Irlanda, Kilcooney Dolmen |
Nel mondo della preghiera vi sono due sentimenti
che spingono l’uomo a pregare: lo stupore e l’angoscia. Sono entrambi originari
perché da essi nasce la preghiera nelle sue diverse forme. Il primo sentimento
originario è lo stupore e genera la lode, il ringraziamento, l’adorazione; la
meraviglia culmina nel silenzio della contemplazione, com’è scritto: “O Signore, nostro Signore, quanto è mirabile
il tuo Nome su tutta la terra!” (Sal 8,2). Dall’inquietudine nascono invece
il lamento, la supplica, la domanda e l’intercessione; l’angoscia culmina nel
grido dell’invocazione, com’è scritto: “O
Dio, vieni a salvarmi” (Sal 70[69],2). Nella società contemporanea le mete
educative sono l’autonomia, l’indipendenza e l’autosufficienza, principi che
plasmano la vita e i desideri umani, dando forma e voce a una cultura che
esprime sì il grande anelito alla libertà, ma inficiato dal falso presupposto
che la libertà debba essere assoluta e non possa che esser tale. Dentro tale
orizzonte spirituale la sottomissione, la dipendenza e la riconoscenza sono
disvalori, poiché tale milieu
culturale esclude per principio il limite e la solidarietà. Perciò la fatica
che da sempre accompagna il pregare, atto supremo della vita umana, è resa
ancora più dura ed amara dall’ambiente spirituale contemporaneo che non insegna
a chiedere né a ringraziare. Gesù nostro Maestro ci insegna a pregare con tutte
le fibre del nostro essere creature di Dio, introducendoci nella misteriosa e
sorprendente preghiera intradivina, il dialogo d’Amore che scorre inesauribile
tra il Figlio di Dio e il Padre suo, reciproco scambio d’amorosi sensi che è lo
Spirito Santo. Lo Spirito di Dio prega nel cuore dei credenti, creando così
quella “casa di preghiera” (Is 56,7)
che è la santa Chiesa, la quale santifica il Nome di Dio gridando: “Abba! Padre!” (Rom 8,15), popolo
sacerdotale che nell’umana carne del Figlio di Dio riassume in sé tutto il
creato: dagli elementi minerali inanimati fino ai puri spiriti incorporei,
passando per i diversi corpi animati: i vegetali, gli animali e i razionali.
Questo Gesù nel discorso della montagna (Mt 5-7) insegna tra le altre cose
anche a pregare, e conclude le sue istruzioni sulla preghiera (Mt 6,1-7,11) con
l’ordine di chiedere al Padre celeste con fiducia filiale:
Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete,
bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e
chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli
chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe?
Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli,
quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele
chiedono! (Mt 7,7-11)
Evidenzio la struttura retorica del comando in Mt
7,7:
Chiedete e sarà dato a voi,
cercate e troverete,
bussate e sarà aperto a voi.
Difficile
trovare una frase con più verbi di questa. In latino, “Petite, et dabitur vobis; quaerite et invenietis; pulsate, et aperietur
vobis”,
su undici termini sei sono verbi, in italiano otto parole su tredici, sei
predicati verbali organizzati in tre coppie. In ciascuna coppia il primo verbo
è un imperativo; la congiunzione più semplice unisce il primo verbo al secondo
predicato che nelle due coppie estreme è passivo ed è completato dal dativo;
nel membro centrale il secondo predicato è attivo; il membro centrale,
incorniciato dagli altri, costituisce il fulcro, appunto il centro eminente al
quale deve convergere l’attenzione degli ascoltatori. I tre predicati imperativi
sono al presente, mentre gli altri tre predicati sono al futuro: il comando deve
esser eseguito adesso, mentre la promessa è protesa al futuro. Ciò vincola chi
promette alla fedeltà verso la parola data e provoca chi riceve la promessa
alla fiducia in chi promette. Tre ordini perentori del Maestro, tre verbi
leggermente diversi, tutti appartenenti al campo semantico della domanda e del
desiderio. All’ordine reiterato tre volte, indice di un comando che deve essere
eseguito senza vacillare, corrisponde la promessa di esaudimento ripetuta
anch’essa tre volte, segno che è sicura come la Roccia.
Si
deve chiedere, dunque, ma che cosa
posso o debbo chiedere? Qualunque cosa e per qualsiasi motivo? Chi può ispirare
e guidare il prescritto domandare? L’egoismo egocentrico del bambino? L’egocentrismo
narcisista dell’adolescente? La generosità del padre e della madre? La
reciprocità fraterna e sponsale? Le fasi dello sviluppo umano sono inadeguate
alla divina Maestà; sono altresì ferite dal peccato, con il quale ci siamo
allontanati da Dio e frantumati in noi stessi e dal quale siamo avviluppati e
ripiegati su di noi. Solo “la grazia e la
verità venute per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17) ci permettono di avere
acceso al mistero di Dio, il Quale non solo ci ha donato il suo più prezioso tesoro,
il Figlio Unigenito, ma nel Figlio ci dona Qualcuno che prega in noi: “lo Spirito viene in aiuto alla nostra
debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo
Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili”(Rom
8,26). Guigo II, nono priore della Grand
Chartreuse, nella sua opera Scala
Claustralium, così scrive al fratello Gervasio: “La lettura ricerca la dolcezza della vita beata, la meditazione la
trova, la preghiera la chiede, la contemplazione la sperimenta. […] Cercate nella lettura, troverete con la
meditazione; picchiate nella preghiera, entrerete nella contemplazione”.
Guigo descrivendo i diversi momenti della Lectio
Divina parafrasa gli ultimi due membri di Mt 7,7. Nella sua opera Pregare la parola, Enzo Bianchi propone
di parafrasare anche il primo membro del versetto evangelico così: “Chiedete lo Spirito, riceverete
l’illuminazione”. Risultato che reputo ottimo. Giacomo scrive perentorio: “Non avete perché non chiedete; chiedete e
non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni”
(Gc 4,2b-3). La prima frase dell’apostolo: “Non
avete perché non chiedete” (Gc 4,2b) è la forma negativa del primo ordine
di Gesù: “Chiedete e vi sarà dato”
(Mt 7,7); senza paura si deve osare e con fiducia chiedere. La seconda frase di
Giacomo: “chiedete e non ottenete perché
chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni” (Gc 4,3)
approfondisce un caso specifico, introducendo un limite all’ordine del Maestro:
“Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7),
poiché se si chiede male, ovvero per soddisfare le proprie passioni, non si
ottiene; non è sufficiente chiedere, bisogna altresì chiedere bene e chiedere
il bene. Ecco un primo risultato: bisogna chiedere ciò che è bene e buono, ciò
che è vero e santo. Inoltre si deve chiederlo bene, non per soddisfare le
proprie passioni, ma per soddisfare la passione di Dio: Egli, infatti, è fuoco
divorante, amore ardente per le sue creature. Questo fuoco divino d’amore è la
sorgente dei desideri delle creature, desideri che per il peccato originale e
per ogni singolo peccato, sono degenerati, raffreddati, ripiegati su di sé e
contro Dio. Le nostre passioni e i nostri desideri debbono essere rigenerati e
per farlo possiamo solo immergerli nel fuoco d’amore, non per estinguerli, ma
per purificarli dalle scorie che ne impediscono il libero moto verso Dio e
reindirizzarli alla loro Causa prima e Fine ultimo. Quindi, che cosa debbo
chiedere? Ispirati da Dio i Salmisti chiedono varie cose: vittoria sui nemici
(Sal 3,8; 6,9-11; 12,4), pietà (Sal 4,2; 6,2-3), giustizia nella prova (Sal
5,5-9; 7,7-12; 9,20-21; 17,1-4), aiuto e protezione(Sal 5,12; 13,2-3; 16,1), salvezza
dai nemici (Sal 7,2; 10,12; 12,2; 17,7). Marta, sorella di Lazzaro, da furba
donna di casa sceglie di affidarsi a Gesù stesso: “Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la
concederà” (Gv 11,22). In apparenza non chiedere alcunché, in realtà si
affida totalmente a Gesù, e nella fede fa sua la richiesta del Figlio al Padre,
in modo che la preghiera del Figlio sia la propria unica richiesta: si affida
alla fede di Gesù. Infatti, chi meglio del Figlio di Dio può rispondere? Egli è
la Sapienza divina attraverso la quale Dio ha creato il mondo, imprimendo nelle
sue opere un insegnamento divino, un ammaestramento che distillato nel silenzio
adorante della fede dà ai semplici delle indicazioni in merito a cosa chiedere.
La Sapienza creatrice, infatti, dichiara:
Il Signore mi
ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni
sua opera, all'origine. Dall'eternità sono stata formata, fin dal principio,
dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua; prima che fossero
fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata, quando ancora
non aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo. Quando egli
fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull'abisso, quando
condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell'abisso, quando
stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i
confini, quando disponeva le fondamenta della terra, io
ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a
lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i
figli dell'uomo. (Pr 8,22-31)
La Sapienza creatrice svolge un ruolo
da intermediario tra Dio e gli uomini, infatti, la Sapienza è la delizia di Dio
ed insieme pone le sue delizie tra gli uomini: “ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui
in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i
figli dell'uomo” (Pr 8,31). Salomone scolpisce con
poche parole una scena idilliaca dal sapore famigliare: una figlia prediletta
gioca spensierata sotto gli occhi amorevoli del padre: lei è la gioia di suo
padre. Costei è la Sapienza, delizia di Dio, e pone le proprie “delizie tra i figli dell’uomo”, poiché
gli uomini per quanto siano crudeli, stupidi e brutali, restano intelligenti e
liberi, ovvero capaci di riconoscere le vie della Sapienza. Perciò rivolgiamo
il nostro intelletto ai due libri il cui Autore è Dio, il Creato e le Scritture
sacre. Leggiamo il libro della natura alla luce del libro della Scrittura,
cercando cosa convenga chiedere al Creatore. Nel primo racconto della creazione
(Gen 1,1-2,4a) la Sapienza di Dio distribuisce otto opere, create nell’arco di
sei giorni lavorativi, conclusi e compiuti dal VII giorno. Nel III e nel VI
giorno sono collocate due opere, così è semplice identificare le due terne in
cui si suddividono i sei giorni lavorativi: I-III giorno, IV-VI giorno;
entrambe iniziano con opere inerenti la luce (I e IV), entrambe finiscono con
un giorno in cui sono concentrate due opere (III e VI). Il VII giorno Dio porta
a compimento il suo lavoro, cessando l’opera lavorativa descritta coi verbi
dire, separare, fare, porre e creare. Il riposo di Dio, però, non è pura
inazione, riguarda solo queste cinque azioni che delineano i modi con cui Dio
lavorando ha creato, mentre sta scritto riguardo al VII giorno: “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò,
perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva
fatto” (Gen 2,3). Le azioni sabbatiche di Dio sono benedire, consacrare e riposare. Il Sabato è la terza opera
che viene benedetta da Dio; primi sono pesci ed uccelli (Gen 1,22), cui seguono
uomo e donna (Gen 1,28). Con la benedizione del Sabato Dio porta a compimento
le sue benedizioni e le sue creature; infatti, il riposo di Dio, e il nostro
nel suo, sono la condizione per contemplare e godere della bellezza gratuita
delle creature di Dio, per trovare in Dio l’inizio e il fine di ogni cosa, per
condividere tutto ciò tra di noi. Dio non si accontenta di benedire il settimo
giorno, anche lo consacra. La prima consacrazione narrata dalle Scritture non riguarda
un luogo, bensì un tempo, il settimo giorno. Poi verrà il momento in cui gli
uomini consacreranno dei luoghi al Signore: una pietra, un altare, un’altura, un
tempio, una città, un uomo. Ma la prima consacrazione fatta da Dio stesso
riguarda l’ultimo pezzo del tempo, il settimo giorno. La consacrazione del
Sabato introduce e prepara la seconda consacrazione compiuta da Dio nella
pienezza dei tempi, quando consacrò Gesù che offrì se stesso per noi tutti,
risuscitandolo dai morti e costituendolo Signore dei vivi e dei morti. Ciò non
avvenne il settimo giorno della settimana, ma il primo che è già diventato
l’ottavo giorno della settimana, giorno eterno che non conosce tramonto, perché
Gesù è risorto dai morti e più non muore.
Venezia Basilica di san Marco, Creazione mosaico |
Giorni
|
Opere
create
|
Azioni
divine
|
Finalità
|
1
|
luce
|
disse
separò
|
|
II
|
firmamento
|
disse
fece
|
per
separare le acque
superiori dalle acque inferiori
|
III
|
asciutto
|
disse
|
per
far apparire
|
germogli, erbe e alberi
da frutto
|
disse
|
||
IV
|
fonti di luce nel
firmamento: luminare maggiore, minore e stelle
|
disse
fece
pose
|
per
separare giorno da
notte
per
segnare feste giorni
anni
per
illuminare la terra
|
V
|
pesci e uccelli
|
disse
creò
benedisse
|
per
riempire le acque
inferiori
e davanti al firmamento
|
VI
|
bestiame, rettili
e
animali selvaggi
|
disse
fece
|
per
riempire la terra
|
uomo
a immagine di Dio
maschio e femmina
|
disse
creò
benedisse
|
per
dominare
del mare i pesci,
del cielo gli uccelli,
della terra bestiame,
animali selvaggi e rettili
per
essere fecondi e moltiplicarsi
per
riempire e soggiogare
la terra
|
|
VII
|
culto
|
benedisse
consacrò
aveva cessato
|
per
compiere
|
Alle
due terne corrispondono i due verbi principali della preghiera di domanda:
chiedere e intercedere. Si intercede per gli altri e si chiede per sé in piena
armonia col secondo comandamento più grande: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mc 12,31), perché in
verità, Tu ed Io, l’uomo ed il suo prossimo, non sono due, ma un solo Adamo,
l’unico Terrestre come sta scritto: “Dio
creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li
creò” (Gen 1,27). Così i primi tre giorni ci insegnano cosa chiedere e gli ultimi tre
per chi intercedere, mentre il Sabato è santo, cioè separato. In esso Dio
crea il presupposto del culto, opera divino-umana che permette di immergersi
nel mistero e di Dio Creatore e del cosmo creato, come sta scritto:
Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma
il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun
lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava,
né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei
giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma
si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del
sabato e lo ha consacrato. (Es 20,8-11)
Norma
che ha qualcosa da insegnare anche al popolo della nuova alleanza, come sta
scritto: “per il popolo di Dio è
riservato un riposo sabbatico” (Eb 4,9).
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