domenica 4 settembre 2011

A piedi nudi

Jaume Huguet, XV sec.
   Oggi, festa di san Mosè, termina quel periodo estivo dedicato alla celebrazione del mistero della resurrezione della carne. Il destino glorioso del creato è fondato su Colui che è la primizia, Gesù Cristo morto e risorto che si trasfigurò per manifestare in anticipo la gloria futura e garantire così la speranza nella salvezza. Gloria in cui Maria sua Madre è già entrata, quando alla sua morte venne assunta in corpo ed anima. Gloria in cui sono già entrati il patriarca Enoc e il profeta Elia, perciò è giusto che tale periodo abbia inizio il 20 luglio con la festa di sant'Elia e abbia termine con la festa di san Mosè, i due testimoni celesti che apparirono sul Tabor per confermare che la persona, l'opera e la predicazione di Gesù sono conformi alle Scritture.


   La parabola lucana del ricco e del povero Lazzaro, oltre all'insegnamento morale a fare buon uso della ricchezza per non esserne divorati, insegna due verità di fede. La prima verità riguarda la fede stessa e più precisamente la sua origine; essa non nasce dall'incontro con fatti straordinari che alimentano solo altre richieste di "segni" (Mt 12,38; 1Cor 1,22), come sarebbe l'incontro con un morto, ma nasce dall'ascolto della Parola di Dio così com'è trasmessa dai profeti: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro" (Lc 16,29). La seconda verità riguarda l'articolo di fede nella risurrezione dei morti, vincolato al regime dell'ascolto dei profeti di Dio: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti" (Lc 16,30); ciò vale precisamente per il caso specifico di Gesù risorto dai morti, la sua resurrezione non è avvenuta contro o senza le Scritture, ma secondo le Scritture, secondo la concorde testimonianza resagli sul Tabor dai due sommi rappresentanti di tutta la Scrittura: Mosè ed Elia.

   Mosè ha ancora molto da insegnare ai cristiani e alla Chiesa, come insegna Gesù stesso. Dal racconto della sua vocazione (Es 3,1-15) voglio porre in evidenza un particolare minore, ma che è anche il primo comandamento rivelato da Dio a Mosè, ben prima di rivelare il Decalogo: "Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!" (Es 3,5). Il comandamento si compone di due richieste e una motivazione Una prima prescrizione negativa: "Non avvicinarti oltre!", seguita da una seconda prescrizione positiva: "Togliti i sandali dai piedi", motivate dalla spiegazione: "perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!".

Ravenna, San Vitale

   La curiosità ha condotto Mosè ad avvicinarsi per vedere un "grande spettacolo: perché il roveto non brucia?" (Es 3,3). Grande spettacolo è la visione del roveto che arde senza consumarsi, come è possibile? cosa significa? Il paradosso del roveto ardente che non si consuma descrive l'incontro del mondo creato con Dio Creatore. Le creature non periscono nell'incontro con il loro Creatore, ma per il mancato incontro con Dio periscono: avendole create per sé, quando le incontra, le fa ardere d'amore.

   Per accedere al mistero grande dell'amore folle di Dio per il mondo, è necessario seguire Dio perinde ac cadaverem: Lui solo si rivela, come e quando vuole, Fuoco che arde e non consuma. Per questo dopo aver attratto Mosè con la santa curiosità di osservare il grande spettacolo, Dio lo respinge lontano da sé. Non è sulla volontà umana che si può contare per avvicinarsi a Dio, dato che la propria volontà ci ha allontanati dannatamente da Lui! Tanto meno si può far conto sulla ragione umana, l'altro grande dono divino con la libera volontà che nobilita l'umanità: "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza" (Inferno XXVI,119-120), dato che essa è confusa, distratta ed ingannata dalle molte luci che risplendono dentro e fuori di sé: "Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me" (Kant, Critica della ragion pratica), si da non riconoscere la prima e maggior Luce del Creatore.

Botticelli, Sistina, particolare della Scene della vita di Mosé
   Se vuol proseguire, Mosé deve togliersi i sandali e restare a piedi nudi. Il testo non dice esplicitamente che Mosé obbedì, ma la cosa è implicita nel fatto che il racconto non si interrompe per siffatta disobbedienza ma prosegue, e prosegue grazie ai piedi nudi di Mosé, piedi pieni d'obbedienza coi quali s'avvicina al grande spettacolo del Mistero di Dio che si rivela nel mondo, ma non troppo fino al punto da non vedere più nulla.
Senza i suoi sandali, il pastore è privo della protezione necessaria per camminare sulla terra scabrosa e correre se necessario, lasciandolo vulnerabile e alla mercé dei pericoli come maltempo, fiere e nemici. Tale vulnerabilità lo pone integralmente nelle mani di Dio, cosicché il gesto di togliersi i sandali espone la fiducia dell'uomo e simmetricamente la credibilità di Dio.

   Inoltre, i piedi nudi entrano a contatto diretto e salutare con la nuda terra, per quanto scabrosa e dura, sorgente di vita, matrice dell'uomo che dalla sua polvere è stato plasmato dal Vasaio divino, La nudità dei piedi espone perciò la creaturalità dell'uomo e simmetricamente Dio come suo Creatore, manifestando l'umiltà di entrambi: l'Umiltà divina che non disdegna di sporcarsi le mani per impastare con semplice argilla l'uomo e neppure disdegna di rivelarsi a Mosé in un qualunque roveto desertico che arde e non si consuma; l'umiltà umana di Mosé che accetta di togliersi i sandali per obbedire alla voce che gli parla dal roveto, mettendo oggettivamente in pericolo non solo se stesso ma anche le greggi e quindi la vita della sua famiglia.

Matteo Rosselli, 1623

Togliersi le calzature e restare a piedi nudi è un gesto necessario per entrare in contatto con Dio.
Innanzitutto è prescritto da Dio e non frutto del sentimento religioso umano, una richiesta semplice e che oggettivamente costa poco, poiché Dio non è mai esagerato.
Sancisce anche fisicamente la distinzione tra la vita ordinaria e la preghiera, è un gesto-soglia che fa entrare nello spazio-tempo dedicato al dialogo con Dio, dall'ascolto della sua voce e alla preghiera.
Preghiera che necessita della vulnerabilità, della creaturalità e dell'umiltà umane.