sabato 4 ottobre 2014

Paolo VI, un papa nella tempesta

Ho partecipato con vivo interesse all'incontro di ieri sera su Paolo VI proposto dalla Fondazione san Benedetto e che ha visto riuniti il direttore del Giornale di Brescia, Giacomo Scanzi e il direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara.



Calzante è la proposta di Scanzi che individua nel tema della modernità la chiave di lettura del pontificato di Montini. Direi tema più ambivalente che ambiguo. A maggior ragione se declinato come " poetica del camminare accanto all'uomo moderno con amicizia". Chiedo però se questa scelta di fondo di Paolo VI, ovvero di essere compagno dell'uomo in nome dell'amicizia, sia sufficiente, allora come oggi.

Sempre più chiaro emerge, e nella vita sociale e nella cultura attuali, che l'uomo moderno odia l'umano, sia l'umano che è in lui sia quello che è nell'altro. Che fare quando quest'uomo moderno accompagnato con amicizia dalla Chiesa uccide l'umano in sé e nell'altro?
Forse bisogna ricominciare a ricostruire dalle fondamenta la civiltà umana, sempre che non sia troppo tardi. Opera immane. Ci sono macerie da eliminare, cose preziose da recuperare, ripari di fortuna da approntare per proteggere i più deboli e nel contempo difenderci da chi continua a seminare odio per l'uomo e bombarda l'umanità con idee e azioni antiumane. Il card. de Lubac sj nel lontano 1943 identificava nell'ateismo, in particolare in Feuerbach, Compte e Nietzsche, la radice intellettuale dell'antiumenesimo (Il dramma dell'umanesimo ateo). Non si può prescindere dal giudizio, checchè ne dica papa Francesco, per rispetto della comune dignità umana e proprio per poter allestire un ospedale da campo che curi l'uomo ferito e non semplicemente ne sedi dolore e disagio. Infatti ogni cura presuppone una diagnosi in vista di una prognosi, tutte operazioni intellettuali proprie dell'arte medica che sono esercizi del giudicare. Viceversa il medico pietoso fa il malato gangrenoso. Il medico sceglie la via larga e facile della pietà quando dice ciò che il malato vuol sentirsi dire e non in scienza e coscienza quello che è giusto perché vero.
Che fare quando la via intrapresa dall'uomo moderno ha come meta il male e la morte?
Come si declina la compagnia amichevole della Chiesa per l'uomo moderno quando esso si rivela malvagio, mortifero e mortale?
Compagnia silenziosa e simpatetica, perciò sciapa ed inutile, oppure compagnia che mette sull'avviso anche alzando la voce, ma egualmente inutile perché inascoltata?
Fin dove deve spingersi la scelta di accompagnare l'uomo moderno sulle sue vie (la modernità secondo Del Noce è qualificata da scristianizzazione, antimetafisica, laicizzazione della fede)? Anche fino al punto di tradire se stessi, rinnegando la propria identità e la propria storia, annichilendosi nel vuoto mainstream del pensiero dominante, un pensiero così indebolito dal pensiero debole da non essere più pensiero ma chiacchiera rumorosa in cui la tecnoscienza domina incontrastata? Oppure bisogna custodire responsabilmente il dovere di obbedire alla coscienza illuminata dalla Verità?

Vera è la constatazione fatta da Ferrara circa la decisione di Paolo VI che non volle più scrivere alcuna enciclica dopo le contestazioni cui fu umiliato a causa dell' Humanae Vitae (1968), per non diventare causa di divisioni nella Chiesa. Vera e molto triste, perché ingiusta fu la contestazione e rinunciataria la reazione papale. Gesù disse: " Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l'uomo da suo padre [...] e nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa" (Mt 10,34-36).




Talvolta le polemiche sono inutili perché sterili, altre volte sono necessarie e vanno combattute senza paura.
Complimenti alla fondazione san Benedetto per aver invitato Ferrara e Scanzi a dialogare su Paolo VI.
Come un marziano, ho scoperto solo nell'Aula Magna della Cattolica, dove si è svolto l'incontro, delle polemiche che hanno animato il peteguless della provinciale città di Brescia, anzi, dei provinciali cattolici bresciani. Su queste acide zitelle emerge per signorilità ed umanità Giuliano Ferrara.
Riflettendo sulla situazione ho catalogato due tipi di non credenti e altresì due tipi di credenti.
C'è il non credente felice e soddisfatto della sua miscredenza nella quale orgoglioso crede, incosciente dell'autocontraddizione; di solito costoro odiano visceralmente il corpo di Cristo.
Il secondo tipo di non credente è infelice perché conscio di non avere qualcosa in cui credere cerca e desidera e quasi invidia il credente, non perché tale, ma perché ha trovato.
C'è il credente infelice e insoddisfatto perché non ama la verità in cui gli tocca credere suo malgrado e invidia il miscredente felice e lo cerca perché gli sia maestro.
Infine c'è il credente felice perché ama umilmente la verità che l'ha trovato.
Mentre il credente infelice cerca il miscredente felice, il miscredente infelice cerca il credente felice.