi non negoziabili, valori non commerciabili perché senza prezzo e perciò fuori mercato. La società attuale fatica invece ad accettare dei principi NON NEGOZIABILI, ad accettare cioè che qualcosa non possa essere ridotto a merce e quindi sfugga al suo controllo. Non è un deficit di comprensione intellettiva, bensì un deficit di volontà morale.