sabato 30 luglio 2011

Verità fedele, fedeltà vera

In questi ultimi tempi, la Chiesa Cattolica alla quale mi onoro appartenere, è sottoposta ad un attacco sistematico che proviene dal suo interno, la qual cosa lascia l'amaro in bocca ed intristisce il cuore. Non stupisce, infatti, che i cristiani siano perseguitati da parte delle ultime dittature comuniste quali la Cina, il Viet-Nam e la Corea del Nord, o dai regimi teocratici islamici quali Arabia Saudita, Sudan del nord, Iran, Pakistan. Nemmeno è causa di meraviglia che il mondo chieda suadente all'uomo contemporaneo di non ascoltare la voce di Dio, per poter seguire le proprie instabili voglie. Ma che siano proprio dei membri della Chiesa, per di più ministri ordinati o professori di teologia, ad accodarsi dietro al mondo nell'innalzare l'idolo del proprio mutevole io con le sue sue voglie impermanenti... beh, ciò lascia interdetti.

Kirche 2011 è il manifesto di professori di teologia nato nella Chiesa Cattolica tedesca, di cui ho già scritto in post precedenti. Ad esso ha fatto seguito nella Chiesa Cattolica austriaca, l'appello alla disobbedienza (sic!) della cosiddetta "Iniziativa parroci", sottoscritto da 300 preti austriaci. Giungono, poi, i rinforzi dalla Chiesa Cattolica americana, 157 preti che appoggiano Roy Bourgeois, un sacerdote appartenente all'ordine di Maryknoll, scomunicato nel 2008 per aver preso parte all'ordinazione sacerdotale di alcune donne. Costoro dichiarano perentoriamente di approvare e chiedono di concedere:
  1. il matrimonio agli omosessuali
  2. l'ordinazione sacerdotale alle donne
  3. il matrimonio ai preti
Ai fratelli che sottoscrivono questi manifesti mi sento solo di dire poche cose.
Le loro richieste sono sempre le solite e paiono francamente ridicole perché ormai fuori tempo massimo: il '68 è solo un mero oggetto di studio, forse di nostalgia, sicuramente non è più attuale e neppure una risorsa per il futuro. Quindi, li invito caldamente a non restare in mezzo al guado, nella Chiesa Cattolica ma non del tutto, sono nella Chiesa ma sono del mondo. Sappiano scegliere con coraggio e intelligenza se stare nella Chiesa non solo con il portafoglio ma anche con il cuore e la mente, oppure se abbandonare la Chiesa per andare dove ordina loro la coscienza. Dalle proprie invincibili convizioni bisogna saper trarre tutte le conseguenze: l'appartenenza alla Chiesa è libera, mentre non lo è la sua natura più intima, sovranamente decisa da Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

Poi le mie riflessioni.
Ciò che quì è in ballo, non è una delle quisquiglie iper-moderne richieste che scimmiottano le mode mondane, quanto la questione della Verità, verità di Dio, verità dell'uomo, verità dell'amore. Da buon peccatore conosco molto bene la tragica e triste profondità cui giungono le radici del mio peccato e delle mie infedeltà, ma non ne faccio un vanto, non sono così sciocco da pretendere che il mio peccato, siccome è duro da estirpare e amaro da sopportare, magicamente diventi un bene di cui andar fiero, un diritto da sbandierare, un progetto di riforma della Chiesa. Ma per mia fortuna e salvezza, non sono solo ed abbandonato in questa volubilità mondana, ma la Verità si è fatta vicina a me come ad ogni uomo: "Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore" (Dt 30,14), Verità percepibile, conoscibile (1Gv 1,1s). Il Dio che si è rivelato per mezzo dei profeti e di Gesù Cristo, è la Verità affidabile, credibile: Egli è la Roccia sicura sulla quale è auspicabile gettare le fondamenta.

Il matrimonio tra persone delle stesso sesso è una sciocchezza per la ragione umana ed il buon senso, dato che il matrimonio accanto a cose utili ma non necessarie come il fuoco della passione ed il rispetto, ne presuppone un paio necessarie ma non sempre utili quali la differenza sessuale tra l'uomo e la donna e la loro libertà contrattuale. La verità della coppia umana e della sua sessualità, fin dal principio e per sempre, è la differenza e la complementarietà dell'uomo e della donna, l'uno relativo all'altra. Questa verità della persona umana raccontata dalla sacra Scrittura è coerente con la natura animale del maschio e della femmina descritta dalla biologia, coerenza biologica che conferma la verità spirituale che si radica nella dualità complementare dell'uomo e della donna.

Circa l'ordinazione sacerdotale alle donne. Il 15 ottobre 1976 la Congregazione per la Dottrina della Fede spiegò, con la dichiarazione Inter insigniores, che la Chiesa non può mutare alcunché della sua divina costituzione, nella quale rientra la sovrana decisione di Gesù Cristo di chiamare come apostoli solo uomini maschi. Siccome non c'è miglior sordo di chi non vuol sentire, gli scontenti di tale spiegazione che non lasciava adito a dubbi, obbiettarono che un semplice Ufficio della Curia Romana non equivale al Magistero del Papa, come se il Papa, invece, avesse il potere di modificare la divina costituzione della Chiesa. Perciò il 22 maggio 1994 il beato Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis confermò la posizione tradizionale della Chiesa che seguendo il Signore Gesù, riserva soltanto agli uomini l'ordinazione sacerdotale. Anche l'asina di Balaam avrebbe ormai compreso che la Chiesa Cattolica, le Chiese Ortodosse e alcune Comunità Protestanti fedeli alla Scrittura non ritengono possibile il sacerdozio ministeriale femminile, perché sono vincolate alla Scrittura che testimonia tale scelta. Chi vuole a tutti i costi il sacerdozio femminile non ha che da passare alle Comunità protestatanti che lo ammettono.

Il matrimonio dei preti è un'altra sciocchezza per il mero buon senso. Infatti, per la Tradizione universale della Chiesa il sacramento dell'Ordine rende definitivo ed immodificabile lo stato dell'uomo che riceve l'ordinazione ministeriale: resterà celibe se era celibe al momento dell'ordinazione, quando impegna liberamente la sua volontà al celibato per il Regno dei cieli; oppure rimarrà coniugato  se era sposato al momento dell'ordinazione, quando la moglie acconsente a che suo marito riceva l'ordinazione, il quale accetta liberamente di non risposarsi qualora restasse vedovo. Quei preti che tradendo la parola data, dal celibato per il Regno sono passati ad essere concubini di una donna, devono solo fare l'unica opera salvifica, per sé, per la loro concubina e per la Chiesa che li ha ordinati, essere sinceri e scegliere tra il ministero e la vita coniugale ed una volta fatta la scelta, esserle fedeli.

Tessaglia, Aghia Triada
Infine alcuni auspici rivolti alla Chiesa e ai suoi ministri.
Alla Chiesa suggerisco di conservarsi fedele a Dio piuttosto che agli uomini e le ricordo la testimonianza di fedeltà a Dio resa dai martiri. Non tema le conseguenze della fedeltà. Lo strepitoso successo goduto da Gesù, durò solo un momento che lui concluse senza fare sconti a nessuno, né ai suoi discepoli né a sua madre, con la domanda: "Volete andarvene anche voi?" (Gv 6,67). Nessuno è obbligato a rimanere nella Chiesa contro la propria coscienza, come nessuno può plasmare la Chiesa a propria misura, come insegna l'apostolo la Chiesa non è di Paolo, né di Apollo, né di Cefa, ma è di Dio (1Cor 1,2.12).
Ai pastori della Chiesa ricordo che sono stati ordinati per guidare e sorvegliare la Chiesa, verso la quale non devono usare solo l'amorevole misericordia materna (1Tess 2,7-8), ma anche la dura sferza paterna (1Tess 2,11-12), per non generare figli bastardi che ignorano la correzione del Signore (Eb 12,4-11). Ma soprattutto ricordino che sono stati inviati ad annunciare il Vangelo di Cristo, unico perché "non ce n'è un altro" (Gal 1,7), immutabile dato che nemmeno l'apostolo Paolo e neppure un angelo dal cielo possono modificarlo, come è scritto: "se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!" (Gal 1,9-10).

domenica 24 luglio 2011

Anch'io insisto: la Chiesa ritorni a Dio

Il 21 giugno Sandro Magister ha pubblicato sul suo sito Chiesa.it l'ennesima puntata di un avvincente dibattito dedicato a vari aspetti dell'ermeneutica del Concilio Vaticano II: si tratta di un lungo articolo composto dall'intervento del prof. Enrico Morini "Continuità e rottura: i due volti del Concilio Vaticano II" e dai commenti di Francesco Arzillo, di padre Giovanni Cavalcoli e di Martin Rhonheimer. Il 15 luglio Enrico Morini risponde ai suoi tre critici con un articolo pubblicato sul blog di Sandro Magister Settimo Cielo.
La tesi del Morini è composta di due elementi distinti:
  1. continuità e rottura sono due chiavi ermeneutiche complementari, non alternative, entrambe necessarie
  2. lo scisma tra Roma e Costantinopoli è la rottura da sanare, recuperando quella "continuità con la tradizione del primo millennio" che è stata l'intenzione messa in opera da Giovanni XXIII e dalla maggioranza dei padri conciliari nel Concilio Vaticano II e che ha raggiunto il suo acme il 7 dicembre 1965 con la revoca delle scomuniche del 1054
Il primo è un principio generale che condivido integralmente, come ho scritto nel post del 10 luglio, il secondo elemento è la sua applicazione ad un episodio storico concreto qual è il Concilio Vaticano II, applicazione che non condivido. Anch'io sono perplesso e dubbioso, come Francesco Arzillo, di tale ipotesi ermeneutica del Vaticano II. Francamente mi pare indebito e sbagliato applicare una tesi preconfezionata all'interpretazione di un fatto storico; ciò determina una comprensione riduttivistica del fatto storico in esame, nello specifico del Vaticano II. Cosa è successo in Occidente, a cavallo tra primo e secondo millennio, che ha intorbidato pur non avendo interrotto il flusso vitale della Tradizione?

Quale esempio della necessità attuale di un ritorno alla "teoria e alla prassi ecclesiale del primo millennio" Morini cita la successione sulla cattedra di sant'Ambrogio di cui non condivide il metodo. Cosa non condivide del metodo con cui Benedetto XVI ha nominato il card. Scola: l'ampia consultazione dell'episcopato lombardo ed italiano e del laicato ambrosiano? la discussione in sede di Congregazione dei Vescovi? il potere di nomina che sta in capo al papa? la possibilità di spostare un vescovo da una sede episcopale all'altra?

Reputo che la Chiesa Cattolica debba ritornare, ma non ad una qualsiasi epoca del suo passato, bensì a Dio.
Ciò facendo, riscoprendo cioè la natura lunare della sua identità, di cui hanno scritto il card. de Lubac e Hugo Rahner ed è affermata nell'incipit della Costituzione dogmatica sulla Chiesa: "Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa" (LG 1). Il volto della Chiesa risplende, non della propria luce come Lucifero, ma della luce del Cristo, Sole di giustizia che nel volto amato della sua fidanzata, la Chiesa, si riflette illuminando tutti gli uomini. Perciò è urgente ed essenziale recuperare l'orientamento della preghiera, di ogni preghiera, dalla preghiera comunitaria alla personale, dalla preghiera liturgica alla devozionale.


Ancora due appunti alla risposta del Morini, laddove afferma che il palamitismo "è dottrina ufficiale della Chiesa ortodossa". Mi pare inesatto, poichè l'ottavo Concilio Costantinopolitano (1341, 1347, 1351) si è limitato a condannare come eretiche le tesi teologiche di Barlaam il calabro e Acindino e viceversa a confermare dogmaticamente la tesi teologica sviluppata da Gregorio Palamas in difesa degli esicasti. Tale conferma dell'ortodossia di tale teologia non equivale a farne dottrina ufficiale. 
Infine mi pare riduttivo, o quanto meno generico, descrivere l'apporto fondamentale del Palamas alla teologia cristiana nei termini proposti dal Morini: "è essenziale per la deificazione dell'uomo conoscere Dio", poiché egli difese il primato della mistica nella vita cristiana, ovvero che l'esperienza di Dio è possibile già ora, l'uomo può vedere la Luce deificante di Dio, come i tre discepoli sul Tabor, esperienza reale che coinvolge tutto l'uomo; a tale esperienza mistica Palamas diede giustificazione teologica distinguendo in Dio l'Essenza inconoscibile e le Energie conoscibili dalla mente e percepibile dal corpo.



mercoledì 13 luglio 2011

Cercate il mio volto

Recentemente padre Matias Augé sul suo blog liturgia opus trinitatis ha affrontato più volte il tema capitale dell'orientamento, sia in prima persona sia in dialogo con Andrea Grillo e provocando abbondanti commenti non sempre pacati.

Perché limitare alla celebrazione eucaristica e al suo interno alla preghiera eucaristica la questione dell'orientamento? Tale limitazione crea un confine innaturale tra la preghiera e la Preghiera somma dell'Eucaristia, confine che non esprime una distinzione chiarificatrice bensì una mortifera separazione. L'orientamento è un tema capitale della preghiera, di ogni preghiera. Tema capitale perché grazie ad esso si discerne il termine ultimo della preghiera, non un nome qualunque, ma il Dio vivo e vero che si è rivelato e rivolto a noi nel Figlio suo. Limitare alla sola Eucaristia la questione dell'orientamento significa impostare male tale questione, imboccando una deriva ritualistica assai riduttiva, che inevitabilmente scatena il conflitto tra fautori della celebrazione "verso il popolo" e fautori del "verso Dio", come s'evince dai numerosi commenti. Significa separare artificiosamente e mortalmente la preghiera dalla preghiera delle preghiere, dall'eucaristia, condannando la preghiera alla sterilità e impedendo allo Spirito Santo di far crescere l'uomo, integrandolo nel cosmo e nella storia della salvezza.

Definire l'orientamento predominante della s. Messa dopo il Tridentino "verso l'abside" è una definizione perniciosa e malevole, fondata su di una premessa inficiata di parzialità. Questa premessa inficiata di parzialità, genera una ricerca orba e una deduzione monca, segnata dalla stessa parzialità della premessa. Sarebbe come definire l'orientamento predominante dopo il Vaticano II "verso la porta". Lo sciocco guarda il dito che indica la luna, mentre il saggio guarda prima il dito indicante e poi la luna indicata. Infatti, l'abside ospita due elementi liturgici verso i quali è rivolta la preghiera tridentina: il Tabernacolo e le sante Immagini, entrambi elementi esodici, nel senso che la preghiera fa tappa su di loro per andare altrove, alla ss. Eucaristia custodita nel Tabernacolo e al Prototipo celeste rappresentato nelle sante Immagini. Allo stesso modo anche p. Augé spiega in che senso l'altare e non il sacerdote sia il centro verso cui convergere nella celebrazione eucaristica, in quanto segno oggettivo di Cristo al quale l'altare consacrato rimanda.

Tutta questa attenzione circa l'orientamento del clero, se verso il popolo o verso l'abside, è segno ed epifania di clericalismo. Una malattia, quella del clericalismo, già diagnosticata dal Rosmini nel 1835 ma che dopo il Vaticano II non è certo migliorata, anzi, è una patologia che nel clero si è aggravata e per di più si è diffusa anche al laicato! Piaga, come la chiama Rosmini, alla quale non è estraneo, a mio avviso, aver collocato la sede del presidente dell'Assemblea liturgica di fronte alla stessa, esclusivamente vis a vis, fissando così in quell'unico aspetto della mediazione sacerdotale il clero, quello di rappresentare Dio per il Popolo Dio e oscurando l'altro essenziale aspetto ad esso complementare, quello di rappresentare il Popolo di Dio presso Dio.

Non c'è solo "la convenienza di pregare verso il Signore" come afferma p. Augé. La convenienza può essere maggiore o minore, mentre essere orientati al Signore è necessario per pregare; in verità, se non ci si rivolge al Signore Dio, ci si rivolge a qualcun'altro, ad uno dei tanti idoli che l'uomo costruisce infaticabilmente con le sue mani. Perciò è urgente, oggi come sempre, orientarsi correttamente quando si prega, per discernere se preghiamo Dio o io, se pregando andiamo oltre il nostro piccolo mondo per entrare nel mondo di Dio, se smettiamo di girare attorno al nostro ombelico per essere come Dio comanda, se cessiamo di vagabondare fuori di noi estranei a noi stessi per entrare finalmente nel talamo nuziale del nostro cuore. La questione di Dio è intimamente intrecciata con la questione della preghiera, e la questione della preghiera è intimamente intrecciata con la questione dell'orientamento: ortodossia innanzitutto significa retta glorificazione di Dio, ancor prima che professione della vera fede, è l'antico adagio lex orandi lex credendi.
Allora la questione essenziale è la seguente: dov'è Dio? Dove lo si può trovare? Dove abita?
P. Augé identifica correttamente tale questione, ma nel cercare di formulare una risposta confonde il Creatore e le creature. Certamente il prossimo è un sacramento di Dio, ma per l'appunto un sacramento, non Dio stesso. Amare non è sinonimo di pregare. Nel campo dell'amore l'apostolo Giovanni insegna che non si può amare Dio che non si vede, se non si ama il fratello che si vede (1Gv 4,20). Invece pregare indica in esclusiva la relazione con Dio. Relazione che ciascuno deve coltivare perché costitutiva della sua essenza di creatura. Quindi riconoscere Cristo negli ultimi (compresi gli aborti, persone mai nate seppur create), non esaurisce la missione della Chiesa e la vocazione di ogni uomo, una riduzione orizzontalistica insipida; è necessario alzare lo sguardo per ripetere l'invito: "Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto".

domenica 10 luglio 2011

Continuità e rottura

Seguo con molto interesse il dibattito che si stà svolgendo sul sito chiesa e sul blog settimo cielo di Sandro Magister circa l'ermeneutica del Concilio Vaticano II. In particolare mi è piacito l'intervento del prof. Morini Continuità e rottura: i due volti del Concilio Vaticano II, al quale faccio le seguenti tre obiezioni ed una rapida considerazione sul tema continuità e rottura.

1. Anche la Tradizione, come la natura, non fa salti.
La continuità con il passato remoto del primo millennio non è possibile saltando il passato prossimo costituito dal secondo millennio. La continuità storica del presente con il passato implica l'integrità della storia passata, ovvero l'accoglienza serena di tutti i singoli istanti che nel loro complesso insieme costituiscono il passato, senza alcuna selezione che sarebbe rimozione alienante.
Per ritornare o recuperare il passato del primo millennio abbiamo necessità del secondo millennio senza il quale non abbiamo accesso nemmeno al primo millennio.

2. Se il primo millennio è l'epoca d'oro nella storia della Chiesa, mentre il secondo millennio l'epoca peggiore, abuso dello stesso schematismo, come può il meglio produrre il peggio? Può forse l'albero buono dare frutti cattivi? Le cause dello scisma tra Roma e Costantinopoli, sancito dalle scomuniche reciproce del 1054, grazie a Dio levate nel 1965, sono maturate tutte nel primo millennio

3. E' utile auspicare il ritorno della Chiesa ad un'epoca della sua storia e operare per un tale recupero? La Chiesa deve ritornare solo a Dio, non al proprio passato, quale che sia. Dio non è un mero ricordo del passato, buono da sigillare asettico in una teca museale. Dio è il Vivente, Colui che è, che era e che viene (Ap 1,4) e ritornare a Dio significa accogliere il suo avvento, prepararsi alla sua seconda venuta, volgersi alla sua escatologica parusia, tensione spirituale che è andata scemando nella Chiesa.

La tesi ermeneutica del prof. Morini è che il Cancilio Vaticano II sia stato intenzionalmente continuità e rottura.
L'et et è sicuramente un approccio cattolico, a differenza dell'aut aut. Questa regola ermeneutica dell'et et vale a fortiori per ciascun periodo della storia della Chiesa, dal Niceno I al Vaticano I.
Il Niceno I ha rotto con la tradizione precedente che formulava la fede cristologica utilizzando esclusivamente il linguaggio biblico, perché insufficiente per rispondere adeguatamente alle affermazioni e/o obiezioni eterodosse degli ariani, è con grande coraggio introdusse nella professione della vera fede un termine estraneo alla sacra Scrittura, il termine filosofico greco di "omoousios", in latino "consubstantialem", in italiano "della stessa sostanza". Tale rottura è stata funzionale e necessaria per garantire la continuità nella professione della fede in Cristo.
Ciò vale anche per la vita di Gesù?
A naso direi di sì, sia rispetto alle attese d'Israele suo popolo (dal tentativo fallito di farlo re al rifiuto di riconoscerlo come re), sia rispetto alla (in-)comprensione dei suoi discepoli (da Simon Pietro a Giuda, passando per Tommaso). La dinamica continuità/rottura appartiene alla forma stessa della fede plasmata dall'oggetto della fede, la morte e resurrezione di Gesù, appunto continuità e rottura.