domenica 28 settembre 2014

Paolo VI beato



Sono un cattolico bresciano, nato quattro mesi prima della conclusione del Concilio Vaticano II, e mi vanto di aver ricevuto al fonte battesimale il nome dell’apostolo delle genti e ciò in onore di papa Montini che due anni prima aveva scelto il nome di Paolo per esprimere: “l'ansia missionaria per la diffusione universale, chiara, suadente dell'Evangelo” come il neoeletto disse nel suo primo messaggio rivolto all’intera famiglia umana (22 giugno 1963). Così dal 19 ottobre 2014 avrò un altro patrono in cielo, accanto a san Paolo apostolo, il beato papa Paolo VI.
La beatificazione di Paolo VI cade in occasione del Sinodo dei Vescovi che si terrà sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. Tre elementi che hanno radici nell’opera di papa Montini: il Sinodo dei Vescovi, la famiglia e l’evangelizzazione. Il Sinodo dei Vescovi fu istituito da Paolo VI “per dare ai vescovi la possibilità di prendere parte in maniera più evidente e più efficace alla Nostra sollecitudine per la Chiesa universale” (Apostolica sollicitudo) e lo volle come: “consiglio permanente di Vescovi per la Chiesa universale, soggetto direttamente ed immediatamente alla Nostra potestà”. La famiglia è elemento centrale dell’HumanaeVitae, enciclica dedicata al “dovere di trasmettere la vita umana, per il quale gli sposi sono liberi e responsabili collaboratori di Dio creatore” (HV 1). Tale Enciclica divenne la più contestata della storia ecclesiastica sulla quale si coagularono così tante critiche da indurre il prolifico autore nonché papa Montini a cessare di scriverne, mentre nei primi cinque anni di pontificato aveva scritto ben sei Encicliche. L’evangelizzazione fu uno degli assi portanti del suo pontificato, oltre al nome scelto come Sommo Pontefice, egli come novello apostolo delle genti ricominciò i viaggi apostolici per portare ad ogni uomo e a tutto l’uomo il Vangelo di Gesù Cristo.

Papa Paolo VI 21.VI.1963-6.VIII.1978

Ma se si vuole onorare in spirito e verità la memoria di questo grande papa del XX secolo, la Santa Madre Chiesa deve  intraprendere un serio esame di coscienza, per giudicare davanti a Dio il comportamento tenuto dalla Chiesa e dai suoi membri nei confronti di papa Paolo VI per fare ammenda pubblicamente e sinceramente del male arrecatogli e così arrecato alla causa del Vangelo. Solo così onoreremo sinceramente il papa bresciano e renderemo giustizia al suo pontificato. Non ha senso metterlo sugli altari per continuare nell’opera infausta di tradimento dei suoi insegnamenti. Bisogna fare un’operazione di verità sul suo pontificato che si svolse in anni cruciali per la Chiesa e per l’umanità, gli anni '60 e '70 del secolo scorso. Anni in cui continuò lo scontro tra i due blocchi. Nel blocco orientale i regimi comunisti perseguitarono violentemente e frontalmente la Chiesa, cercando di estirpare Dio dal cuore dell’uomo e della società, e formare l’uomo nuovo. Nel blocco occidentale l’opera di scristianizzazione si svolgeva e prosegue fino ad oggi in modo non violento e subdolo, riducendo gli spazi a disposizione della dimensione religiosa umana e del fatto cristiano alle sole parrocchie, poi alla sagrestia, infine alla coscienza individuale, cercando di rendere la questione di Dio irrilevante perché insignificante, al più un mero reperto del passato. Mentre il comunismo stava ancora dilatando i suoi spazi nelle periferie del mondo, il colonialismo ottocentesco stava smobilitando con il lungo processo della decolonizzazione e della formazione di nuovi Stati nel terzo e quarto mondo. Nel primo mondo, dal 1968 in poi, una nuova crisi sociale, politica e culturale travolse società uscite da poco dalla ricostruzione post bellica, in Italia la società si stavano inurbando in seguito al rapido processo di industrializzazione. Anni cruciali anche per la Chiesa, la cui vita venne segnata dal Concilio Vaticano II e dalla riforma liturgica che bene o male ne scaturì; dalla partecipazione ufficiale della Chiesa Cattolica al movimento ecumenico; dalla riformulazione della dottrina e della pastorale; dalla grave crisi delle vocazioni sacerdotali e degli antichi ordini religiosi e dalla crescita dei movimenti nella Chiesa; dalla conversione della Chiesa e del cristianesimo da fenomeno prevalentemente occidentale, a fenomeno mondiale; la fiammata della teologia della liberazione.
 
Basilica Vaticana 7 dicembre 1965, Paolo VI alla chiusura del Concilio Vaticano II
Paolo VI viene spesso chiamato papa del Concilio. Definizione ambigua che richiede d'essere precisata. Montini fu uno dei due papi del Concilio Vaticano II assieme a papa Roncalli che il Concilio lo convocò e ne guidò il primo periodo (1962-63). Paolo VI riconvocò il Concilio, lo guidò nei successivi tre periodi (1963-65) e approvò i sedici documenti conciliari; solo grazie alla sua vigilanza, lungimirante e cattolica, tutti i documenti del Concilio vennero approvati a stragrande maggioranza, quasi all’unanimità, evitando così il rischio gravissimo di una scisma. Fu sicuramente un papa del Concilio reale che si svolse nella Basilica Vaticana e che parlò per mezzo dei suoi testi, mentre non fu mai il papa del pseudo-concilio che si svolse sui media e che prese il sopravvento nell’opinione pubblica del mondo e nella giovanissima opinione pubblica della Chiesa. Anzi, Paolo VI fu subito la bestia nera dei fautori dello spirito del Concilio, spirito evanescente, disincarnato e molto utopico, come andava di gran moda negli anni '60 del secolo scorso. Papa Montini impose la Nota esplicativa previa alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa, con cui collocò la collegialità episcopale dentro e sotto il primato petrino del vescovo di Roma, in continuità con la Tradizione cattolica ed in particolare con il Concilio Vaticano I. Perciò i fautori dello spirito del Concilio lo considerarono traditore del loro concilio e iniziarono a contrapporlo all’altro papa del Concilio, a san Giovanni XXIII, cosa che si ripeté ad ogni papa successivo, essendo sempre meglio il papa appena morto del papa regnante. Quindi da buon bresciano coi piedi per terra, seppur raffinato intellettuale, Paolo VI fu il papa del Concilio reale, un Concilio da interpretare e da attuare nel solco della Tradizione, come insegnato da Bendetto XVI.

Basilica Vaticana 29 settembre 1963, Paolo VI intronizza i Vangeli all'inizio della II Sessione Concilio Vaticano II


Paolo VI ha unito indelebilmente il suo nome alla riforma liturgica scaturita dal Concilio Vaticano II, avendo promulgato tutti i libri liturgici riformati secondo i decreti di quel Concilio. Come tutte le opere umane, anche quelle ispirate da Dio, pure la riforma liturgica nata dal Vaticano II è perfettibile e deve essere valutata sia riguardo alla coerenza coi decreti conciliari, sia riguardo ai frutti spirituali che ha portato. Un impegno, questo, enorme che sarà svolto negli anni a venire. Mi permetto solo alcune considerazioni che sono il mio modestissimo contributo a tale messa a punto.
Trovo errata la decisione di togliere dal Salterio liturgico i Salmi ed i versetti imprecatori, come stabilito dalla Costituzione Apostolica Laudis Canticum: “In questa nuova distribuzione dei salmi sono stati omessi alcuni salmi e versetti dall'espressione alquanto dura, tenendo presenti specialmente le difficoltà che potrebbero nascere dalla loro celebrazione in una lingua moderna”(LC 4). Di fatto il Salterio liturgico attualmente in uso nella Chiesa Cattolica è filomarcionita, per suo tramite tale antica eresia si è nuovamente introdotta nella Chiesa. Sono state omesse dal Breviario quelle parole di Dio giudicate dure. Così facendo non si accetta di stare sotto il giudizio di Dio che parla, ma si osa giudicarne le parole, imitando non il divino Maestro, ma quei discepoli che dopo aver ascoltato il discorso sul pane di vita nella Sinagoga di Cafarnao dissero: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60). Siffatta scelta arrogante e al contempo rinunciataria si ripercuote e si moltiplica in altri ambiti della vita della Chiesa, divenuta incapace di chiedere impegno serio e responsabile ai suoi membri. L’uomo cerca la sfida, desidera essere messo alla prova, vuole impegnarsi a superare i suoi limiti e se non trova ciò dalla Chiesa, lo cerca altrove.

Paolo VI orante
 La riforma del Rito della Messa si caratterizza per due novità principali, pur non riducendosi ad esse: l’abbandono del latino come unica lingua liturgica per adottare le lingue vernacolari; il cambio di direzione del sacerdote, dall’essere rivolto verso il Signore all’essere rivolto verso il popolo. In particolare questo cambio di orientamento è stato decisivo nel marcare il cambiamento tra l’una e l’altra forma del Rito. Mi pare che la soluzione adottata non sia affatto soddisfacente. Essa pecca, esattamente come la precedente, di parzialità e di staticità, rappresentando una sola metà della mediazione di Cristo. Nella forma straordinaria del Rito Romano il sacerdote rappresenta esclusivamente il popolo che prega rivolto a Dio, mentre nella forma ordinaria del medesimo e unico Rito rappresenta esclusivamente Dio che si rivolge al popolo. Viceversa il ruolo del sacerdote nella Liturgia Eucaristica è di agire nella persona di Cristo capo, rappresentando dal vivo l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini, la cui mediazione consta di due movimenti inseparabili e distinti: essere Dio per gli uomini ed essere uomo per Dio. La mediazione di Cristo si fonda sulla divina incarnazione del Verbo ed esprime la sua passione, morte, resurrezione e ascensione. Per rappresentare visibilmente tale mediazione di Cristo, il sacerdote dovrebbe rivolgersi ora verso il popolo, ora verso il Signore: rivolto al popolo quando rappresenta la rivelazione di Dio avvenuta in Cristo, rivolto al Signore Dio quando rappresenta l’umanità redenta da Cristo che prega il Padre. Quindi il sacerdote dovrebbe girare attorno all’altare e non stare fermo in una sola posizione, perché Cristo, al cui mistero sacerdotale appartiene, non è solo Dio né solo uomo, ma è Dio e Uomo.

Gerusalemme 5 gennaio 1964, PaoloVI e Atenagora
New York 4 ottobre 1965, Paolo VI parla all'ONU
Paolo VI è stato il papa del dialogo, dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo, come egli  scrisse mirabilmente nell’Ecclesiam suam, enciclica programmatica del suo pontificato. Dialogò ininterrottamente con tutti, esercitando le doti umane e spirituali affinate nei lunghi anni al servizio della Chiesa. Paolo VI ha elencato gli interlocutori del dialogo ai quali la Chiesa desidera rivolgersi, con la bella figura dei cerchi concentrici che si formano sull’acqua, partendo dall’esterno il primo cerchio sono gli uomini, poi i credenti in Dio, quindi i cristiani fratelli separati, infine i figli della Chiesa Cattolica. Purtroppo fu un dialogo presto interrotto! Paolo VI non cambiò idea, non smise di credere nel dialogo e di praticarlo nonostante molte porte gli furono chiuse in faccia. Rimase un convinto assertore del dialogo fin dentro la tragedia del terrorismo che insanguinò quel periodo della storia italiana, stagione culminata nel sequestro Moro, ucciso dai terroristi delle Brigate Rosse. Restano indelebili ed inascoltate le parole con cui si rivolse prima agli uomini delle BR e poi, poco dopo, a Dio. Il dialogo da lui pensato per riconciliare la Chiesa con il mondo abortì perché l'interlocutore non era interessato a dialogare con la Chiesa. Accadde nuovamente quello che era già successo all’apostolo Paolo quando parlò all’agora ateniese: “Quando sentirono parlare di resurrezione dei morti alcuni lo deridevano, altri dicevano: «Su questo ti sentiremo un'altra volta»” (At 17, 32). Paolo VI venne e viene deriso dai figli della Chiesa Cattolica, cardinali, vescovi, preti, religiosi e laici che contestarono e rifiutarono l’Humanae Vitae senza per questo subire alcuna conseguenza, ma venendo osannati dalla stampa e dagli intellettuali: “Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti” (Lc 6,26).
Il nodo tuttora irrisolto è appunto il dialogo interrotto perché rifiutato. Al rifiuto patito Paolo VI reagì da buon cattolico lombardo e perciò inevitabilmente borghese, facendo penitenza personale:  indossò il cilicio fino alla morte. Ma ciò non è una soluzione, al massimo è una soluzione temporanea o parte di una soluzione ancora da trovare. Cosa deve fare la Chiesa se il mondo contemporaneo la ignora, la deride, la elimina?

Roma 13 maggio 1978, Paolo VI alla messa in suffragio di Aldo Moro