martedì 28 maggio 2013

Manifesto per un mondo un po' felice

Manifesto per un mondo un po’ felice

La femminista Elvira Banotti contro le ossessioni inquisitorie della Boccassini e il totalitarismo gay

Mi chiamo Elvira Banotti, autrice nel 1970 dello storico “Manifesto di Rivolta Femminile. Vorrei far riflettere le donne sull’accusa-paradosso ideata dalla pm Ilda Boccassini contro Silvio Berlusconi. Iniziativa fino a ora non inquadrata analiticamente nel “gigantesco affresco della prostituzione”.
Nel paese in cui circa 10 milioni di uomini nutrono la propria disfatta prostituendo platealmente milioni di giovani donne e bambine/i nel “turismo del disprezzo” (quindi sadismo e non sessualità!) e in quello ancor più terrificante della pedofobia (attente: non “pedofilia”), il clamoroso elefantiaco procedimento penale avviato dalla Boccassini per “induzione alla prostituzione” appare veramente comico!
Vi risulta per caso che siano in corso processi contro i milioni di “clienti-che-comprano-sesso”, uomini che indisturbati nelle nostre periferie e campagne compiono stupri, alimentando anche la tratta di persone? O che la magistratura sappia intervenire con un decreto-di protezione per arginare tutti i casi di aggressioni che preannunciano l’assassinio di tante donne? Dove credete che trovi la propria ispirazione il “donnicidio” – quel “diritto” punitivo di antica memoria che oggi terrorizza mogli e fidanzate – se non dalla prostituzione del Femminile teatralizzata persino dai Trans che scempiano l’identità di tutte le donne? Ricordate che Marrazzo affermò che “malgrado la presenza del pene il trans rappresenta la donna delle meraviglie”!
Ma Boccassini confeziona il teorema che dovrebbe “mandare al patibolo” chi attraversa – senza schermare i propri desideri di relazione – il campo ancora minato da quelle ipocrisie – ancora radicate nella nostra Costituzione – con cui è stata inabissata l’Eterosessualità, mentre contestualmente si celebra Nichi Vendola, un essere oscurantista impietrito da una pericolosa “repulsione” per la donna! E che dire della sodomia propagandata da trasmissioni come “La Mala Educaxxxion”, con la quale La7 inscrive la sodomia come pratica altamente erotica, suggerendola alle proprie spettatrici?
E’ il clima sbrindellato delle ideologie che consente a Gay e Lesbiche di investirci tutti con l’accusa di “omofobia” mentre sono attentissimi a oscurare le proprie pregiudizievoli cicatrici emotive con le quali aggiornano il sedimentato, morboso allontanamento tra uomini e donne: cioè l’erotismo e la preziosità dell’Accoppiamento. Sono depositaria di alcune loro narrazioni (autentiche). Raccontano sofferenze causate da un immaginario atrofizzato, evidenziano “scissioni” emotive derivate da rapporti alterati dalla misoginia, disastri che Gay e Lesbiche (più corretto definirli Ginofobi e Omofobe) riescono abilmente a oscurare. Traumi che per la loro intensità dovrebbero al contrario preoccuparci notevolmente! Più di quanto lo richiedano gli atteggiamenti deludenti di un uomo (forse) eccessivamente… espansivo.
Il procedimento sceneggiato dalla Boccassini in realtà non inquadra un reato ma tenta soltanto di dar corpo a una “colpa” fantasticata su intelaiature introspettive dell’accusato: l’induzione… Cioè una ipotesi tutta da dimostrare! Stiamo vivendo la materializzazione di una magistratura di stampo INQUISITORIO tesa appunto ad atrofizzare con ostilità persino le difese di avvocati e testimoni… Quel processo per “induzione” si svolge in un contesto “omofobico” più che giudiziale, tanto che vengono ridisegnate soprattutto le donne, offese con interrogatori che le hanno esposte al facile ludibrio di un giornalismo essenzialmente brutale, patologico che ci trascina tutti verso il pregiudizio. Al contrario, la Boccassini e il tribunale di Milano dovrebbero prima di ogni altra cosa schermare Ruby, proteggerla da divulgazioni diffamatorie proprio in quanto viene da loro definita “minore”. Soprattutto dovrebbe tener in debito conto l’impari confronto vissuto tra una adolescente ed un pubblico ministero!
Se la Boccassini ascoltasse le “confidenze” e i racconti che ciascuno offre della propria vita sessuale l’Italia sarebbe sommersa da rinvii a giudizio! E che dire poi dei club degli scambisti che sfuggono ai controlli arbitrari della pm?
Boccassini, a me piace evidenziare quanto finalmente noi tutti (o quasi) desideriamo lanciarci negli incontri alla ricerca di scoperte amorose, di emozioni sessuali e non sessiste! E nelle cosiddette “serate” speriamo sempre di divertirci ma soprattutto di sedurre. La nostra esistenza è infatti principalmente sostenuta dalla sessualità e dal piacere. Esperienza che noi donne stiamo tentando di ricomporre mentre contemporaneamente tentiamo di dipanare la matassa che da secoli altera la giustizia, i codici storici, le professioni, le mentalità e la politica; matassa nella quale troppe donne rimangono imbrigliate.
Tanto che quel desiderio ostinato di sopraffazione della pm rappresenta un cardine arcaico del desiderio di dominio su altri che satura ancora il sapere. Eredità concettuale che ancor oggi con la sua tremenda configurazione nei poteri giudiziari (di cui quel processo è una prova) devasta la società. La Boccassini persegue quel drammatico disegno tanto che intende scolpire un codice interpretativo delle nostre attitudini permeandolo sulla psichiatria più che sul reato. Mentalità di “replicante” il cui metodo è già profondamente stivato nel serbatoio del cosiddetto “diritto penale”, un rovesciamento dei significati teso lungo i secoli a riprogrammare donne senza desiderio, profilando per loro una “moralità depressiva”. Traccia sostanziosa del disagio psicologico degli uomini ideatori dei sistemi di comando che animano visibilmente la Boccassini impegnata a intercettare parole e commenti capaci di dequalificare la ricerca di libertà nelle relazioni.
Se la pm avesse dedicato la sua attività ventennale per inquadrare il dinamismo mafioso – che si è radicato fino a raggiungere come sede prediletta la Lombardia e soprattutto Milano – forse il suo attivismo sarebbe stato utile. Ma di quel detonatore del delitto se ne sono occupati soltanto valorosi giornalisti che hanno evidenziato in più occasioni eventi e nominativi… Inascoltati! Il Csm dovrebbe mettere sotto la lente di ingrandimento l’attività dispendiosa ma pericolosa della procura della Repubblica di Milano (tesa fin dal 1992 esclusivamente a tiranneggiare presidenti del Consiglio vari, ignorando del tutto un fenomeno appariscente come la mafia). Dovremmo addebitare a pubblici ministeri e magistratura i miliardi buttati al macero. Dobbiamo introdurre la responsabilità civile della magistratura per non collocare la giustizia tra le forme attuali di mafiosità.
A completamento di questo quadro deprimente voglio ricordare che alcuni giorni fa abbiamo assistito a una plateale rappresentazione esibita con scenografie psicotiche che a distanza di millenni continuano a “proclamare” il Maschile come solo tramite del sacro, egemonizzato da quella “intronazione papale” che neanche Luigi XVI avrebbe saputo immaginare. Una rappresentazione di misoginia che ci ha “rintronato” consentendo ancor oggi a uomini che negano il proprio corpo e i desideri per poi qualificarsi comicamente come unici tramiti di un mistero: il divino… (ma per nostra fortuna il film su Papa Alessandro Borgia ci ha restituito una minima verità su fanatismi camuffati!). Quella ressa di uomini addensati in una “umile” ginofoba teatralità che ha inchiodato i media era nei fatti una mostruosa rimozione dei significati della Donna reale, delle verità e della nascente Estetica dell’Eterosessualità. Coronata dalla “benedizione” nel nome del padre del figlio e dello spirito santo che rappresenta infatti l’enigma malefico che fa entrare l’Umanità nella Storia del Mondo senza la madre e senza la donna! E’ evidente che le religioni – sia cristiane che islamiche – condensano ancor oggi una sistemica “induzione ideologica alla prostituzione” dei corpi e del piacere evidenziando un’etica che contiene “profili giudiziari di ordine penale” che purtroppo la Boccassini non sa interpretare. Solo Berlusconi fa problema!
Se tentassimo una modesta individuazione sugli effetti di tutte le teatralità che partono dal Vaticano fino al Quirinale e ne valutassimo effetti rischi e pericoli, le serate da Silvio Berlusconi ci apparirebbero ingenue, certamente non pregiudizievoli… e potrei continuare.
di Elvira Banotti

domenica 26 maggio 2013

sorpreso dalla gioia

Trinità, Maestro tedesco, 1415-30

I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce.
San Gregorio di Nissa

Il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell'evento di Cristo con delle regole.
Papa Giovanni Paolo I

Abbiamo dichiarato eretici l'amore e il buon umore.
Papa Benedetto XVI


Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede. La fede è un dono, è il Padre che ce la dà.
Papa Francesco


Trinità, Lorenzo Lotto, 1523 - Chiesa di sant'Alessandro (BG)


Sono rimasto sorpreso dalla gioia per questi stupendi aforismi. Li ho trovati nella terza pagina del Foglio odierno, sabato 25 maggio 2013. Difficile trovare riuniti in un solo articolo tanti e tali pensieri, è perfino difficile trovarne di pensieri. Grazie a Maurizio Crippa, vicedirettore del Foglio e autore dell'articolo.
Buona festa della santa Trinità.

Trinità, Pieter Coecke van Aelst, Museo del Prado

giovedì 23 maggio 2013

Sul Padiglione del Vaticano alla Biennale

   C'è chi pensa che il dialogo con il mondo sia inseguire i maître à penser per esserne battezzati. C'è chi pratica il dialogo con il mondo senza accorgersi che dietro o dentro il mondo può celarsi la mondanità del "principe di questo mondo" (Gv 12,31; 16,11) col quale giammai si può dialogare per non incorrere nell'errore di Eva: interloquire col "padre della menzogna" (Gv 8,44) comporta l'abbandono dell'unico Signore.
   Esempio di un siffato dialogo col mondo è la partecipazione del Vaticano alla Biennale di Venezia. Il Vaticano ha scelto come tema per la sua prima volta il libro della Genesi. Per ironia della sorte è lo stesso tema che cinquecento anni orsono Michelangelo affrescò sulla volta della Sistina.


   Ecco il commento di Gabriella Rouf pubblicato sul n° 753 de Il Covile.

La rinascita del bello negli ateliers e le mummie della Biennale. Un aggiornamento.
   Né cronache di arte. Né cronache vaticane. Il Covile interviene sui territori di confine, dove la distanza colloca con più chiarezza la prospettiva. La relazione di Aude de Kerros pubblicata nel n° 748 ne dà una, confortante e impegnativa: la rinascita del bello negli ateliers.
   Vogliamo pertanto considerare residuale, comunque vada votato all'oblio, l'imbarazzante episodio del Padiglione del Vaticano alla Biennale di Venezia. Passarlo sotto il silenzio che merita, come quelle operazioni intempestive e attardate, che si affrettano a mettersi in pari, pagando pegno per entrare nel gioco? Sul paradosso istituzionale, e sulla subalterneità alle mode dell'Arte Contemporanea concettuale, c'è poco da dire, fatti e immagini si commentano da sé. Che esso sia il prodotto del carrierismo e protagonismo di alcuni personaggi della Curia, anche questo è purtroppo evidente. Che ci sia anche un aspetto inquietante di spreco di danaro, di fatua complicità con il sistema speculativo dell'AC, chi può negarlo?
   L'iniziativa, per molti versi inopportuna, e le difese di essa, per quanto impacciate e stizzite, sembrano però mirare (e questo è più preoccupante) ad ufficializzare un punto di non ritorno, e proprio nel momento in cui il monopolio e l'arroganza dell'AC sembrano messi in discussione, e lo sono comunque dal ridursi dei flussi finanziari di cui essa non può fare a meno per esistere. Insomma, mentre i MAXXI vari collassano sul proprio vuoto, e i vip dell'AC vanno a cerca di qualunque connubio (con moda, pubblicità, arredi urbani ecc.) purché retribuito, è proprio la «commissione cultura»della Santa Sede ad accreditare come arte la produzione di «oggetti estetici» che arte non sono, che emergono per cooptazione da un mercato drogato e speculativo, in mano a lobbies ben note, eticamente e professionalmente indifendibili. Questo errore di prospettiva e di valutazione, arrogante quanto imprudente, ha una duplice negatività: quella evidente, perché trasferisce su opere banali e insulse un'aura a cui mai potrebbero aspirare, e quella «che non si vede», perché svia altri possibili e fecondi confronti, dando ad essi la sponda fasulla di avanguardie spossate e senili, di «arti povere», di avanzi e robaccia messa in saldo sui circuiti internazionali.
   Che questa impostazione vada a confluire con quella della gestione del «Il Cortile dei Gentili» non è una forzatura, perché il cardinal Ravasi stesso trionfalisticamente vi accenna, preannunciandone ulteriori tappe, forse usando la tattica del fait accompli. Come notammo a suo tempo, l'intuizione di Papa  Benedetto è stata stravolta dalla gestione ravasiana, trasformandola in un programma di eventi istituzionali, palcoscenico in cui ognuno rappresenta se stesso (lui per primo), con i soliti (o anche insoliti, se si pensa al cabaret de CdG di Parigi) professionisti dell'ateismo, dell'agnosticismo, ecc..
Iniziative di questo genere, del resto scontatissime, non hanno mai turbato nessuno, né tanto meno convertito, sono tipiche «iniziative culturali», in cui si vanta la partecipazione di questo e di quello, per dimostrare apertura di vedute e il riconoscimento da parte di ipotetiche élites intellettuali (in realtà tuttologi pronti a tutto).
   È questo stesso schema che sta dietro alla partecipazione del Vaticano alla Biennale, e basta leggere le dichiarazioni di Ravasi in proposito: da una parte dimostrare che la Chiesa ha attenzione verso il mondo dell'arte, preso come oro colato per quello che è ufficialmente, con i suoi «artisti famosi», curatori ambiziosi e critici prezzolati e, dall'altra fare in modo che la Chiesa sia presente come istituzione in un ambiente che si avvale di un'eco mediatica (spesso procurata del resto con scandali «ad arte»). Il pasticcio che ne deriva è evidente: sponsorizzare il concettuale, che arte non è? Proporre agli «artisti» un tema vagamente religioso? Andare sul sicuro, con nomi storicizzati? E il costo dell'operazione?
   Questo disorientamento è paradossale, perché l'arte sacra cristiana costituisce di per sè un termine di discernimento, in quanto risorsa spirituale e materiale condivisa, arte dell'incarnazione, integralmente umana, testimonianza di fede, sintesi di testo sacro, culto, devozione. Mai al servizio dell'artista, per quanto geniale. Mai espressione di una generica spiritualità, ma di profondi ed elaborati concetti teologici, leggibili in simboli e figurazione.
   L'arte concettuale, non può essere che a servizio dell'artista, anzi della firma, in quanto lo stesso statuto di arte le viene da una convenzione interna al sistema AC, e la firma è a sua volta prodotto di operazioni finanziarie e commerciali. L'arte concettuale è l'arte della dittatura, dittatura soft nell'occidente, dittatura di regime in Cina. È la copertina patinata degli orrori marcianti delle teorie del gender, del relativismo morale, degli apparati speculativi e dei poteri forti. Non si può ignorarlo, e spremere da essa ipotetici aneliti al divino; anche il suo morali smo, nel mettere in evidenza i mali della società, è, com'è noto, compiaciuto e pretestuoso.
   Del resto, l'arte non è politica, in cui occorre individuare ragionevoli compromessi per il bene comune. In ogni caso, quest'ultimo è ignorato e irriso dallo spreco e dalla mondanità fatua che caratterizza gli eventi legati all'AC, eventi usa e getta, mentre la spesa sul patrimonio avrebbe invece carattere di investimento.
   La Chiesa deve ripercorrere e recuperare il suo ruolo di committenza, smarrito nelle teorizzazioni di padre Couturier, pervertito in una vera marcia della follia nella teologia del Collège des Bernardins e negli scempi delle archistar e negli adeguamenti liturgici horror. L'arte è incarnazione di Bellezza, e pertanto non ha niente a che fare con l'arte ufficiale AC, che è una metafisica rovesciata, per la quale qualunque bruttura, oscenità, insensatezza, una volta che sia cooptata e accreditata da un sistema  autoreferenziale, viene imposta come arte, oggetto di culto, orrido feticcio.
Cardinale Ravasi
   Ravasi questo non vuole vederlo, e si guardò bene da rispondere a suo tempo a Jean Clair che sollevò con chiarezza questi problemi al Cortile dei Gentili di Parigi, invocando una diversa assunzione di responsabilità della Chiesa di fronte alla deriva autodistruttiva dell'arte, ormai consumatasi nel monopolio globalizzato dell'arte concettuale. Gli argomenti di Ravasi e dei promotori del Padiglione del Vaticano alla Biennale sono una triste eco di quelli di padre Couturier: triste perché bene o male il domenicano aveva a che fare con Matisse, Chagall, Picasso, insomma con gente che sapeva il suo mestiere, realizzava opere d'arte e aveva una sua etica. Motivava mesi fa Ravasi, operando vertiginosi salti logici:

«[...] è un terzo ambito di evangelizzazione che è stato per secoli decisivo, ed è quello dell’arte che esige oggi di essere ritessuto secondo la nuova grammatica e stilistica delle espressioni artistiche contemporanee senza perdere il legame con la sacralità del culto cristiano. In questo orizzonte si colloca l'invito rivolto ad alcuni artisti di partecipare, con una loro opera ispirata al tema della Creazione-Decreazione-Nuova Creazione, nel padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia.»

   Se l'arte è stata decisiva per secoli, lo è stato in quanto integrata e condivisa con la vita dei popoli e della Chiesa, con le sue tradizioni e il suo magistero. Oggetto dell'evangelizzazione non era tanto l'artista o l'ambiente artistico, quanto il popolo nel suo insieme, senza che questo volesse dire una strumentalizzazione dell'arte, anzi: proprio da questo legame con il popolo e con la trascendenza, l'arte cristiana ha espresso la metafisica del visibile, a cominciare dalla figura umana nella sua realtà, nobilitata e trasfigurata dall'Incarnazione. L'artista, anche di grande successo, si metteva al servizio di un progetto iconografico, che era tutt'altro che una banalizzazione dei testi sacri, bensì una catechesi per immagini, capace anzi di esprimere diversi e complessi percorsi dottrinali e morali; pensiamo, per esempio, alla Cappella degli Scrovegni, e come la sua impostazione teologica agostiniana si confronti con quella contemporanea di Dante, ispirata a San Tommaso.
   Questo linguaggio, e questa grammatica (per usare le parole di Ravasi), pur in un meraviglioso, inesauribile mutare storico, sono gli stessi ed eterni, perché radicati nella realtà dell'uomo, nei suoi sensi, nel suo cuore. La Bellezza non è qualità relativa, anche se infinite sono le forme in cui si rivela. Certo, esiste un problema di ricerca, di sapienza, anche un mistero. Ma con l'arte contemporanea AC, il processo è esattamente opposto, perché si parte da un a-priori convenzionale, da un concetto, da una trovata qualunque che possa corrispondere a qualche segmento del sistema: dall'oggetto «povero» esposto come tale, al tecnologico, all'osceno, alludico, al blasfemo, all'informe irriconoscibile come opera, e come tale totalmente disponibile (così ci si può trovare l'anelito all'infinito, al divino ecc..). Non si può parlare allora di linguaggio o tanto meno di grammatica, perché nulla in questo prodotto è per definizione condivisibile e comunicabile, va accettato per quello che squallidamente è, salvo poi impacchettarlo in qualche pia intenzione, corredato d'istruzioni per l'uso (si paga per questo, visto che un valore intrinseco non c'è). È l'esatto opposto del simbolismo, in cui un'immagine offre plurime e stratificate letture: l'arte concettuale realizza un'immagine brutta e insensata, che a sua volta non significa nulla. Il ridicolo cero del Duomo di Reggio Emilia è un brutto tubo tra il razzo e lo scaldabagno, e tale rimane, muto e chiuso nella sua sgraziata materialità.
   Le problematiche sui linguaggi artistici del sacro e sull'opera incarnata sono sempre state feconde nei secoli, tutt'altro che immobili o scontate, tutt'altro che eterodirette. Esse hanno mosso dall'interno l'intera storia del'arte dell'occidente, perché la Bellezza come valore trascendente incarnato nell'umanità di Cristo ha dato alla rappresentazione della natura e della figura umana una dignità ed una ricchezza inesauribile, sfida e stimolo alla forma. È solo nel XX secolo che il tessuto si è lacerato, e l'arte si è prosciugata e inaridita nei soli aspetti esistenziali, perdendo rapidamente il dominio e la sapienza della forma, per venir meno nella sua essenza e nella sua vera libertà. Questo però non è un processo irreversibile, e la testimonianza dell'arte del passato e della Bellezza dell'uomo e della natura, non potrà non richiamare la sensibilità e il talento alla rappresentazione della realtà nei suoi aspetti complessi e profondi, nella sua gloria e nel suo mistero. In questo quadro iniziative come quella del Padiglione vaticano alla Biennale, anziché «ritessere» alcunché, testimoniano conformismo ai fasti mondani, e, più  profondamente, il disagio di una diffusa cecità, ottusità del cuore e dei sensi, abitudine al brutto, che è poi la forma del male.
   I sostenitori dell'AC, com'è noto, sono i suoi peggiori propagandisti, appena tolti dai loro laboratori protetti. Padre Dall'Asta, emissario del card. Ravasi sul terreno, e nel cui curriculum c'è lo scempio del Duomo di Reggio Emilia, non ha dubbi: il dialogo è tra Chiesa e arte concettuale AC, la religione del postmoderno. Che vi sia un'Arte di oggi diversa, che sia in corso, a livello internazionale, una seria discussione sull'Arte, e sull'Arte cristiana, Dall'Asta lo ignora. Egli fa propria l'ideologia e la pretesa dell'AC che non essendo arte, necessita di un riconoscimento extra artistico, concettuale e pecuniario insieme. Il Padiglione del Vaticano alla Biennale glielo dà. Esso offrirà una copertura di parole, parole, ai soliti imparaticci, ai soliti assemblaggi di materiali, che trarranno un'aura dalle generose didascalie del card. Ravasi. L'episodio fa del resto emergere tensioni più profonde: le dichiarazioni di Dall'Asta, infatti, si fanno torve e isteriche quando allude a chi non condivide i suoi obnubilamenti, sprezzanti e minacciose quando preannuncia nuove offensive (è la parola giusta) dell'AC nell'arte sacra e liturgica. Anche in questo si dimostra dove si trova la sincera sollecitudine, la competenza e la condivisione — la generosa battaglia di Francesco Colafemmina — e dove invece la subalternità alle mode, la posizione di privilegio e l'indisponibiltà a qualunque serio confronto.
Raffaello, Papa Leone X e i cardinali Giulio de medici e Luigi de Rossi