Sono
un cattolico bresciano, nato quattro mesi prima della conclusione del Concilio
Vaticano II, e mi vanto di aver ricevuto al fonte battesimale il nome
dell’apostolo delle genti e ciò in onore di papa Montini che due anni prima
aveva scelto il nome di Paolo per esprimere: “l'ansia missionaria per la diffusione universale, chiara, suadente
dell'Evangelo” come il neoeletto disse nel suo primo messaggio rivolto
all’intera famiglia umana (22 giugno 1963). Così dal 19 ottobre 2014 avrò un
altro patrono in cielo, accanto a san Paolo apostolo, il beato papa Paolo VI.
La
beatificazione di Paolo VI cade in occasione del Sinodo dei Vescovi che si
terrà sulla famiglia nel contesto
dell’evangelizzazione. Tre elementi che hanno radici nell’opera di papa
Montini: il Sinodo dei Vescovi, la famiglia e l’evangelizzazione. Il Sinodo dei
Vescovi fu istituito da Paolo VI “per
dare ai vescovi la possibilità di prendere parte in maniera più evidente e più
efficace alla Nostra sollecitudine per la Chiesa universale” (Apostolica sollicitudo) e lo volle come:
“consiglio permanente di Vescovi per la
Chiesa universale, soggetto direttamente ed immediatamente alla Nostra potestà”.
La famiglia è elemento centrale dell’HumanaeVitae, enciclica dedicata al “dovere di trasmettere la vita umana, per il
quale gli sposi sono liberi e responsabili collaboratori di Dio creatore”
(HV 1). Tale Enciclica divenne la più contestata della storia ecclesiastica
sulla quale si coagularono così tante critiche da indurre il prolifico autore
nonché papa Montini a cessare di scriverne, mentre nei primi cinque anni di
pontificato aveva scritto ben sei Encicliche. L’evangelizzazione fu uno degli
assi portanti del suo pontificato, oltre al nome scelto come Sommo Pontefice,
egli come novello apostolo delle genti ricominciò i viaggi apostolici per
portare ad ogni uomo e a tutto l’uomo il Vangelo di Gesù Cristo.
Papa Paolo VI 21.VI.1963-6.VIII.1978 |
Ma se
si vuole onorare in spirito e verità
la memoria di questo grande papa del XX secolo, la Santa Madre Chiesa deve intraprendere un serio esame di coscienza,
per giudicare davanti a Dio il comportamento tenuto dalla Chiesa e dai suoi
membri nei confronti di papa Paolo VI per fare ammenda pubblicamente e
sinceramente del male arrecatogli e così arrecato alla causa del Vangelo. Solo
così onoreremo sinceramente il papa bresciano e renderemo giustizia al suo
pontificato. Non ha senso metterlo sugli altari per continuare nell’opera
infausta di tradimento dei suoi insegnamenti. Bisogna fare un’operazione di
verità sul suo pontificato che si svolse in anni cruciali per la Chiesa e per
l’umanità, gli anni '60 e '70 del secolo scorso. Anni in cui continuò lo
scontro tra i due blocchi. Nel blocco orientale i regimi comunisti
perseguitarono violentemente e frontalmente la Chiesa, cercando di estirpare
Dio dal cuore dell’uomo e della società, e formare l’uomo nuovo. Nel blocco
occidentale l’opera di scristianizzazione si svolgeva e prosegue fino ad oggi
in modo non violento e subdolo, riducendo gli spazi a disposizione della
dimensione religiosa umana e del fatto cristiano alle sole parrocchie, poi alla
sagrestia, infine alla coscienza individuale, cercando di rendere la questione
di Dio irrilevante perché insignificante, al più un mero reperto del passato.
Mentre il comunismo stava ancora dilatando i suoi spazi nelle periferie del
mondo, il colonialismo ottocentesco stava smobilitando con il lungo processo
della decolonizzazione e della formazione di nuovi Stati nel terzo e quarto
mondo. Nel primo mondo, dal 1968 in poi, una nuova crisi sociale, politica e
culturale travolse società uscite da poco dalla ricostruzione post bellica, in
Italia la società si stavano inurbando in seguito al rapido processo di
industrializzazione. Anni cruciali anche per la Chiesa, la cui vita venne
segnata dal Concilio Vaticano II e dalla riforma liturgica che bene o male ne
scaturì; dalla partecipazione ufficiale della Chiesa Cattolica al movimento
ecumenico; dalla riformulazione della dottrina e della pastorale; dalla grave
crisi delle vocazioni sacerdotali e degli antichi ordini religiosi e dalla
crescita dei movimenti nella Chiesa; dalla conversione della Chiesa e del
cristianesimo da fenomeno prevalentemente occidentale, a fenomeno mondiale; la
fiammata della teologia della liberazione.
Paolo
VI viene spesso chiamato papa del Concilio. Definizione ambigua che richiede
d'essere precisata. Montini fu uno dei due papi del Concilio Vaticano II
assieme a papa Roncalli che il Concilio lo convocò e ne guidò il primo periodo
(1962-63). Paolo VI riconvocò il Concilio, lo guidò nei successivi tre periodi
(1963-65) e approvò i sedici documenti conciliari; solo grazie alla sua
vigilanza, lungimirante e cattolica, tutti i documenti del Concilio vennero
approvati a stragrande maggioranza, quasi all’unanimità, evitando così il
rischio gravissimo di una scisma. Fu sicuramente un papa del Concilio reale che
si svolse nella Basilica Vaticana e che parlò per mezzo dei suoi testi, mentre
non fu mai il papa del pseudo-concilio che si svolse sui media e che prese il
sopravvento nell’opinione pubblica del mondo e nella giovanissima opinione
pubblica della Chiesa. Anzi, Paolo VI fu subito la bestia nera dei fautori
dello spirito del Concilio, spirito evanescente, disincarnato e molto utopico,
come andava di gran moda negli anni '60 del secolo scorso. Papa Montini impose
la Nota esplicativa previa alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa, con cui
collocò la collegialità episcopale dentro e sotto il primato petrino del
vescovo di Roma, in continuità con la Tradizione cattolica ed in particolare
con il Concilio Vaticano I. Perciò i fautori dello spirito del Concilio lo
considerarono traditore del loro concilio e iniziarono a contrapporlo all’altro
papa del Concilio, a san Giovanni XXIII, cosa che si ripeté ad ogni papa
successivo, essendo sempre meglio il papa appena morto del papa regnante.
Quindi da buon bresciano coi piedi per terra, seppur raffinato intellettuale,
Paolo VI fu il papa del Concilio reale, un Concilio da interpretare e da
attuare nel solco della Tradizione, come insegnato da Bendetto XVI.
Basilica Vaticana 29 settembre 1963, Paolo VI intronizza i Vangeli all'inizio della II Sessione Concilio Vaticano II |
Paolo
VI ha unito indelebilmente il suo nome alla riforma liturgica scaturita dal
Concilio Vaticano II, avendo promulgato tutti i libri liturgici riformati
secondo i decreti di quel Concilio. Come tutte le opere umane, anche quelle
ispirate da Dio, pure la riforma liturgica nata dal Vaticano II è perfettibile
e deve essere valutata sia riguardo alla coerenza coi decreti conciliari, sia
riguardo ai frutti spirituali che ha portato. Un impegno, questo, enorme che
sarà svolto negli anni a venire. Mi permetto solo alcune considerazioni che
sono il mio modestissimo contributo a tale messa a punto.
Trovo
errata la decisione di togliere dal Salterio liturgico i Salmi ed i versetti
imprecatori, come stabilito dalla Costituzione Apostolica Laudis Canticum: “In questa
nuova distribuzione dei salmi sono stati omessi alcuni salmi e versetti
dall'espressione alquanto dura, tenendo presenti specialmente le difficoltà che
potrebbero nascere dalla loro celebrazione in una lingua moderna”(LC 4). Di
fatto il Salterio liturgico attualmente in uso nella Chiesa Cattolica è
filomarcionita, per suo tramite tale antica eresia si è nuovamente introdotta
nella Chiesa. Sono state omesse dal
Breviario quelle parole di Dio giudicate dure.
Così facendo non si accetta di stare sotto il giudizio di Dio che parla, ma si
osa giudicarne le parole, imitando non il divino Maestro, ma quei discepoli che
dopo aver ascoltato il discorso sul pane di vita nella Sinagoga di Cafarnao
dissero: “Questa parola è dura! Chi può
ascoltarla?” (Gv 6,60). Siffatta scelta arrogante e al contempo
rinunciataria si ripercuote e si moltiplica in altri ambiti della vita della
Chiesa, divenuta incapace di chiedere impegno serio e responsabile ai suoi
membri. L’uomo cerca la sfida, desidera essere messo alla prova, vuole
impegnarsi a superare i suoi limiti e se non trova ciò dalla Chiesa, lo cerca
altrove.
Paolo VI orante |
La
riforma del Rito della Messa si caratterizza per due novità principali, pur non
riducendosi ad esse: l’abbandono del latino come unica lingua liturgica per
adottare le lingue vernacolari; il cambio di direzione del sacerdote,
dall’essere rivolto verso il Signore all’essere rivolto verso il popolo. In
particolare questo cambio di orientamento è stato decisivo nel marcare il
cambiamento tra l’una e l’altra forma del Rito. Mi pare che la soluzione
adottata non sia affatto soddisfacente. Essa pecca, esattamente come la
precedente, di parzialità e di staticità, rappresentando una sola metà della
mediazione di Cristo. Nella forma straordinaria del Rito Romano il sacerdote
rappresenta esclusivamente il popolo che prega rivolto a Dio, mentre nella
forma ordinaria del medesimo e unico Rito rappresenta esclusivamente Dio che si
rivolge al popolo. Viceversa il ruolo del sacerdote nella Liturgia Eucaristica
è di agire nella persona di Cristo capo, rappresentando dal vivo l’unico
Mediatore tra Dio e gli uomini, la cui mediazione consta di due movimenti
inseparabili e distinti: essere Dio per gli uomini ed essere uomo per Dio. La
mediazione di Cristo si fonda sulla divina incarnazione del Verbo ed esprime la
sua passione, morte, resurrezione e ascensione. Per rappresentare visibilmente
tale mediazione di Cristo, il sacerdote dovrebbe rivolgersi ora verso il
popolo, ora verso il Signore: rivolto al popolo quando rappresenta la
rivelazione di Dio avvenuta in Cristo, rivolto al Signore Dio quando
rappresenta l’umanità redenta da Cristo che prega il Padre. Quindi il sacerdote
dovrebbe girare attorno all’altare e non stare fermo in una sola posizione,
perché Cristo, al cui mistero sacerdotale appartiene, non è solo Dio né solo
uomo, ma è Dio e Uomo.
Paolo
VI è stato il papa del dialogo, dialogo della Chiesa con il mondo
contemporaneo, come egli scrisse
mirabilmente nell’Ecclesiam suam,
enciclica programmatica del suo pontificato. Dialogò ininterrottamente con
tutti, esercitando le doti umane e spirituali affinate nei lunghi anni al
servizio della Chiesa. Paolo VI ha elencato gli interlocutori del dialogo ai
quali la Chiesa desidera rivolgersi, con la bella figura dei cerchi concentrici
che si formano sull’acqua, partendo dall’esterno il primo cerchio sono gli
uomini, poi i credenti in Dio, quindi i cristiani fratelli separati, infine i
figli della Chiesa Cattolica. Purtroppo fu un dialogo presto interrotto! Paolo
VI non cambiò idea, non smise di credere nel dialogo e di praticarlo nonostante
molte porte gli furono chiuse in faccia. Rimase un convinto assertore del
dialogo fin dentro la tragedia del terrorismo che insanguinò quel periodo della
storia italiana, stagione culminata nel sequestro Moro, ucciso dai terroristi
delle Brigate Rosse. Restano indelebili ed inascoltate le parole con cui si
rivolse prima agli uomini delle BR e poi, poco dopo, a Dio. Il dialogo da lui
pensato per riconciliare la Chiesa con il mondo abortì perché l'interlocutore
non era interessato a dialogare con la Chiesa. Accadde nuovamente quello che
era già successo all’apostolo Paolo quando parlò all’agora ateniese: “Quando sentirono parlare di resurrezione dei
morti alcuni lo deridevano, altri dicevano: «Su questo ti sentiremo un'altra
volta»” (At 17, 32). Paolo VI venne e viene deriso dai figli della Chiesa
Cattolica, cardinali, vescovi, preti, religiosi e laici che contestarono e
rifiutarono l’Humanae Vitae senza per
questo subire alcuna conseguenza, ma venendo osannati dalla stampa e dagli
intellettuali: “Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo
stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti” (Lc 6,26).
Il
nodo tuttora irrisolto è appunto il dialogo interrotto perché rifiutato. Al
rifiuto patito Paolo VI reagì da buon cattolico lombardo e perciò
inevitabilmente borghese, facendo penitenza personale: indossò il cilicio fino alla morte. Ma ciò
non è una soluzione, al massimo è una soluzione temporanea o parte di una soluzione
ancora da trovare. Cosa deve fare la Chiesa se il mondo contemporaneo la
ignora, la deride, la elimina?
Roma 13 maggio 1978, Paolo VI alla messa in suffragio di Aldo Moro |
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