giovedì 13 marzo 2014

Anche noi sposati vogliamo diventare santi

Riflessioni di un cristiano sposato sulla relazione svolta dal card. Kasper al Concistoro il 20 febbraio 2014
Scrivendo queste note ho consultato stamane, prima domenica di quaresima, il sito della Santa Sede e sono stato accolto dall’augurio a papa Francesco per il primo anniversario della sua elezione a Romano Pontefice (13 marzo 2013). L’augurio consiste della domanda decisiva: “Vogliamo diventare santi? Sì o no?” (Angelus 16 febbraio 2014). Sì, santo padre, vogliamo diventare santi. Lo vogliamo anche noi sposati. Lo cerchiamo mediante il matrimonio e non nonostante esso. In questa ottica ecco le mie riflessioni sulla relazione del card. Kasper. La mia prospettiva è quella di un uomo felicemente sposato, orgogliosamente padre di tre figlie, riconoscente al Signore dei doni ricevuti, la mia donna ed il suo amore, la grazia del sacramento matrimoniale del quale proprio noi due siamo i ministri responsabili di celebrare l’amore, tre figlie meravigliose, la luce della fede cristiana, la speranza nella resurrezione della carne.
Ho trovato affascinante la relazione del card. Kasper, ammaliante per la sua notevole ars oratoria, ma per tre motivi nientaffatto condivisibile. La relazione accenna a due temi d'importanza capitale: la crisi antropologica e l'abisso tra l'insegnamento della chiesa e la vita di molti cristiani, ma si limita a citarli in modo superficiale, senza approfondirli come necessario. La relazione, inoltre, omette un paio di cose essenziali: non considera la situazione contemporanea segnata dalla guerra contro l'uomo e contro la famiglia; dimentica del tutto il magistero di Giovanni Paolo II, forse colui che maggiormente ha contribuito allo sviluppo della dottrina cattolica sul matrimonio e sulla famiglia. Infine la relazione é apparentemente incoerente laddove la professione di fede viene disincarnata dalla prassi: la prassi prova nuovi e larghi sentieri che vanno altrove rispetto al cammino della vera fede che non può evitare la croce.

Botticelli, Venere e Marte

Temi sfiorati superficialmente
Nell’introduzione il card. Kasper accenna all’emergenza antropologica e scrive: "Il mondo attuale sta vivendo una crisi antropologica", giudizio che anche le pietre condividono e che avrebbe potuto essere il quadro in cui inserire la riflessione, sviluppando magari l'alleanza tra credenti e non credenti per promuovere la cultura della vita nel rispetto della natura umana. Le vere novità politiche confermano che ciò é possibile. La stupenda esperienza francese de La Manif Pour Tous, nata in Francia nel 2012 per promuovere il matrimonio eterosessuale e difendere la famiglia tradizionale dal cosiddetto matrimonio omosex; l'appello inascoltato al PD sull'emergenza antropologica dei magnifici quattro (Barcellona, Sorbi, Tronti e Vacca) prontamente ribattezzati marxisti ratzingeriani; la proposta di moratoria internazionale dell'aborto fatta da Giuliano Ferrara e la conseguente lista pazza del 2008 e prima ancora la vittoria ruiniana al referendum sulla fecondazione assistita del 2005, in corso di sterilizzazione per via giurisprudenziale. Quali sono le cause prossime e remote della crisi antropologica? Quali prospettive può avere tale crisi? Le prospettive sono fauste o infauste, gli esiti sono auspicabili o deprecabili? Quale giudizio cristiano possiamo o dobbiamo formulare sulla crisi antropologica? Il giudizio cristiano non si limita a condannare l’antiumanesimo all’opera nel nostro mondo, ma nemmeno si dimentica di farlo, riconosce nella krisis attuale la rivelazione del giudizio di Dio sull’uomo contemporaneo e sulla sua storia. Riconosciamo tale giudizio divino su di noi? Accettiamo di essere sotto il suo giudizio tremendo e misericordioso? La terribile domanda di Gesù: “Quando il figlio dell'uomo ritornerà, troverà la fede sulla terra” ci deve mettere sull’avviso che niente è scontato e sicuro, nemmeno la fede. Nella pièce teatrale Aspettando Godot, Samuel Beckett descrive il vuoto che attanaglia l'insulsa vita degli uomini che aspettano senza più  sapere chi o cosa; i cristiani odierni sono diventati come Vladimiro è Estragone, i due protagonisti che non sanno chi/cosa aspettano? La Chiesa aspetta ancora il ritorno glorioso del Signore? Oppure, visto che lo Sposo sembra essere in ritardo, ha virato il suo desiderio dal cielo alla terra? Così facendo, quando lo Sposo ritornerà, perché è certo il Signore ritornerà, avrà l'olio per accendere la sua lampada?
Sempre nell'introduzione Kasper formula un giudizio duro ed onesto sull’odierna situazione della Chiesa: "Tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute da molti cristiani si è creato un abisso. L’insegnamento della Chiesa appare oggi a molti cristiani lontano dalla realtà e dalla vita”. Condivido e sottoscrivo tale giudizio, ma mi sarei aspettato un poco di sana e realistica autocritica. È doveroso chiedersi perché si è creato un abisso tra l’insegnamento della Chiesa e la vita di molti cristiani. É  accettabile credere nel Dio cristiano, un Dio fedele, misericordioso e geloso e vivere una vita convintamente infedele, senza misericordia né gelosia? Chi è responsabile di tale incoerenza intenzionale? I pastori devono cambiare qualcosa nello svolgimento concreto del loro ministero riguardo la pastorale matrimoniale e familiare? Si sono ridotti a burocrati rinunciando alla ben più faticosa cura d’anime? Io non ho esperienza della chiesa nel mondo, ma solo della chiesa nel primo mondo, in Italia. Conosco per esperienza diretta l'apparente ricchezza di attività pastorali fatta di incontri, convegni, documenti, commissioni, discussioni, aperture, chiusure. Tanto parlare della bellezza del matrimonio da parte del clero celibatario, che l’ha scoperta recentemente, ma come tema teorico, non quale realtà viva. Assistiamo da anni ad un vero diluvio di documenti, emessi da una pletora crescente di soggetti ecclesiali, sui temi più diversi diversi. Produrre un nuovo documento necessita di molto tempo e di molte energie, sottratte alla conoscenza delle persone concrete e alla preghiera. L’abisso è solo una sconfitta o può diventare una opportunità missionaria? In ordine alla santificazione del popolo di Dio quali sono le responsabilità del clero? Bisogna ridurre le richieste al livello peccatore oppure si può spronare i peccatori perché divengano santi? All’umanità e alla cristianità adultere cosa bisogna dire: “Anch’io non ti condanno, va e continua a peccare, tanto Dio è misericordioso” oppure annunciare: “va e non peccare più”? Il clero cosa chiede ai cristiani, di ritornare pagani o diventare santi? Perché l’insegnamento della chiesa sul matrimonio e sulla famiglia “appare lontano dalla realtà e dalla vita”? Gli insegnanti hanno sbagliato metodo? Oppure hanno edulcorato il vangelo, evacuando la parola della Croce? Anche i pastori vivono uno iato tra l’insegnamento e la vita? Le parole di Gesù su scribi e farisei sedutisi sulla cattedra di Mosé: “Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno” (Mt 23,3) sono attuali? I pastori hanno ridotto la dottrina cattolica a banali consigli psicologico-sociologici, deturpando l’integrità della verità evangelica? Se guardiamo ai santi non vediamo lontananza tra la dottrina e la vita vissuta, ma uomini e donne integre, segni visibili di Gesù Cristo, l’antropos teleios. Il clero cerca ancora la santità?
Jan Massys, Davide e Betsabea
A questa classe di temi appartiene anche il secondo paragrafo “Le strutture del peccato nella vita della famiglia”. Esso tratta il tema del peccato non come affermato dal titolo “nella vita della famiglia”, cioè concretamente, ma in modo generico, valido per qualsiasi situazione umana, come un bigino del trattato di antropologia teologica. Non parla della cruda realtà del peccato nella vita famigliare e nella relazione matrimoniale, forse ciò  é  dovuto all'inesperienza. Ci vorrebbero il re Davide e il profeta Osea per dire qualcosa sul peccato dell’adulterio e sull’adulterio come figura di ogni peccato. Ci vorrebbero Giobbe e Socrate per illustrare la pazienza necessaria a sopportare la molesta presenza delle mogli. Ci vorrebbero Eva e Sara per raccontare quanto é comodo e faticoso avere un marito infantile e senza spina dorsale. Ci vorrebbero Sara e Abramo, Anna e Eli, Elisabetta e Zaccaria per descrivere la nostalgia che divora le coppie sterili. Ci vorrebbero Eva, Rachele, Betsabea e Maria per scandagliare il dolore lacerante della perdita di un figlio. Insomma bisogna dar voce agli sposi per udire qualcosa di edificante sul matrimonio, perché come i padri del deserto, solo loro uniscono la dottrina spirituale alla vita vissuta. Noi sposi, infatti, siamo i ministri del sacramento del matrimonio, abbiamo ricevuto la consacrazione spirituale, il dono di grazia per vivere quel che promettiamo, di modo che in ogni matrimonio cristiano si è in tre: l’uomo che diventa lo sposo, la donna che diventa la sposa e Dio che istituisce e custodisce, consacra e santifica l’amore umano, imprimendo la sua immagine e la sua somiglianza nella coppia umana. Attualmente c’è già del clero cattolico uxorato, quello delle Chiese Cattoliche Orientali e quello degli Ordinariati per gli ex-anglicani, che unisce in una sola persona il ministero ordinato e il ministero matrimoniale.
Durer, Adamo ed Eva
Temi omessi, avvolti in un silenzio assordante
Della condizione storica attuale la relazione sceglie di affrontare solo la situazione dei divorziati risposati, cercando un'escamotage per ammetterli alla comunione eucaristica, ma dimenticando tutto il resto. Da decenni una guerra culturale, economica e giuridica è combattuta contro la vita umana e contro la famiglia. Essa si nutre delle ideologie nichiliste del millennio passato (comunismo e nazismo, eugenismo e ambientalismo) ed è combattuta da alcune Nazioni del primo mondo, da Organismi Internazionali (ONU, UE) e da numerosi capitalisti (Buffet, Soros, Gates, Rockfeller) attraverso varie ONG. Le loro vittorie hanno il nome di divorzio, aborto e clonazione; stanno vincendo la battaglia sull’eutanasia, mentre hanno già aperto un nuovo fronte di guerra contro l’uomo, quello del gender. La Chiesa Cattolica finora è stata in prima linea nel combattere la buona battaglia in difesa dell’umanità, dall’embrione al morente, in difesa della dignità di ogni uomo senza alcuna discriminazione genetica, di maturazione biologica, di deperimento naturale, nel rispetto della natura umana distinta in maschio e femmina, fecondi nella loro reciprocità e complementarietà. Continuerà a promuovere il valore sacro della vita umana dal concepimento alla morte naturale? Continuerà a combattere l’aborto, la clonazione umana, l’eugenetica, l’eutanasia? Continuerà a promuovere la famiglia naturale costituita da un uomo e una donna e dai loro figli, ambiente naturale della vita umana, cellula fondamentale della società? Continuerà a combatterà il divorzio, le pseudofamiglie patchword, il cosiddetto matrimonio omosessuale, le coppie di fatto, l’ideologia gender? La Chiesa non ha dichiarato guerra ad alcuno, ma una guerra è stata dichiarata all’umanità e a coloro che la difendono. Sarebbe meglio riuscire a vincere la battaglia dell’opinione pubblica e del linguaggio, non subendo la demonizzazione, ne accettando supinamente di esser chiamati conservatori, retrogradi, nemici dell’umanità e della libertà, ma imponendo il proprio linguaggio. Quando si è in guerra è sbagliato far finta di vivere in un'altra situazione storica, bisogna lottare anche a rischio della vita, come fecero Giovanni Battista, John  Fisher e Thomas More. Bene fece Eberhard Betghe a intitolare l’epistolario di Dietrich Bonhoeffer Resistenza e resa: resistenza al male che cerca di dominare il mondo e di sopraffare l’uomo, resa a Dio, non al mondo. La stessa scelta fece e insegnò il Leone di Munster, il  cardinale August von Galen, il quale con la figura dell’incudine descrisse la missione del cristiano e dell’uomo sotto la dittatura: “e se non possiamo combattere con le armi, allora ci resta solo un mezzo di lotta: una resistenza forte, tenace, dura. Noi in questo momento non siamo martello, ma incudine. Ciò che viene battuto sull’incudine non ottiene la sua forma soltanto dal martello, ma anche dall’incudine. L’incudine non ha neppure bisogno di ribattere, basta che sia resistente, dura. Quando è sufficientemente ferma, solida, dura allora solitamente resiste più a lungo del martello” (predica del 20 luglio 1941). Queste parole valgono a maggior ragione oggi per noi. Per noi oggi è solo più difficile riconoscere il potere mondano che odia e guerreggia contro la vita umana in quanto tale.
Ma l’omissione più eclatante che sorprende per la miopia è la rimozione del magistero del beato Giovanni Paolo II, forse il papa che più ha contribuito alla crescita della teologia del corpo umano, del matrimonio e della famiglia. Come ci si può autocensurare in modo così plateale? È come parlare della grazia e del peccato a prescindere da Paolo e da Agostino.
Caravaggio, Decapitazione di san Giovanni Battista
Infine alcuni punti in cui la relazione mi sembra contraddittoria

Come si conciliano il giudizio favorevole alla famiglia “normale percorso dell’uomo”, le reiterate adesioni alla fede cattolica in materia, con l’accettazione supina della rottura con tale patrimonio di fede? Come si può contemplare, riconoscere e confessare l'amore fedele di Dio verso il suo popolo di santi e peccatori che s'incarna anche nell'indissolubilità matrimoniale, e accettare sul solo piano della prassi l'adulterio e le sue conseguenze? All'abisso diagnosticato dal card. Kasper tra dottrina cattolica e vita di molti cristiani, vera e propria apostasia silenziosa, si associa l'abisso tra la dottrina e la prassi, uno iato tra la verità creduta e la verità vissuta, una condizione di schizofrenia latente, aggravata dalla terapia proposta: dimenticare di fatto la dottrina e giocare tutto sulla prassi pastorale. É palese che tale scelta sia di cortissimo respiro, perché si fa dettare la dottrina dal mondo e pone la Chiesa sempre a inseguire il mondo nel vano tentativo di cristianizzare le sole apparenze mondane, perdendo così l'anima, e del mondo e propria.
Al termine del terzo paragrafo, dedicato a "La famiglia nell'ordine cristiano della redenzione", c'é il seguente giudizio: “Il Vangelo del matrimonio e della famiglia per molti non è più comprensibile, è caduto in una crisi profonda”. Sembra un asteroide caduto da chissà dove, privo di legami con ciò che precede e ciò che segue. Se mia figlia, studiando il teorema di Pitagora non lo comprendesse, non trarrei la conclusione che la geometria è caduta in una crisi profonda. Chi è precipitato nella crisi profonda rettamente denunciata dal card. Kasper? Il Vangelo del matrimonio e della famiglia o chi non lo comprende? E non lo comprende perché non lo capisce, oppure perché non vuole, perché é comodo una parola troppo dura da sopportare? Volete andarvene anche voi, chiese Gesù ai dodici? Egli non fa sconti, perché la grazia, ed in essa sono comprese fedeltà  e misercordia, é a caro prezzo. E con la grazia la promessa di felicità eterna, non solo quella transitoria in questa vita. Penso anch’io che il Vangelo del matrimonio e della famiglia non sia più compreso da molti, ma non lo si rende di nuovo accessibile adeguandolo allo spirito del tempo. Ciò equivarrebbe a mondanizzare il Vangelo e quindi a non aver più niente da annunciare ad un mondo disperato. Se Gesù fosse stato più misericordioso e meno esigente l’adultera sarebbe rimasta tale, il paralitico sarebbe ancora peccatore, Maddalena sarebbe rimasta una sordida donnaccia e lui, il maestro non sarebbe morto in croce ma di vecchiaia e tutto il mondo sarebbe ancora sotto il dominio del peccato e della morte. È questo che la Chiesa vuole dagli sposi cristiani? La Chiesa, mia madre, vuole che noi sposi rinunciamo all’universale chiamata alla santità, cui il Concilio Vaticano II finalmente ci invita? Noi sposi, padri e madri dovremmo limitarci a figliare per Dio e per la Chiesa e lasciare al clero e ai religiosi la sequela delle beatitudini? No grazie, preferisco restare con Gesù, con o senza la chiesa, pur sapendo che senza é impossibile. E quindi possibile a Dio.
Infine sulla proposta di procedura non giuridica per accertare la nullità matrimoniale. Mi pare che tale proposta pecchi di serio pregiudizio antigiuridico. Tale proposta nega implicitamente o diminuisce la natura sociale della chiesa e dei suoi sacramenti. Tale natura sociale ha un intrinseco risvolto canonico, non da subire cercando di scavalcarlo con sotterfugi, ma da applicare correttamente. Nel merito mi sembra teoricamente affascinante e perfetta nell'iperuranio, ovvero irrealistica. Il clero cui si vorrebbe affidare la nuova prassi pastorale di accertamento della nullità é lo stesso che ha lasciato maturare tale crisi, é adeguato a fare ciò che finora non ha fatto? Inoltre la proposta é fatta esplicitamente per una piccola classe di eletti o fortunati. Chi decide gli appartenenti a tale classe? In base a quali criteri si entra a farne parte? E per tutti gli altri che sono la maggioranza? Sembra quindi che detta proposta, più che risolvere il problema dei divorziati risposati, lo complichi.
Spero di aver dato il mio contributo al dibattito voluto da papa Francesco, su di un argomento per me, sposo e padre, vitale. Se ho ferito qualcuno, me ne dolgo, ma non posso tacere.
Marc Chagall, Cantico dei Cantici