domenica 27 aprile 2014

Delle cose buone da chiedere. II

Il secondo giorno della settimana conviene chiedere le lacrime, frutto fecondo del pianto. Questo è il giorno del due: due sono le acque separate dalla creazione del firmamento in acque superiori ed acque inferiori; due i motivi per cui si piange, dolore e gioia, e quindi due i tipi di lacrime, amare e dolci; due gli occhi da cui colano le lacrime; due le vie tra cui l'uomo può scegliere, la via del bene e della vita opposta alla via del male e della morte; due i giudizi di Dio, giudizio di condanna dei peccatori e giudizio di salvezza dei giusti. Le lacrime fuoriescono dagli occhi ma sgorgano dall'unico cuore e come fuoco spirituale bruciano le profonde radici dei peccati, purificando il cuore e dopo aver intensamente pianto permettendo di vedere Dio.

El Greco, Maria Maddalena penitente (1578-80)

 Le lacrime sono duplici come le acque primordiali di cui si ricorda la creazione nel secondo giorno della settimana, allorché il Creatore fece il firmamento con cui separò le acque superiori dalle acque inferiori. L'acqua è infatti principio liquido duale: è necessaria alla vita quanto può esserle mortale; senz'acqua il giardino si riduce a deserto inaridito dove gli esseri viventi periscono e con l'acqua del diluvio si compie il giudizio di Dio, giudizio di condanna dei peccatori e giudizio di salvezza di Noè.

Anche le lacrime come le acque sono sempre necessarie. Innanzitutto sono necessarie per piangere sui propri peccati, e più si viene purificati dal dono divino delle lacrime di pentimento e compunzione, più si vedono i propri peccati per cui si prosegue a versare queste benefiche lacrime amare. Poi sono necessarie per godere della gloria di Dio presente nel creato, grazie al dono divino delle lacrime di contemplazione e di compassione, lacrime dei puri di cuore, ai quali è promesso che: “vedranno Dio” (Mt 5,8).


El Greco, Pentimento di san Pietro (1580)

A tal proposito ecco la bellissima preghiera di Sant'Efrem il Siro. In essa si chiede a Dio di poter vedere i propri peccati, la cosa più difficile da vedere, mentre vedere quelli altrui è la più facile.

Signore e Sovrano della mia vita,
non darmi uno spirito di ozio, di curiosità,
di superbia e di loquacità.
Concedi al tuo servo
uno spirito di saggezza, di umiltà,
di pazienza e di amore.
Sì, Signore e Sovrano,
dammi di vedere le mie colpe
e di non giudicare il mio fratello,
perché tu sei benedetto nei secoli dei secoli.

domenica 20 aprile 2014

Delle cose buone da chiedere. I

Fenice, Bestiario di Aberdeen (XII sec.)
Il giorno uno è opportuno chiedere al "Padre della luce" (Gc 1,17) la luce, prima creatura la cui natura è semplice e trasparente. Luce fisica per gli occhi del corpo, luce metafisica per gli occhi dell’anima, luce spirituale per lo spirito.

Il cieco nato non vedeva la luce fisica che allieta i nostri occhi, ma forse proprio grazie alla cecità fisica vedeva l’essenziale, invisibile agli occhi della carne, ma visibile agli occhi dell’anima e per puro buon senso sa che: “Dio non ascolta i peccatori, ma se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta” (Gv 9,31); la verità è la luce metafisica visibile all’anima “che illumina ogni uomo” (Gv 1,9).

El Greco, Guarigione del cieco nato (1570)

La luce della verità non necessità del senso della vista, come è mostrato dal fatto che anche i ciechi conoscono la verità; il senso della vista può vedere la luce, ma può pure offuscarla, essendo un senso ambiguo come tutti i nostri sensi feriti dal peccato, come insegna Gesù: “Se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso” (Mt 6,22-23).
Dopo la guarigione fisica operata da Gesù, grazie al buon terreno dell’anima semplice del cieco nato e alla necessità divina che in lui si manifesti la Gloria di Dio, l’ex cieco nato che oltre la luce metafisica della verità ora vede anche la luce fisica del sole e può ricevere la rivelazione definitiva e vedere in Gesù che gli parla il Figlio dell’uomo e adorarlo. Gesù risorto è la luce spirituale che illumina il nostro spirito con la sua luce gentile che ci rigenera quali "figli della luce" (Gv 12,36; Ef 5,8).

Tintoretto, Resurrezione di Cristo (1579-81)

domenica 13 aprile 2014

Delle cose buone da chiedere. Nartece

Irlanda, Kilcooney Dolmen

Nel mondo della preghiera vi sono due sentimenti che spingono l’uomo a pregare: lo stupore e l’angoscia. Sono entrambi originari perché da essi nasce la preghiera nelle sue diverse forme. Il primo sentimento originario è lo stupore e genera la lode, il ringraziamento, l’adorazione; la meraviglia culmina nel silenzio della contemplazione, com’è scritto: “O Signore, nostro Signore, quanto è mirabile il tuo Nome su tutta la terra!” (Sal 8,2). Dall’inquietudine nascono invece il lamento, la supplica, la domanda e l’intercessione; l’angoscia culmina nel grido dell’invocazione, com’è scritto: “O Dio, vieni a salvarmi” (Sal 70[69],2). Nella società contemporanea le mete educative sono l’autonomia, l’indipendenza e l’autosufficienza, principi che plasmano la vita e i desideri umani, dando forma e voce a una cultura che esprime sì il grande anelito alla libertà, ma inficiato dal falso presupposto che la libertà debba essere assoluta e non possa che esser tale. Dentro tale orizzonte spirituale la sottomissione, la dipendenza e la riconoscenza sono disvalori, poiché tale milieu culturale esclude per principio il limite e la solidarietà. Perciò la fatica che da sempre accompagna il pregare, atto supremo della vita umana, è resa ancora più dura ed amara dall’ambiente spirituale contemporaneo che non insegna a chiedere né a ringraziare. Gesù nostro Maestro ci insegna a pregare con tutte le fibre del nostro essere creature di Dio, introducendoci nella misteriosa e sorprendente preghiera intradivina, il dialogo d’Amore che scorre inesauribile tra il Figlio di Dio e il Padre suo, reciproco scambio d’amorosi sensi che è lo Spirito Santo. Lo Spirito di Dio prega nel cuore dei credenti, creando così quella “casa di preghiera” (Is 56,7) che è la santa Chiesa, la quale santifica il Nome di Dio gridando: “Abba! Padre!” (Rom 8,15), popolo sacerdotale che nell’umana carne del Figlio di Dio riassume in sé tutto il creato: dagli elementi minerali inanimati fino ai puri spiriti incorporei, passando per i diversi corpi animati: i vegetali, gli animali e i razionali. Questo Gesù nel discorso della montagna (Mt 5-7) insegna tra le altre cose anche a pregare, e conclude le sue istruzioni sulla preghiera (Mt 6,1-7,11) con l’ordine di chiedere al Padre celeste con fiducia filiale:

Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! (Mt 7,7-11)

Evidenzio la struttura retorica del comando in Mt 7,7:
Chiedete       e        sarà dato    a voi,
cercate           e        troverete,
bussate         e        sarà aperto      a voi.
Difficile trovare una frase con più verbi di questa. In latino, “Petite, et dabitur vobis; quaerite et invenietis; pulsate, et aperietur vobis”, su undici termini sei sono verbi, in italiano otto parole su tredici, sei predicati verbali organizzati in tre coppie. In ciascuna coppia il primo verbo è un imperativo; la congiunzione più semplice unisce il primo verbo al secondo predicato che nelle due coppie estreme è passivo ed è completato dal dativo; nel membro centrale il secondo predicato è attivo; il membro centrale, incorniciato dagli altri, costituisce il fulcro, appunto il centro eminente al quale deve convergere l’attenzione degli ascoltatori. I tre predicati imperativi sono al presente, mentre gli altri tre predicati sono al futuro: il comando deve esser eseguito adesso, mentre la promessa è protesa al futuro. Ciò vincola chi promette alla fedeltà verso la parola data e provoca chi riceve la promessa alla fiducia in chi promette. Tre ordini perentori del Maestro, tre verbi leggermente diversi, tutti appartenenti al campo semantico della domanda e del desiderio. All’ordine reiterato tre volte, indice di un comando che deve essere eseguito senza vacillare, corrisponde la promessa di esaudimento ripetuta anch’essa tre volte, segno che è sicura come la Roccia.

Vallecamonica, Incisioni rupestri 
Si deve chiedere, dunque, ma che cosa posso o debbo chiedere? Qualunque cosa e per qualsiasi motivo? Chi può ispirare e guidare il prescritto domandare? L’egoismo egocentrico del bambino? L’egocentrismo narcisista dell’adolescente? La generosità del padre e della madre? La reciprocità fraterna e sponsale? Le fasi dello sviluppo umano sono inadeguate alla divina Maestà; sono altresì ferite dal peccato, con il quale ci siamo allontanati da Dio e frantumati in noi stessi e dal quale siamo avviluppati e ripiegati su di noi. Solo “la grazia e la verità venute per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17) ci permettono di avere acceso al mistero di Dio, il Quale non solo ci ha donato il suo più prezioso tesoro, il Figlio Unigenito, ma nel Figlio ci dona Qualcuno che prega in noi: “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili”(Rom 8,26). Guigo II, nono priore della Grand Chartreuse, nella sua opera Scala Claustralium, così scrive al fratello Gervasio: “La lettura ricerca la dolcezza della vita beata, la meditazione la trova, la preghiera la chiede, la contemplazione la sperimenta. […] Cercate nella lettura, troverete con la meditazione; picchiate nella preghiera, entrerete nella contemplazione”. Guigo descrivendo i diversi momenti della Lectio Divina parafrasa gli ultimi due membri di Mt 7,7. Nella sua opera Pregare la parola, Enzo Bianchi propone di parafrasare anche il primo membro del versetto evangelico così: “Chiedete lo Spirito, riceverete l’illuminazione”. Risultato che reputo ottimo. Giacomo scrive perentorio: “Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni” (Gc 4,2b-3). La prima frase dell’apostolo: “Non avete perché non chiedete” (Gc 4,2b) è la forma negativa del primo ordine di Gesù: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7); senza paura si deve osare e con fiducia chiedere. La seconda frase di Giacomo: “chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni” (Gc 4,3) approfondisce un caso specifico, introducendo un limite all’ordine del Maestro: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7), poiché se si chiede male, ovvero per soddisfare le proprie passioni, non si ottiene; non è sufficiente chiedere, bisogna altresì chiedere bene e chiedere il bene. Ecco un primo risultato: bisogna chiedere ciò che è bene e buono, ciò che è vero e santo. Inoltre si deve chiederlo bene, non per soddisfare le proprie passioni, ma per soddisfare la passione di Dio: Egli, infatti, è fuoco divorante, amore ardente per le sue creature. Questo fuoco divino d’amore è la sorgente dei desideri delle creature, desideri che per il peccato originale e per ogni singolo peccato, sono degenerati, raffreddati, ripiegati su di sé e contro Dio. Le nostre passioni e i nostri desideri debbono essere rigenerati e per farlo possiamo solo immergerli nel fuoco d’amore, non per estinguerli, ma per purificarli dalle scorie che ne impediscono il libero moto verso Dio e reindirizzarli alla loro Causa prima e Fine ultimo. Quindi, che cosa debbo chiedere? Ispirati da Dio i Salmisti chiedono varie cose: vittoria sui nemici (Sal 3,8; 6,9-11; 12,4), pietà (Sal 4,2; 6,2-3), giustizia nella prova (Sal 5,5-9; 7,7-12; 9,20-21; 17,1-4), aiuto e protezione(Sal 5,12; 13,2-3; 16,1), salvezza dai nemici (Sal 7,2; 10,12; 12,2; 17,7). Marta, sorella di Lazzaro, da furba donna di casa sceglie di affidarsi a Gesù stesso: “Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà” (Gv 11,22). In apparenza non chiedere alcunché, in realtà si affida totalmente a Gesù, e nella fede fa sua la richiesta del Figlio al Padre, in modo che la preghiera del Figlio sia la propria unica richiesta: si affida alla fede di Gesù. Infatti, chi meglio del Figlio di Dio può rispondere? Egli è la Sapienza divina attraverso la quale Dio ha creato il mondo, imprimendo nelle sue opere un insegnamento divino, un ammaestramento che distillato nel silenzio adorante della fede dà ai semplici delle indicazioni in merito a cosa chiedere. La Sapienza creatrice, infatti, dichiara:

Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all'origine. Dall'eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua; prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata, quando ancora non aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo. Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull'abisso, quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell'abisso, quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo. (Pr 8,22-31)



La Sapienza creatrice svolge un ruolo da intermediario tra Dio e gli uomini, infatti, la Sapienza è la delizia di Dio ed insieme pone le sue delizie tra gli uomini: “ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo” (Pr 8,31). Salomone scolpisce con poche parole una scena idilliaca dal sapore famigliare: una figlia prediletta gioca spensierata sotto gli occhi amorevoli del padre: lei è la gioia di suo padre. Costei è la Sapienza, delizia di Dio, e pone le proprie “delizie tra i figli dell’uomo”, poiché gli uomini per quanto siano crudeli, stupidi e brutali, restano intelligenti e liberi, ovvero capaci di riconoscere le vie della Sapienza. Perciò rivolgiamo il nostro intelletto ai due libri il cui Autore è Dio, il Creato e le Scritture sacre. Leggiamo il libro della natura alla luce del libro della Scrittura, cercando cosa convenga chiedere al Creatore. Nel primo racconto della creazione (Gen 1,1-2,4a) la Sapienza di Dio distribuisce otto opere, create nell’arco di sei giorni lavorativi, conclusi e compiuti dal VII giorno. Nel III e nel VI giorno sono collocate due opere, così è semplice identificare le due terne in cui si suddividono i sei giorni lavorativi: I-III giorno, IV-VI giorno; entrambe iniziano con opere inerenti la luce (I e IV), entrambe finiscono con un giorno in cui sono concentrate due opere (III e VI). Il VII giorno Dio porta a compimento il suo lavoro, cessando l’opera lavorativa descritta coi verbi dire, separare, fare, porre e creare. Il riposo di Dio, però, non è pura inazione, riguarda solo queste cinque azioni che delineano i modi con cui Dio lavorando ha creato, mentre sta scritto riguardo al VII giorno: “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto” (Gen 2,3). Le azioni sabbatiche di Dio sono benedire,  consacrare e riposare. Il Sabato è la terza opera che viene benedetta da Dio; primi sono pesci ed uccelli (Gen 1,22), cui seguono uomo e donna (Gen 1,28). Con la benedizione del Sabato Dio porta a compimento le sue benedizioni e le sue creature; infatti, il riposo di Dio, e il nostro nel suo, sono la condizione per contemplare e godere della bellezza gratuita delle creature di Dio, per trovare in Dio l’inizio e il fine di ogni cosa, per condividere tutto ciò tra di noi. Dio non si accontenta di benedire il settimo giorno, anche lo consacra. La prima consacrazione narrata dalle Scritture non riguarda un luogo, bensì un tempo, il settimo giorno. Poi verrà il momento in cui gli uomini consacreranno dei luoghi al Signore: una pietra, un altare, un’altura, un tempio, una città, un uomo. Ma la prima consacrazione fatta da Dio stesso riguarda l’ultimo pezzo del tempo, il settimo giorno. La consacrazione del Sabato introduce e prepara la seconda consacrazione compiuta da Dio nella pienezza dei tempi, quando consacrò Gesù che offrì se stesso per noi tutti, risuscitandolo dai morti e costituendolo Signore dei vivi e dei morti. Ciò non avvenne il settimo giorno della settimana, ma il primo che è già diventato l’ottavo giorno della settimana, giorno eterno che non conosce tramonto, perché Gesù è risorto dai morti e più non muore.

Venezia Basilica di san Marco, Creazione mosaico

Giorni
Opere create
Azioni divine
Finalità
1
luce
disse
separò

II
firmamento
disse
fece
per separare le acque superiori dalle acque inferiori
III
asciutto
disse
per far apparire
germogli, erbe e alberi da frutto
disse

IV
fonti di luce nel firmamento: luminare maggiore, minore e stelle
disse
fece
pose
per separare giorno da notte
per segnare feste giorni anni
per illuminare la terra
V
pesci e uccelli
disse
creò
benedisse
per riempire le acque inferiori
e davanti al firmamento
VI
bestiame, rettili
e animali selvaggi
disse
fece
per riempire la terra
uomo
a immagine di Dio
maschio e femmina
disse
creò
benedisse
per dominare
  del mare i pesci,
  del cielo gli uccelli,
  della terra bestiame, 
     animali selvaggi e rettili 
per essere fecondi e moltiplicarsi
per riempire e soggiogare la terra
VII
culto
benedisse
consacrò
aveva cessato 
per compiere


Alle due terne corrispondono i due verbi principali della preghiera di domanda: chiedere e intercedere. Si intercede per gli altri e si chiede per sé in piena armonia col secondo comandamento più grande: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mc 12,31), perché in verità, Tu ed Io, l’uomo ed il suo prossimo, non sono due, ma un solo Adamo, l’unico Terrestre come sta scritto: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” (Gen 1,27). Così i primi tre giorni ci insegnano cosa chiedere e gli ultimi tre per chi intercedere, mentre il Sabato è santo, cioè separato. In esso Dio crea il presupposto del culto, opera divino-umana che permette di immergersi nel mistero e di Dio Creatore e del cosmo creato, come sta scritto:

Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. (Es 20,8-11)

Norma che ha qualcosa da insegnare anche al popolo della nuova alleanza, come sta scritto: “per il popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico” (Eb 4,9).