Il cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga SDB, arcivescovo di
Tegucigalpa e coordinatore del C8 (la commissione di 8 Cardinali che
consigliano papa Francesco sulla riforma della Curia Romana), ha rilasciato il
20 gennaio un'intervista esplosiva al quotidiano tedesco Kölner
Stadt-Anzeiger, tradotta e pubblicata sul Il Foglio di giovedì 23 gennaio 2014.
Innanzitutto, perché proprio il Kölner Stadt-Anzeiger? Esso non è uno
dei principali giornali tedeschi, ma semplicemente un quotidiano locale di
Colonia. Forse questa scelta è stata dettata dal fatto che in seguito alle
dimissioni per raggiunti limiti d'età del card. Meisner, arcivescovo di
Colonia, il Capitolo cattedrale sta selezionando la terna dei candidati da
inviare alla Santa Sede? Oppure per lisciare il pelo nel verso giusto alla
economicamente potente Chiesa Cattolica tedesca da parte del presidente di Caritas Internationalis?
Condivido ben poco delle parole dette dal cardinal Maradiaga nell'intervista a KSA,
tra le poche condivise, questa: "la chiesa non è semplicemente
un'istituzione creata dall'uomo, ma è opera divina", infatti essa
permane nei secoli nonostante gli uomini cui è stata affidata, quel clero del
quale è membro eminente proprio il cardinale honduregno. L'entusiasta cardinale
honduregno parla di una nuova era, ma intende soltanto mezzo secolo; ed io che
credevo la durata delle ere fosse di milioni di anni o almeno di millenni.
Inizio della nuova era è il Romano Pontefice regnante, simile a papa Giovanni
XXIII: "quando spalancava le finestre della chiesa, per farvi entrare
aria fresca". Spalancare le finestre è certamente necessario per
arieggiare la casa. Dopo aver aperto le
finestre è opportuno richiuderle, soprattutto a queste latitudini e nella stagione invernale, perché si
fa presto a far buscare un raffreddore. Restando
poi in ambito architettonico, credo che i pastori non debbano preoccuparsi
della freschezza dell'aria dentro la chiesa, aprendo o chiudendo le sue
finestre; la qualità dell'aria nella chiesa è affare di nostro Signore, mentre dovere di tutti i cristiani è ascoltarlo:
"Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese".
I pastori dovrebbero preoccuparsi di portare il buon profumo di Cristo
risorto nel mondo, fuori dalle sagrestie, dalle curie e dalle redazioni.
Ma guardiamo alle affermazioni che non condivido.
Il cardinale salesiano invoca: "Più cura pastorale che dottrina",
rivelando un tratto autobiografico, infatti è diplomato in psicologia clinica e
psicoterapia. Se fosse diplomato in scienze motorie, forse avrebbe detto più
esercizi ginnici che spirituali. Ergo la soluzione è stendersi sul lettino
dello psicanalista e farsi massaggiare l'anima dai soli esperti rimasti, dato che
i preti hanno abdicato da anni alla cura d'anime, debbono fare ginnastica per:
"seguire il mondo che cambia velocemente". Ognuno
evidentemente sceglie chi seguire, forse anche i pastori dovrebbero chiedersi
chi vogliono seguire, perché poi le pecore li seguono. A me sembra che la
chiesa stia annegando per troppa cura pastorale e viceversa manchi l'annuncio
franco della dottrina. Legge suprema della chiesa è la salus animarum, cioè la salvezza delle anime (CIC 1752). Cos’è la
salvezza? Da che cosa dipende? Le lettere dell’apostolo Paolo sono istruttive,
proprio in merito al rapporto tra dottrina e cura pastorale. Ad una prima parte
dottrinale, nella quale l’apostolo annuncia il Vangelo della salvezza, la
Verità salvifica della morte e resurrezione di Gesù, egli fa seguire una
seconda parte parenetica che deriva e si regge interamente sulla prima parte
dottrinale, dove tira delle conseguenze particolari e specifiche per la chiesa
cui indirizza quella lettera. Quindi, la contrapposizione tra dottrina e pastorale
è inconsistente, non solo umanamente ma anche apostolicamente e come scrisse
l'apostolo delle genti: "Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più
la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di
maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per
perdersi dietro alle favole." (2Tim 4,3-4).
Ma ascoltiamo ancora le
parole ispirate del cardinale Maradiaga sul
confratello vescovo Muller, prefetto della Congregazione per la dottrina della
fede (non della pastorale, ma proprio della dottrina). L'intervistatore tedesco domanda: "Il suo confratello e futuro cardinale Gerhard Ludwig Müller, nonché
prefetto della congregazione della Fede, sembra tenere maggiormente in
considerazione l’autorità della chiesa." Il riferimento implicito è all'articolo di mons. Muller sull'indissolubilità del matrimonio pubblicato dall'Osservatore Romano il 23 ottobre 2013, ma originariamente scritto in tedesco e pubblicato da Die Tagespost il 15 giugno 2013.
Maradiaga: (ride) Ho letto. E ho pensato: “Potresti
avere ragione, ma anche torto”. Voglio dire, lo capisco. E’ un tedesco, e
per giunta un professore, un professore di Teologia tedesco. La sua
mentalità concepisce solo il giusto e lo sbagliato. Basta. Io però
rispondo: “Fratello mio, il mondo non è così. Dovresti essere un po’ più
flessibile nell’ascoltare i punti di vista altrui. Così non finisci per
ritrovarti a dire solo altolà, qui è il muro e oltre non si va”. Ma
penso che ci arriverà anche lui.
Anch'io ho letto questa risposta e ho pensato: "Ma dove ha imparato a sragionare in modo siffatto". Come può pensare che qualcuno possa avere ragione e torto sullo stesso argomento? Se il tedesco professore di teologia ha ragione il matrimonio è indissolubile, se invece ha torto il matrimonio è dissolubile, ma non può avere ragione e torto contemporaneamente. Non è la mentalità tedesca che "concepisce solo il giusto e lo sbagliato" è il buon senso, il buon uso della ragione a concepirlo. In logica si chiama principio di non contraddizione. Che senso ha invitare ad essere più flessibile nell'ascoltare? Flessibilità e durezza non sono attributi idonei all'ascolto. L'orecchio è aperto all'ascolto oppure è chiuso, sordo. Forse il cardinale intendeva per ascolto ciò che segue, cioè l'adesione personale a ciò che si è udito. Ma in questo caso si cade dalla padella alla brace, perchè in campo di fede l'adesione personale va alla propria coscienza, cosa che reputo abbiano fatto sia l'honduregno cardinale nell'intervista che il tedesco professore nell'articolo. Inoltre perché l'argomento del contendere, l'indissolubilità matrimoniale, non sembra da bar sport dove le diverse opinioni e i differenti punti di vista hanno diritto di esprimersi e volare con la fantasia. Per motivi di coscienza san Giovanni Battista e san Thomas More ci rimisero la testa. Se fossero stati più flessibili nell'ascoltare le opinioni altrui avrebbero forse conservato la testa. Cosa glielo impedì? Non fu il dovere di essere fedeli alla propria coscienza, anche a costo della vita? Ebbero ragione o torto, giacché l'ipotesi del Maradiaga, che avessero ragione e torto, non può esistere?
Senza dubbio tutte le parole devono essere interpretate. Anche quelle di
Gesù, il quale raramente parlò in modo
oscuro, più spesso chiaramente, come per esempio sul matrimonio. Il Nazareno riporta
il matrimonio al progetto originario di Dio contro tutte le interpretazioni
casuistiche dei rabbini. Basta leggere nel discorso della montagna l’antitesi
dedicata al matrimonio indissolubile: “Avete
inteso che fu detto: Non commetterai
adulterio [Es 20,14; Dt
5,18]. Ma io
vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio
con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è
motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una
delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga
gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo,
tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra,
piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: "Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del
ripudio" [Dt 24,1]. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto
il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una
ripudiata, commette adulterio.” (Mt 5,27-32). Forse un elemento del
contesto storico di queste parole di Gesù è la discussione tra rav Hillel e rav
Shammai, due grandissimi rabbini vissuti nel periodo intertestamentario, sulle
cause lecite di ripudio della moglie. Hillel è più flessibile rispetto a Shammai,
un duro conservatore la cui mentalità è simile a quella del teologo
tedesco, deriso dal cardinale honduregno. Salvo che Gesù è ancora più duro del
già duro Shammai e del teologo tedesco la cui mentalità ristretta comprende
solo il giusto e lo sbagliato, il vero e il falso. Dipende in che verso si
legge, secondo Dio o contro? Questa alternativa secca è anche alla base di una altra parola di Gesù sul matrimonio,
nella quale rispondendo ad una tipica domanda rabbinica circa i motivi leciti
per ripudiare la moglie, Gesù abroga il permesso mosaico del ripudio perché
grazie a lui, Verbo incarnato di Dio, si può nuovamente risalire al progetto originario
di Dio sulla coppia umana e soprattutto si può vincere la durezza del cuore, da
Gesù identificata come la causa del permesso mosaico: “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei
per metterlo alla prova e gli chiesero: "È lecito a un uomo ripudiare la
propria moglie per qualsiasi motivo?". Egli rispose:
"Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà il padre e la
madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così
non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha
congiunto". Gli domandarono: "Perché allora Mosè
ha ordinato di darle l'atto di ripudio e di ripudiarla?". Rispose loro:
"Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le
vostre mogli; all'inizio però non fu così. Ma io vi dico:
chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne
sposa un'altra, commette adulterio".” (Mt 19,3-9). Certo tutto si può
interpretare, ma ogni interpretazione deve partire e ritornare al testo che fa
testo. Bisogna ricordare che proprio la caduta, il peccato originale, nasce dall’interpretazione
fatta dal Tentatore delle parole di Dio e alla sua scuola interpretativa,
dall’interpretazione fatta dalla donna delle stesse parole di Dio. Il demonio è
Padre della menzogna perché inganna la donna mettendo sulla bocca del Creatore
parole che Dio non ha detto; la donna ingannata, cerca di correggere il diavolo, ma scegliendolo come interlocutore, accetta le sue premesse interpretative, il
suo adulterare le parole di Dio, adulterandole lei stessa. Ecco le vere parole
dette da Dio all’uomo: “Il Signore Dio
diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del
giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del
male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente
dovrai morire".” (Gen 2,16-17). Il comando di Dio è che si possa
mangiare di tutti gli alberi del giardino meno uno. Ecco invece le parole che
il serpente pone sulla bocca di Dio e come le riferisce la donna: “Il serpente […] disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: "Non dovete
mangiare di alcun albero del giardino"?". Rispose
la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo
mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto:
"Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete"".
(Gen 3,1-3). Il serpente subdolo chiede se sia vero il falso, cioè se Dio abbia
vietato di mangiare di ogni albero, uno spiritualismo che rivela molto del
demonio, antitetico al realismo buono di Dio creatore di tutto. La donna scioccamente risponde, accettando la provocazione demoniaca e
cade nella trappola del più astuto di lei, cerca di correggere la troppo palese
falsificazione diabolica delle parole divine, ma non resiste alla demoniaca tentazione di
perfezionarle, aggiungendo un di più che storpia, il divieto non solo di
mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, ma anche di toccarlo,
divieto che non ha origine divina ma umana.
Una malattia oftalmica inficia la visione della realtà sociale
contemporanea e del magistero della chiesa. Non nego che ci siano numerosi
fallimenti matrimoniali, ma da qui a dire che vi sono solo questi… Ci sono
molti matrimoni che funzionano e penso che siano ancora la più parte. Come si
può squalificarli facendo di tutta un’erba un fascio, dichiarando: “Quel genere di famiglia oggi non esiste
quasi più”. Questa è una falsificazione della realtà uguale e contraria a
quella che nega che ci siano problemi: questi ci sono da che mondo è mondo, ma
non ci sono solo le difficoltà. Certo che si verificano incidenti automobilistici, ma nessuno si sogna di abolire le automobili, ne tantomeno di abrogare il codice della strada perché viene violato. Il cardinale parlando del "genere di famiglia che non esiste quasi più" si riferisce alla famiglia di cui ha scritto il beato Giovanni Paolo II nella
Familiaris Consortio. Così
facendo il cardinale Maradiaga confonde il Magistero del papa espresso nella Familiaris
Consortio e nelle sue Catechesi sul matrimonio e sulla vocazione
dell'amore sponsale, con l’attuale situazione sociale, per di più descritta con
la lente pessimista dei fallimenti. Il Magistero indica una meta da
raggiungere, per la quale vale la pena di combattere, a patto di volerlo.
Sembra invece che una parte della chiesa abbia rinunciato alla sua vocazione
alla santità, contravvenendo il magistero del Concilio Vaticano II che nella Lumen
Gentium tratta dell'universale vocazione alla santità. Oppure, siccome sono
passati già cinquant’anni dall'evento conciliare i suoi insegnamenti sono già
superati?
Bisogna prendere sul serio il giudizio (in realtà un
pregiudizio) espresso in queste parole del cardinale Maradiaga: “la
sfida pastorale richiede risposte al passo coi tempi. Risposte che non possono
più fondarsi sull’autoritarismo e il moralismo”. Sua Eminenza a cosa si
riferisce? Forse negli ultimi cinquan’anni, dopo che il beato Giovanni XXIII
spalancò le finestre della chiesa, vi sono state risposte della chiesa fondate
sull’autoritarismo e sul moralismo? Ricordo un paio di episodi. Il trattamento
riservato dal beato Giovanni XXIII a san Pio da Pietralcina non fu esempio di autoritarismo?
Il trattamento riservato da ampie fette della chiesa a Paolo VI e al suo
magistero papale in seguito alla sua ultima enciclica, l’Humanae Vitae, non è forse esempio di moralismo? Cos’è autoritaritario?
La semplice esistenza di un’autorità? La dittatura dei desideri non è forse autoritaria?
Anche la voce interiore della coscienza, quando imperiosa esige d’essere obbedita,
lo è? La sciocca accusa di autoritarismo spesso ne cela uno peggiore e più
subdolo che ottiene con la dolce persuasione la supina omologazione al pensiero
dominante. Cos’è moralistico? La riduzione della ricca vita morale dell’uomo ai
comandamenti? Dimentichiamo forse che i comandamenti sono il necessario
corollario della libertà, senza i quali la libertà scade nel libertinismo delle
élite e dei superuomini. Senza la prescrizione dei comandamenti morali che
richiedono di fare o non fare qualcosa, la libertà non nasce e non si
struttura, non cresce, ma rimane uno sterile e informe desiderio di felicità,
senza però la capacità di esserlo. Senza questa giustizia la misericordia si riduce
a giustificare il peccato, invece che a perdonare il peccatore. Questo è ciò
che cercano gli adolescenti, ciò che esige il Potere mondano, è la vita della
massa. Ma questo non è ciò che vuole Dio e nemmeno ciò che desidero per la mia
vita e per quella dei miei cari.
Infine ecco la dichiarazione d’intenti del novello riformatore: “Ci sono molte cose che devono cambiare nella
chiesa. […] Le strutture devono
essere al servizio delle persone. E se il mondo cambia velocemente, le
strutture ecclesiastiche, della curia, devono riuscire a stare al passo dei
mutamenti”. Che squallida visione della chiesa, letteralmente ridotta ad
una multinazionale, una pia ONG. I cambiamenti auspicati nella chiesa, ridotti
a mero ricambio delle strutture. Ma la chiesa, insegna il Vaticano II e tutti i
santi, non è le sue strutture, le curie e gli uffici pastorali che si sono
moltiplicati a sproposito a tutti i livelli, dalla semplice parrocchia alla
chiesa universale. Una burocrazia che si autoalimenta. La chiesa non è più il
mistero dell’umanità nuova che ha origine nella santa Trinità, il popolo di
Dio, il sacramento dell’unità tra Dio e l’umanità? Che fine han fatto tutte
queste categorie teologiche ripescate dal Concilio del secolo scorso dal ricco patrimonio
tradizionale della chiesa. Vogliamo veramente riformare la chiesa? Bisogna
iniziare da sé, iniziando o rafforzando il proprio cammino di santità, giacché
solo i santi hanno reso migliore e più credibile colei che è nostra madre. E di
solito i santi non hanno preso a modello il mondo, lento o veloce che sia, ma il
Vangelo. Aboliamo la maggior parte degli uffici pastorali, giacché non servono
a molto, e liberiamo energie per essere cristiani e per evangelizzare. Guardate
come nacque e come si conservò in vita la chiesa coreana: dei veri
cristiani laici vissero la loro fede e per alcuni secoli la trasmisero, senza clero, senza
pastorale, senza burocrazie ecclesiali.
Una riforma strutturale forse è possibile, ma non credo se ne parlerà.
Riforma disciplinare pienamente fedele alla divina Rivelazione: permettere
agli uomini sposati, i cosiddetti viri
probati, di accedere al sacramento del ministero ordinato, non solo al
grado del diaconato già possibile, ma per lo meno a quello del
presbiterato. Le testimonianze scritturistiche a favore sono due.
Innanzitutto la volontà di Gesù che scelse tra i suoi apostoli almeno un uomo
sposato, Simone poi detto Pietro, altrimenti il Signore non avrebbe potuto guarire
la suocera di Simon Pietro (cfr. Mc 1,30). Dove c’è una suocera, c’è una
moglie. Dove c’è una moglie c’è un uomo sposato. Quindi la precisa indicazione dell’apostolo
Paolo, il quale nella prima lettera a Timoteo elenca i criteri per scegliere
tra i candidati all’episcopato: “Bisogna dunque
che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente,
dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma
benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia guidare bene la propria
famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi” (1Tim 3,2-4). Le due
testimonianze bibliche sono confermate dalla prassi attuale della Chiesa
Cattolica che in due casi limitati già ammette uomini sposati al sacerdozio ordinato. Si
tratta delle Chiese cattoliche di rito greco e degli Ordinariati cattolici per
le comunità anglicane. Già ci sono uomini sposati che sono sacerdoti cattolici
ed esercitano lecitamente, si tratta soltanto di estendere questa facoltà anche
alle chiese di rito latino. Non si tratta di permettere ai preti celibi di
sposarsi, ma solo di concedere agli uomini sposati di diventare preti. Questo
permetterebbe di valorizzare e l’istituto matrimoniale e il carisma divino del
celibato, ora ridotto a legge umana ecclesiale.
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