venerdì 21 febbraio 2014

tra don Abbondio e fra Cristoforo

Ho letto con crescente disappunto la lettera di don Federico Pichetto sull’Appello a papa Francesco di Ferrara et alii. L’ho letta su Il Sussidiario e l’ho riletta su Il Foglio. Ecco le mie franche critiche alla lettera di don Federico Pichetto.

Prima di entrare nel merito una critica al metodo.
Non si è mai visto scrivere una lettera per giustificare la propria non adesione a un appello. Viviamo, ancora per poco, in una terra dei liberi, dove nessuno è obbligato a sottoscrivere qualcosa che non condivide, dove ciascuno è obbligato a seguire il sommo magistero della coscienza, dove nessuno è obbligato a giustificarsi perché non vuol fare qualcosa, semplicemente non la fa. Ma liberamente non aderire ad un appello e sbandierare ai quattro venti gli errori che si crede di vedere nella scelta altrettanto libera di aderirvi, significa giudicare negativamente le ragioni degli aderenti e gli aderenti stessi, mentre l’apostolo Paolo prescrive ai Romani: “Accogliete chi è debole nella fede, senza discuterne le opinioni” (Rom 14,1) e chiede a coloro che si considerano forti: “Chi sei tu, che giudichi un servo che non è tuo?” (Rom 14,4). La lettera di don Federico Pichetto è un’escusatio  non petita che rivela un senso di colpa nascosto, il “vorrei ma non vorrei” di Zerlina nel duetto Là ci darem la mano del Don Giovanni.
Anche don Federico avrebbe voluto sottoscrivere il nostro appello, ma non avendo il coraggio di farlo, ha trovato il coraggio di condannare chi un così piccolo coraggio l’ha avuto.


Ma entriamo nel merito.
La lettera di don Pichetto ha quella stessa natura reattiva che l'autore giudica negativa nell'appello e in generale. Ora, se don Pichetto reputa negativo reagire, perché lui stesso reagisce? Reagire è parte del vivere, solo i morti non reagiscono più a niente, mentre ai malati è necessario per guarire. Non si può non reagire, ma si deve scegliere come farlo. Gesù stesso nell’orto degli ulivi reagisce alla reazione di Simon Pietro rimproverandolo, nel Tempio Gesù reagì scacciando con violenza chi aveva trasformato la casa di preghiera in una spelonca di ladri, avrebbe dovuto tacere, limitandosi ad offrire se stesso? Per non dire della sue reazioni contro le città di Corazin, Betsaida e Cafarnao insensibili alla sua opera, contro gli ipocriti, contro coloro che scandalizzano i più piccoli.
Giotto, Cristo caccia i cambiavalute dal Tempio
Seconda contraddizione in cui cade don Federico riguarda la controffensiva. Secondo lui il primo errore dell’appello è “sostenere una controffensiva” e prosegue “Le controffensive le fanno i governi, le armate, le lobbies, non i cristiani”. A parte il fatto che la Santa Sede giudicata dal Comitato per i diritti del fanciullo delle Nazioni Unite rappresenta uno Stato firmatario di una Convenzione Internazionale, e solo in quanto tale è stata sputtanata, ed in quanto Stato con un Governo autorizzato ad una controffensiva. Ma torniamo a don Federico che prima afferma “i cristiani non fanno controffensive” contraddicendosi poco dopo dicendo “La più grande controffensiva di questa terra è l’Eucaristia”. Ma l’Eucaristia non la fanno proprio i cristiani ai quali sarebbe precluso fare controffensive?
Francesco Gonin, Don Radrigo e fra Cristoforo
La chiesa, al contrario di quel che ritiene don Pichetto, è un esercito ed è un partito.
È l’esercito dei cresimati agli ordini di Gesù nostro generale e i cristiani sono soldati di Cristo che indossano l’armatura di Dio: la cintura della verità, la corazza della giustizia, i calzari dell’evangelizzazione, lo scudo della fede, l’elmo della salvezza, la spada dello Spirito, per resistere alle insidie del diavolo (Ef 6,11-17). Per l’apostolo Paolo la battaglia della chiesa “non è contro la carne e il sangue”, cioè contro uomini e donne, “ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. Come ogni esercito non tutte le truppe sono obbedienti e coraggiose, talvolta ci sono soldati che disertano, più spesso sono gli ufficiali che abbandonano le truppe loro affidate, taluni pastori semplicemente fuggono perché pavidi, altri avidi si fanno lupi e mercenari. Non tutti sono come fra Cristoforo, ci sono anche tanti don Abbondio ed il coraggio, osserva Manzoni, "o uno ce l’ha o non se lo può dare".
La chiesa è un partito, è solo una parte, non è il tutto. Non è il mondo dal quale è scelta, non è il mondo al quale è inviata; non è il Regno di Dio del quale è testimone, non è il Regno dei Cieli al quale anela. La chiesa è una parte, non è il tutto, soprattutto dopo il secolo dei totalitarismi che continuano nell’ideologia gender. Ma la chiesa è un partito sui generis, un partito che non può costituzionalmente accettare alcun totalitarismo, ne quello imperiale antico e contemporaneo, ne quelli ideologici altrettanto idolatrici. Questo perché è cattolica non secondo il mondo e il principe di questo mondo, ma secondo Dio, quel Dio rivelato da Gesù Cristo che è la misura della chiesa e della sua cattolicità.
Francesco Gonin, Fra Cristoforo
Il pensiero totalitario è una tentazione che si infiltra nella chiesa, come quando don Pichetto scrive che “possiede una certezza”. Una volta la certezza posseduta era qualificata come la verità, oggi è aggiornata come stare dalla parte giusta. Ma il cristiano non possiede alcuna certezza, ma è posseduto da un solo Signore, è discepolo, è stato scelto da Cristo, non l’ha scelto. Chi può scegliere di seguire Gesù, il Messia crocifisso? Nessuno, né gli apostoli, né Maria sua madre, semplicemente perché siamo dei chiamati e solo così trovo la forza di prendere la mia croce e di seguire il Maestro, perché Gesù mi ha scelto, me lo chiede e chiedendomelo mi dà la forza.
Infine basta con l’apologia dell’autenticità e del silenzio.
L’unico silenzio che merita rispetto è quello dell’innocente, il cui silenzio per altro è eloquente se qualcuno lo ascolta. Ma il silenzio odierno è più spesso mutismo colpevole e vigliacco, è tacere quando si dovrebbe parlare, è girare il capo dall’altra parte per non vedere l’uomo ferito, per non udire le sue grida d’aiuto. Per questo siamo una società così rumorosa, per coprire coi nostri strepiti le voci, in primis la voce della nostra coscienza che come ci approva quando facciamo il bene così ci condanna quando facciamo il male, poi le voci degli ultimi, le voci dei migranti lontani che periscono nel canale di Sicilia, le voci dei migranti vicini che bussano alle nostre porte, le voci più flebili dei bambini non ancora nati.
Francesco Gonin, Don Abbondio

lunedì 10 febbraio 2014

La famigliafobia

Il dibattito su matrimonio & famiglia divampa.
Visto quel che succede in Francia e in Europa dire "dibattito" è un eufemismo, un uso falso delle parole per sminuire le incessanti proteste del popolo contro il potere, per arruolare dietro parole suadenti, quali diritti, libertà e progresso, l'inthellighenzia e l'opinione pubblica, evitando come la peste di riflettere sulla realtà delle cose: cos'è il matrimonio? Cos'è la famiglia? Chi è l'uomo?

In Francia, patria della libertà, gente inoffensiva è stata arrestata e condannata a mesi di carcere perché protestava indossando la felpa con il logo della famiglia naturale, formata da padre, madre e figli. In Francia la famiglia naturale è difesa da La Manif Pour Tous, ribellione popolare all'ideologia oscurantista delle lobby LGBT e dei loro sodali reazionari.

Il pericoloso Nicolas sul furgone della Gendarmeria


La repubblica francese vuole modificare la realtà naturale del matrimonio e della famiglia con la legge Taubira, proposta con pervicacia dal ministro della giustizia Christiane Taubira, una legge iniqua che introduce il cosiddetto matrimonio gay e la possibilità per le coppie omosessuali di adottare dei figli.
Christiane Taubira
 In prospettiva ciò prevede l'adeguamento del diritto di famiglia alle nuove forme di famiglia:
  1. famiglia monoparentale, quella formata da un solo genitore
  2. famiglia monosessuale, quella composta da due o più dello stesso sesso
  3. famiglia bisessuale, con risvolti da teatro dell'assurdo, quella formata da due di sesso diverso
introducento l'accesso alla procreazione assistita per tutte quelle coppie naturalmente infertili come sono fisiologicamente tutte le coppie omosessuali. Per cui utero in affitto per i signori gay, inseminazione artificiale per le signore lesbo e per entrambi possibilità di adottare i poveri orfanelli.

Dopo la contestatissima legge Taubira il governo socialista vuole la rieducazione di massa attraverso l'Abcd de l'egalité. Il piano di riprogrammazione dei francesi secondo l'ideologia gender è stato proposto da Vincent Peillon, ministro orwelliano dell'educazione nazionale,  e da Najat Vallaud-Belkacem ministro dei diritti delle donne nonché portavoce del governo socialista.
Vincent Peillon & Najat Vallaud-Belkacem

Invero uno strano caso quello del ministero dei diritti delle donne.
Ne parliamo con madame NVB.

Le donne godono di più diritti degli uomini?
Certo che no, sarebbe violato il sacro principio dell'egalité, su cui è fondata la Republique e il programma del nostro governo. Le donne hanno gli stessi diritti degli uomini.
Quindi, le donne hanno dei diritti diversi dagli uomini e perciò les madames  sono diverse dagli uomini?
Ohibò impossibile! Abbiamo appena cacciato dalla porta l'idea pericolosa e orrenda della diversità tra i sessi ed eccola rientrare dalla finestra! La diversità è un'idea così démodé  perchè invoca di suo la complementarietà tra uomo e donna, mentre le donne non hanno bisogno degli uomini, noi siamo indipendenti; solo alcuni uomini, chiaramente di livello inferiore, han bisogno delle donne come del pane o dell'aria. Sono come dei cani, sempre infoiati dietro una gonna...


In Europa il Parlamento Europeo di Strasburgo ha recentemente approvato la Relazione Lunacek, proposta dall'eurodeputata dei verdi e attivista lesbica, risoluzione recante il distopico nome: "Tabella di marcia dell'UE contro l'omofobia e la discriminazione legata all'orientamento sessuale e all'identità di genere".
Ulrike Lunacek

Analizziamo questo nome.
Tabella di marcia, indica un piano articolato per raggiungere determinati obiettivi, non sempre espliciti.
Dell'UE, è il soggetto giuridico che adotta la risoluzione e per la quale ha valore politico, la risoluzione non parla dell'Africa, dell'Asia o del Mondo, ma solo della situazione dei paesi che compongono la UE.
Contro, indica il verso della marcia, essa non ha una meta verso cui andare, ma ha un'origine da cui vorrebbe allontanarsi e rispetto a cui si definisce contro; qui sta tutta la forza persuasiva della parola contro, convincente perché piena di novità apparente; ma sta anche tutta la sua tragica debolezza, perché senza il quid cui contrapporsi non ha identità propria, necessita dell'origine per poterla descrivere secondo stereotipi negativi e quindi contrapporsi; in questo senso contro significa parassitare l'essere. In verità la risoluzione ci vuole allontanare dalla famiglia, quella naturale, quella che nella realtà è formata da un uomo e una donna, gli unici capaci di dare la vita. Anche agli omosessuali.
L'omofobia e la discriminazione legata all'orientamento sessuale e all'identità di genere questo è il quid contro cui la risoluzione definisce la tabella di marcia contro: la paura-odio dell'omosessualità e la discriminazione legata all'orientamento sessuale e all'identità di genere. Di solito le definizioni lunghe nascondono grandi incertezze, e più spesso grosse bugie. Nella UE, oggi, esiste un problema di omofobia? Se sì, dove? I mass media hanno imposto ormai da anni che "omosessuale è bello", tutti si vantano di avere amici/che gay/lesbiche, ergo chi ha paura degli omosessuali o li odia? Stesso discorso per la discriminazione legata all'orientamento sessuale, anzi, se non sei un poco gay non puoi entrare nel mondo della moda o dello show, ci sono ospedali soprannominati Hospedal Gay, nome che ne definisce l'orientamento sessuale prevalente. Dov'è la discriminazione? Infine la bugia, l'identità di genere. Essa esiste solo secondo l'ideologia gender, mentre nella realtà non esiste; non ci può essere discriminazione per qualcosa che non esiste nella realtà.

Anche se la risoluzione non è vincolanti per i paesi UE, essa è comunque un formidabile strumento politico e propagandistico di pressione per omosessualizzare le legislazioni nazionali, secondo i principi di Yogyacarta.
Più che un pacato dibattito, si tratta di uno scontro tra due visioni alternative ed incompatibili dell'essere umano, tra l'ideologia gender e l'umanità secondo natura, come la si conosce a partire dall'esperienza comune e dalla ragione filosofica e scientifica.
L'ideologia gender afferma che la sessualità umana è slegata dai genitali che determinano il sesso dei corpi animali, anche di quello umano, assolutamente indipendente dalla XXIII^ coppia di cromosomi umani: XX propria della femmina - XY propria del maschio. L'ideologia gender asserisce che non ci sono due generi soli, il maschile e il femminile, bensì almeno cinque: etero, lesbo, gay, bisex e trans. Afferma che ciascuno sceglie la sua identità sessuale in assoluta libertà e tale scelta può cambiare nel tempo.
L'ideologia gender è dualistica e spiritualistica, forse una riproposizione aggiornata al contemporaneo delle dottrine gnostiche. Dualistica poiché separa e contrappone il corpo all'anima. Spiritualista perché svilisce il corpo costringendolo a non incidere sulla sessualità decisa in toto dalla libertà individuale.
Essa discrimina gli eterosessuali nei quali cataloga contro l'esperienza comune e la ragione sia gli uomini che le donne eterosessuali, uomini e donne tra loro diversi, complementari e fecondi. La Natura non solo fa nascere soltanto uomini e donne, ma caratterizza le speci animali e anche molte speci vegetali in due soli generi maschile e femminile. Non è la scienza che opera questa distinzione, essa si limita a riconoscere la realtà così come è plasmata dalla tanto idolatrata Madre Natura.

mercoledì 5 febbraio 2014

Tris d'assi per la Famiglia

Papa Francesco ha convocato il Sinodo dei Vescovi sul matrimonio e famiglia.
Il Sinodo si svolgerà in due tempi, in modalità straordinaria nell'autunno 2014 e in modalità ordinaria nel 2015. In vista di ciò, la segreteria del Sinodo ha finalmente prodotto un  documento preparatorio breve ed agile che ha sicuramente raggiunto uno degli obbiettivi del papa: far discutere. Sono intervenuti in ordine cronologico:
mons. Muller prefetto della Suprema e futuro cardinale, detto il Tedesco
il card. Maradiaga, detto l'Honduregno
mons. Zollitsch arcivescovo di Friburgo in B. e presidente uscente della conferenza episcopale tedesca
mons. Paglia presidente del pontificio Consiglio per la famiglia
mons. Mogavero vescovo di Mazara del Vallo
la conferenza episcopale del Triveneto, con la nota Il compito educativo è la questione chiave
Ogni elenco spiana in basso i diversi contributi, il primo e l'ultimo sono i migliori, mentre gli altri servono per guadagnare un titolo in prima pagina.

Il Foglio odierno dedica l'inserto al dibattito su matrimonio & famiglia in corso nella chiesa cattolica con tre interventi, tutti e tre succosi.

Basta con Paolo VI, afferma la potente conferenza episcopale tedesca. Tale richiesta significa il superamento o per meglio dire l'abrogazione della dottrina insegnata dall'Humanae Vitae. Su di essa si è consumato un vero e proprio scisma, operato da cardinali, vescovi e teologi del primo mondo, talmente rumoroso che papa Montini non scrisse più un'enciclica. Sette encicliche scrisse nei primi cinque anni di pontificato (1963-68), mentre nei successivi dieci anni (1968-78) zero. Ciò è da imputarsi alla opposizione decisa, pubblica e pervicace contro il magistero papale da parte non tanto del mondo con il quale il papa del Concilio avrebbe voluto dialogare, ma da parte della sua stessa chiesa, e più precisamente da una parte della chiesa, quella appartenente al suo stesso mondo, il primo, mentre le povere chiese del secondo e terzo mondo furono storicamente le sole a comprendere e accogliere l'insegnamento progressista dell'Humanae Vitae.

Paolo VI firma l'Humanae Vitae

Contro la chiesa opinionista è l'intervista a Stanislaw Grygiel, il filosofo polacco studente e collaboratore del card. Wojtyla prima e poi del papa, docente presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. Finalmente qualcosa che merita il bel nome di cristiano, non mere opinioni da bar dell'oratorio. Chi indossa la porpora non sempre pensa e parla come la porpora vorrebbe, per fortuna o per grazia chi non la indossa, pensa e parla come se portasse la porpora, testimone del sangue effuso da nostro Signore e non suo traditore.

Stanislaw Grygiel
Infine l'editoriale dell'elefantino: Le gerarchie cattoliche novatrici sono spiazzate dai movimenti pro-realtà e vita. Ecco uno strano paradosso. La chiesa che insegue il mondo per dialogare a qualsiasi costo con esso, non fa che ripetere fuori tempo ed in perenne ritardo gli slogans del mondo, sempre più avanti nel trasformare i potenti desideri in desideri dei potenti: divorzio, aborto, eutanasia, gender, tutto ciò che il mondo pretende la chiesa matrigna vorrebbe santificare. Viceversa la chiesa che non insegue il mondo è spesso cercata da quel mondo perplesso e contrariato per la propria deriva antiumana e irrazionale. Qui vi sarebbero territori ampi per edificare il dialogo utile all'umanità e alla chiesa, in difesa dell'umanità tutta, dal concepito al moribondo, dal primo al quarto mondo, un vasto spazio laico posto di fronte al recinto sacro della chiesa e da esso illuminato, ma pur sempre uno spazio "profano", cioè davanti all'epifania cristiana, non dietro né di lato.

Benedetto XVI

Nell'insieme sono un bel tris d'assi in vista del Sinodo.
L'asso di fiori papa Paolo VI, il papa bresciano dell'Humanae Vitae.
L'asso di cuori papa Giovanni Paolo II, il papa che ha contribuito maggiormente a riflettere sull'amore sponsale e a difendere la dignità della vita umana.
L'asso di picche papa Benedetto XVI, il papa emerito che ha promosso il dialogo della chiesa con il mondo sulla base della ragione umana comune, capace di conoscere la verità della vita e dell'amore.

sabato 1 febbraio 2014

Contro Maradiaga

Il cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga SDB, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del C8 (la commissione di 8 Cardinali che consigliano papa Francesco sulla riforma della Curia Romana), ha rilasciato il 20 gennaio un'intervista esplosiva al quotidiano tedesco Kölner Stadt-Anzeiger, tradotta e pubblicata sul Il Foglio di giovedì 23 gennaio 2014.
Innanzitutto, perché proprio il Kölner Stadt-Anzeiger? Esso non è uno dei principali giornali tedeschi, ma semplicemente un quotidiano locale di Colonia. Forse questa scelta è stata dettata dal fatto che in seguito alle dimissioni per raggiunti limiti d'età del card. Meisner, arcivescovo di Colonia, il Capitolo cattedrale sta selezionando la terna dei candidati da inviare alla Santa Sede? Oppure per lisciare il pelo nel verso giusto alla economicamente potente Chiesa Cattolica tedesca da parte del presidente di Caritas Internationalis?


Condivido ben poco delle parole dette dal cardinal Maradiaga nell'intervista a KSA, tra le poche condivise, questa: "la chiesa non è semplicemente un'istituzione creata dall'uomo, ma è opera divina", infatti essa permane nei secoli nonostante gli uomini cui è stata affidata, quel clero del quale è membro eminente proprio il cardinale honduregno. L'entusiasta cardinale honduregno parla di una nuova era, ma intende soltanto mezzo secolo; ed io che credevo la durata delle ere fosse di milioni di anni o almeno di millenni. Inizio della nuova era è il Romano Pontefice regnante, simile a papa Giovanni XXIII: "quando spalancava le finestre della chiesa, per farvi entrare aria fresca". Spalancare le finestre è certamente necessario per arieggiare la casa. Dopo aver aperto le finestre è opportuno richiuderle, soprattutto a queste latitudini e nella stagione invernale, perché si fa presto a far buscare un raffreddore. Restando poi in ambito architettonico, credo che i pastori non debbano preoccuparsi della freschezza dell'aria dentro la chiesa, aprendo o chiudendo le sue finestre; la qualità dell'aria nella chiesa è affare di nostro Signore, mentre dovere di tutti i cristiani è ascoltarlo: "Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese". I pastori dovrebbero  preoccuparsi di portare il buon profumo di Cristo risorto nel mondo, fuori dalle sagrestie, dalle curie e dalle redazioni.

Ma guardiamo alle affermazioni che non condivido.
Il cardinale salesiano invoca: "Più cura pastorale che dottrina", rivelando un tratto autobiografico, infatti è diplomato in psicologia clinica e psicoterapia. Se fosse diplomato in scienze motorie, forse avrebbe detto più esercizi ginnici che spirituali. Ergo la soluzione è stendersi sul lettino dello psicanalista e farsi massaggiare l'anima dai soli esperti rimasti, dato che i preti hanno abdicato da anni alla cura d'anime, debbono fare ginnastica per: "seguire il mondo che cambia velocemente". Ognuno evidentemente sceglie chi seguire, forse anche i pastori dovrebbero chiedersi chi vogliono seguire, perché poi le pecore li seguono. A me sembra che la chiesa stia annegando per troppa cura pastorale e viceversa manchi l'annuncio franco della dottrina. Legge suprema della chiesa è la salus animarum, cioè la salvezza delle anime (CIC 1752). Cos’è la salvezza? Da che cosa dipende? Le lettere dell’apostolo Paolo sono istruttive, proprio in merito al rapporto tra dottrina e cura pastorale. Ad una prima parte dottrinale, nella quale l’apostolo annuncia il Vangelo della salvezza, la Verità salvifica della morte e resurrezione di Gesù, egli fa seguire una seconda parte parenetica che deriva e si regge interamente sulla prima parte dottrinale, dove tira delle conseguenze particolari e specifiche per la chiesa cui indirizza quella lettera. Quindi, la contrapposizione tra dottrina e pastorale è inconsistente, non solo umanamente ma anche apostolicamente e come scrisse l'apostolo delle genti: "Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole." (2Tim 4,3-4).

Ma ascoltiamo ancora le parole ispirate del cardinale Maradiaga sul confratello vescovo Muller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (non della pastorale, ma proprio della dottrina). L'intervistatore tedesco domanda: "Il suo confratello e futuro cardinale Gerhard Ludwig Müller, nonché prefetto della congregazione della Fede, sembra tenere maggiormente in considerazione l’autorità della chiesa." Il riferimento implicito è all'articolo di mons. Muller sull'indissolubilità del matrimonio pubblicato dall'Osservatore Romano il 23 ottobre 2013, ma originariamente scritto in tedesco e pubblicato da Die Tagespost il 15 giugno 2013.
Maradiaga: (ride) Ho letto. E ho pensato: “Potresti avere ragione, ma anche torto”. Voglio dire, lo capisco. E’ un tedesco, e per giunta un professore, un professore di Teologia tedesco. La sua mentalità concepisce solo il giusto e lo sbagliato. Basta. Io però rispondo: “Fratello mio, il mondo non è così. Dovresti essere un po’ più flessibile nell’ascoltare i punti di vista altrui. Così non finisci per ritrovarti a dire solo altolà, qui è il muro e oltre non si va”. Ma penso che ci arriverà anche lui.
Anch'io ho letto questa risposta e ho pensato: "Ma dove ha imparato a sragionare in modo siffatto". Come può pensare che qualcuno possa avere ragione e torto sullo stesso argomento? Se il tedesco professore di teologia ha ragione il matrimonio è indissolubile, se invece ha torto il matrimonio è dissolubile, ma non può avere ragione e torto contemporaneamente. Non è la mentalità tedesca che "concepisce solo il giusto e lo sbagliato" è il buon senso, il buon uso della ragione a concepirlo. In logica si chiama principio di non contraddizione. Che senso ha invitare ad essere più flessibile nell'ascoltare? Flessibilità e durezza non sono attributi idonei all'ascolto. L'orecchio è aperto all'ascolto oppure è chiuso, sordo. Forse il cardinale intendeva per ascolto ciò che segue, cioè l'adesione personale a ciò che si è udito. Ma in questo caso si cade dalla padella alla brace, perchè in campo di fede l'adesione personale va alla propria coscienza, cosa che reputo abbiano fatto sia l'honduregno cardinale nell'intervista che il tedesco professore nell'articolo. Inoltre perché l'argomento del contendere, l'indissolubilità matrimoniale, non sembra da bar sport dove le diverse opinioni e i differenti punti di vista hanno diritto di esprimersi e volare con la fantasia. Per motivi di coscienza san Giovanni Battista e san Thomas More ci rimisero la testa. Se fossero stati più flessibili nell'ascoltare le opinioni altrui avrebbero forse conservato la testa. Cosa glielo impedì? Non fu il dovere di essere fedeli alla propria coscienza, anche a costo della vita? Ebbero ragione o torto, giacché l'ipotesi del Maradiaga, che avessero ragione e torto, non può esistere?

Senza dubbio tutte le parole devono essere interpretate. Anche quelle di Gesù, il quale raramente parlò in  modo oscuro, più spesso chiaramente, come per esempio sul matrimonio. Il Nazareno riporta il matrimonio al progetto originario di Dio contro tutte le interpretazioni casuistiche dei rabbini. Basta leggere nel discorso della montagna l’antitesi dedicata al matrimonio indissolubile: “Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio [Es 20,14; Dt 5,18]. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: "Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio" [Dt 24,1]. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.” (Mt 5,27-32). Forse un elemento del contesto storico di queste parole di Gesù è la discussione tra rav Hillel e rav Shammai, due grandissimi rabbini vissuti nel periodo intertestamentario, sulle cause lecite di ripudio della moglie. Hillel è più flessibile rispetto a Shammai, un duro conservatore la cui mentalità è simile a quella del teologo tedesco, deriso dal cardinale honduregno. Salvo che Gesù è ancora più duro del già duro Shammai e del teologo tedesco la cui mentalità ristretta comprende solo il giusto e lo sbagliato, il vero e il falso. Dipende in che verso si legge, secondo Dio o contro? Questa alternativa secca è anche alla base di  una altra parola di Gesù sul matrimonio, nella quale rispondendo ad una tipica domanda rabbinica circa i motivi leciti per ripudiare la moglie, Gesù abroga il permesso mosaico del ripudio perché grazie a lui, Verbo incarnato di Dio, si può nuovamente risalire al progetto originario di Dio sulla coppia umana e soprattutto si può vincere la durezza del cuore, da Gesù identificata come la causa del permesso mosaico: “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: "È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?". Egli rispose: "Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto". Gli domandarono: "Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e di ripudiarla?". Rispose loro: "Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all'inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un'altra, commette adulterio".” (Mt 19,3-9). Certo tutto si può interpretare, ma ogni interpretazione deve partire e ritornare al testo che fa testo. Bisogna ricordare che proprio la caduta, il peccato originale, nasce dall’interpretazione fatta dal Tentatore delle parole di Dio e alla sua scuola interpretativa, dall’interpretazione fatta dalla donna delle stesse parole di Dio. Il demonio è Padre della menzogna perché inganna la donna mettendo sulla bocca del Creatore parole che Dio non ha detto; la donna ingannata, cerca di correggere il diavolo, ma scegliendolo come interlocutore, accetta le sue premesse interpretative, il suo adulterare le parole di Dio, adulterandole lei stessa. Ecco le vere parole dette da Dio all’uomo: “Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire".” (Gen 2,16-17). Il comando di Dio è che si possa mangiare di tutti gli alberi del giardino meno uno. Ecco invece le parole che il serpente pone sulla bocca di Dio e come le riferisce la donna: “Il serpente […] disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: "Non dovete mangiare di alcun albero del giardino"?". Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete"". (Gen 3,1-3). Il serpente subdolo chiede se sia vero il falso, cioè se Dio abbia vietato di mangiare di ogni albero, uno spiritualismo che rivela molto del demonio, antitetico al realismo buono di Dio creatore di tutto. La donna scioccamente risponde, accettando la provocazione demoniaca e cade nella trappola del più astuto di lei, cerca di correggere la troppo palese falsificazione diabolica delle parole divine, ma non resiste alla demoniaca tentazione di perfezionarle, aggiungendo un di più che storpia, il divieto non solo di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, ma anche di toccarlo, divieto che non ha origine divina ma umana.

Una malattia oftalmica inficia la visione della realtà sociale contemporanea e del magistero della chiesa. Non nego che ci siano numerosi fallimenti matrimoniali, ma da qui a dire che vi sono solo questi… Ci sono molti matrimoni che funzionano e penso che siano ancora la più parte. Come si può squalificarli facendo di tutta un’erba un fascio, dichiarando: “Quel genere di famiglia oggi non esiste quasi più”. Questa è una falsificazione della realtà uguale e contraria a quella che nega che ci siano problemi: questi ci sono da che mondo è mondo, ma non ci sono solo le difficoltà. Certo che si verificano incidenti automobilistici, ma nessuno si sogna di abolire le automobili, ne tantomeno di abrogare il codice della strada perché viene violato. Il cardinale parlando del "genere di famiglia che non esiste quasi più" si riferisce alla famiglia di cui ha scritto il beato Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio. Così facendo il cardinale Maradiaga confonde il Magistero del papa espresso nella Familiaris Consortio e nelle sue Catechesi sul matrimonio e sulla vocazione dell'amore sponsale, con l’attuale situazione sociale, per di più descritta con la lente pessimista dei fallimenti. Il Magistero indica una meta da raggiungere, per la quale vale la pena di combattere, a patto di volerlo. Sembra invece che una parte della chiesa abbia rinunciato alla sua vocazione alla santità, contravvenendo il magistero del Concilio Vaticano II che nella Lumen Gentium tratta dell'universale vocazione alla santità. Oppure, siccome sono passati già cinquant’anni dall'evento conciliare i suoi insegnamenti sono già superati?

Bisogna prendere sul serio il giudizio (in realtà un pregiudizio) espresso in queste parole del cardinale Maradiaga: “la sfida pastorale richiede risposte al passo coi tempi. Risposte che non possono più fondarsi sull’autoritarismo e il moralismo”. Sua Eminenza a cosa si riferisce? Forse negli ultimi cinquan’anni, dopo che il beato Giovanni XXIII spalancò le finestre della chiesa, vi sono state risposte della chiesa fondate sull’autoritarismo e sul moralismo? Ricordo un paio di episodi. Il trattamento riservato dal beato Giovanni XXIII a san Pio da Pietralcina non fu esempio di autoritarismo? Il trattamento riservato da ampie fette della chiesa a Paolo VI e al suo magistero papale in seguito alla sua ultima enciclica, l’Humanae Vitae, non è forse esempio di moralismo? Cos’è autoritaritario? La semplice esistenza di un’autorità? La dittatura dei desideri non è forse autoritaria? Anche la voce interiore della coscienza, quando imperiosa esige d’essere obbedita, lo è? La sciocca accusa di autoritarismo spesso ne cela uno peggiore e più subdolo che ottiene con la dolce persuasione la supina omologazione al pensiero dominante. Cos’è moralistico? La riduzione della ricca vita morale dell’uomo ai comandamenti? Dimentichiamo forse che i comandamenti sono il necessario corollario della libertà, senza i quali la libertà scade nel libertinismo delle élite e dei superuomini. Senza la prescrizione dei comandamenti morali che richiedono di fare o non fare qualcosa, la libertà non nasce e non si struttura, non cresce, ma rimane uno sterile e informe desiderio di felicità, senza però la capacità di esserlo. Senza questa giustizia la misericordia si riduce a giustificare il peccato, invece che a perdonare il peccatore. Questo è ciò che cercano gli adolescenti, ciò che esige il Potere mondano, è la vita della massa. Ma questo non è ciò che vuole Dio e nemmeno ciò che desidero per la mia vita e per quella dei miei cari.

Infine ecco la dichiarazione d’intenti del novello riformatore: “Ci sono molte cose che devono cambiare nella chiesa. […] Le strutture devono essere al servizio delle persone. E se il mondo cambia velocemente, le strutture ecclesiastiche, della curia, devono riuscire a stare al passo dei mutamenti”. Che squallida visione della chiesa, letteralmente ridotta ad una multinazionale, una pia ONG. I cambiamenti auspicati nella chiesa, ridotti a mero ricambio delle strutture. Ma la chiesa, insegna il Vaticano II e tutti i santi, non è le sue strutture, le curie e gli uffici pastorali che si sono moltiplicati a sproposito a tutti i livelli, dalla semplice parrocchia alla chiesa universale. Una burocrazia che si autoalimenta. La chiesa non è più il mistero dell’umanità nuova che ha origine nella santa Trinità, il popolo di Dio, il sacramento dell’unità tra Dio e l’umanità? Che fine han fatto tutte queste categorie teologiche ripescate dal Concilio del secolo scorso dal ricco patrimonio tradizionale della chiesa. Vogliamo veramente riformare la chiesa? Bisogna iniziare da sé, iniziando o rafforzando il proprio cammino di santità, giacché solo i santi hanno reso migliore e più credibile colei che è nostra madre. E di solito i santi non hanno preso a modello il mondo, lento o veloce che sia, ma il Vangelo. Aboliamo la maggior parte degli uffici pastorali, giacché non servono a molto, e liberiamo energie per essere cristiani e per evangelizzare. Guardate come nacque e come si conservò in vita la chiesa coreana: dei veri cristiani laici vissero la loro fede e per alcuni secoli la trasmisero, senza clero, senza pastorale, senza burocrazie ecclesiali.
Una riforma strutturale forse è possibile, ma non credo se ne parlerà. Riforma disciplinare pienamente fedele alla divina Rivelazione: permettere agli uomini sposati, i cosiddetti viri probati, di accedere al sacramento del ministero ordinato, non solo al grado del diaconato già possibile, ma per lo meno a quello del presbiterato. Le testimonianze scritturistiche a favore sono due. Innanzitutto la volontà di Gesù che scelse tra i suoi apostoli almeno un uomo sposato, Simone poi detto Pietro, altrimenti il Signore non avrebbe potuto guarire la suocera di Simon Pietro (cfr. Mc 1,30). Dove c’è una suocera, c’è una moglie. Dove c’è una moglie c’è un uomo sposato. Quindi la precisa indicazione dell’apostolo Paolo, il quale nella prima lettera a Timoteo elenca i criteri per scegliere tra i candidati all’episcopato: “Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia guidare bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi” (1Tim 3,2-4). Le due testimonianze bibliche sono confermate dalla prassi attuale della Chiesa Cattolica che in due casi limitati già ammette uomini sposati al sacerdozio ordinato. Si tratta delle Chiese cattoliche di rito greco e degli Ordinariati cattolici per le comunità anglicane. Già ci sono uomini sposati che sono sacerdoti cattolici ed esercitano lecitamente, si tratta soltanto di estendere questa facoltà anche alle chiese di rito latino. Non si tratta di permettere ai preti celibi di sposarsi, ma solo di concedere agli uomini sposati di diventare preti. Questo permetterebbe di valorizzare e l’istituto matrimoniale e il carisma divino del celibato, ora ridotto a legge umana ecclesiale.