domenica 7 aprile 2013

Triduo Pasquale 6. Ottavo giorno

   La Pasqua di Gesù identificata come Primo Giorno della Settimana e come Terzo Giorno dopo la morte, è chiamata anche Ottavo Giorno.
   Primo Giorno della Settimana indica che la Resurrezione è l'Alfa, l'Inizio di tutto ciò che esiste, del cosmo, della natura, della storia della Salvezza, tutto ebbe inizio con la creazione della Luce, riflesso e conseguenza nel mondo creato della generazione del Figlio dal Padre sul piano increato.
   Terzo giorno dalla morte di Gesù indica che la Resurrezione non è solo un idea religiosa, né una semplice attesa psicologica e nemmeno il segreto desiderio di vita eterna di ogni creatura. Se la Resurrezione fosse solo una idea, una speranza o un desiderio sarebbe irreale come i sogni e i fantasmi, mentre Gesù risorto insiste a presentarsi come reale, dotato di un corpo in carne ed ossa, palpabile, profumato  e vivente, capace di mangiare una porzione di pesce arrostito (Lc 24,36-43). Il desiderio d'immortalità è vero e universale e si fonda sulla carne umana e mortale di un uomo preciso e realmente esistito, nato e vissuto in 'eretz Isra'el, morto e sepolto nell'anno 30 dC (oppure 33).
   Ottavo giorno è una denominazione paradossale, nome che esprime la dimensione sovratemporale della pasqua cristiana e della domenica. Questo nome si radica sul semplice fatto che Gesù risorto vive per sempre, come dice il Figlio dell'uomo al veggente di Patmos nel giorno del Signore: "Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi" (Ap 1,18). In lui iniziò il nuovo eone, la vita eterna. Iniziò proprio in questa sua e nostra storia, poiché nell'eternità non c'è nè può esserci inizio.
   La Vita della resurrezione non è più soggetta alla morte è compiutamente espressa dal bel nome di Ottavo Giorno. Esso non si lascia circoscrivere dalla serie dei sette giorni che compongono il rosario delle settimane. L'ottavo giorno rispetto alla serie settimanale composta da sette giorni, indica l'ingresso nell'eternità, ma senza uscire dal tempo storico, infatti è il giorno successivo, cioè legato, al settimo. Legame costituito dall'identità personale di colui che è morto in croce con colui che è risorto dal sepolcro. Identità certificata silenziosamente dalla presenza delle piaghe, segni corporei della sua passione per noi. Identità garantita da lui stesso sia prima che dopo la sua sepoltura; prima quando nel corso della sua predicazione profetizzò la sua fine cruenta e la sua resurrezione il terzo giorno; dopo la sepoltura quando si fa riconoscere dai suoi in vari modi: chiamando per nome Maria Maddalena, spezzando il pane ai due discepoli di Emmaus, mostrando i segni della sua crocefissione impressi nel suo corpo agli apostoli.
CARAVAGGIO, Incredulità di Tommaso
   Nell'Ottavo Giorno Gesù risorto appare per guarire Tommaso "chiamato Didimo" (Gv 20,24).
Perché l'evangelista puntualizza il soprannome di Tommaso? Tra i dodici non v'era omonimia col rischio di confondere l'uno con l'altro. Tale soprannome racconta una notiziola biografica dell'apostolo, il mero fatto che come Giacobbe anche Tommaso aveva un fratello gemello. Forse il soprannome allude alla malattia spirituale da cui è affetto Tommaso il doppio? Egli sfida i condiscepoli che danno testimonianza apostolica della resurrezione di Gesù e implicitamente sfida il Signore che li ha costituiti con il soffio del suo Spirito, ponendo stringenti condizioni all'atto di fede : "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo" (Gv 20,25). Tommaso è rattrappito, il suo corpo è formato dall'anima sua: le sue dita e le sue mani contratte raccontano di un uomo che vuole vedere il Risorto per credere alla resurrezione di Gesù, vuole toccare il Corpo crocifisso per credere alla redenzione di Cristo. Tommaso ha in mente una fede solo umana, fondata sul vedere e dal toccare plasmata. Una fede incredula e diffidente, per la quale Tommaso è veramente doppio: crede come miscredente, perciò pone condizioni a Colui che "conosce quello che c'è nell'uomo"(Gv 2,25).
   Per guarirlo dall'incredulità Gesù appare e gli offre il suo Corpo trafitto quale farmaco. L'ostensione del Corpo Risorto è accompagnata dalle Parole che salvano: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!" (Gv 20,27). Solo per questo comando del Signore il vedere e il toccare di Tommaso sono salvifici, perchè fatti in obbedienza a Gesù e non al proprio desiderio, alle proprie insicurezze e dubbi, dai quali da soli non possiamo liberarci. Guarigione che avvenne perché s'adempisse la Scrittura: "Per le sue piaghe siamo stati guariti" (Is 53,5). Le piaghe che ci guariscono e nelle quali nasconderci, non sono quelle di un cadavere, piaghe immonde per la Legge, ma sono le piaghe del Vivente, "sorgente zampillante per lavare il peccato e l'impurità" (Zac 13,1), fontana della divina misericordia.
   Grande  misericordia di Gesù verso Tommaso. Non tutti potranno vedere per credere, ma tutti crederanno e vedranno. Il rapporto tra segni e credere è uno dei fili conduttori del IV Vangelo. Ecco come inizia e come termina."Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo." (Gv 2,23-25). I segni sono fatti per essere mostrati e quindi per essere visti, per passare dalla visione dei segni alla fede in Colui che compie i segni. Questo è il criterio indicato nel Primo Testamento per discernere i falsi profeti dai profeti di Dio. Ciò nonostante Gesù diffida di coloro che credono nel suo nome avendo visto i segni che egli compiva, perchè conosce quello che c'è nell'uomo. Il problema è che spesso l'uomo ignora quello che c'è in lui, ed ignorandosi non può sapere ciò che fa. Al termine del Vangelo, l'apostolo Giovanni dichiara lo scopo per cui lo scrisse: "Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome." (Gv 20,30-31). I segni vennero scritti perchè siano letti e leggendoli siano immaginati e vedendoli si creda che Gesù è il Cristo e il Figlio di Dio e credendo si abbia la vita nel suo nome.