sabato 21 aprile 2012

Triduo Pasquale 5. Primo giorno

At 10,34.37-43 Col 3,1-4 Gv 20,1-9/Lc 24,13-35
"Dic nobis, Maria: quid vidisti in via?".
Così il coro maschile dei discepoli si rivolge a Maria Maddalena e la interroga per sapere cosa vide
e la prima testimone del Risorto dichiara ebbra di gioia:
"Surrexit Christus, spes mea".
Ascoltate e siate allegri, Cristo è veramente risorto.

La Pasqua cristiana sembra fare perno sulle donne. Donne che di buon mattino, molto presto, prima dell'alba, vanno alla tomba per ungere il corpo sepolto in tutta fretta tre giorni prima. Donne sorprese dalla tomba vuota, un pò deluse e certamente sconvolte, donne  che corrono da Pietro e dai discepoli per denunciare la scomparsa, forse il furto del cadavere. Donne che si fermano presso la tomba desolatamente vuota, donne piangenti non più perché c'è un morto, ma per la mancanza del cadavere del morto. Donne che incontrano Angeli, Angeli che parlano alle donne, donne che finalmente parlano agli uomini.
Perciò conviene che la prima immagine sia di una donna pittrice. La Maddalena incontra il Risorto, da lei scambiato per il giardiniere, con una vanga nella sinistra, mentre la destra dichiara "Noli me tangere". Sullo sfondo i due apostoli stanno per entrare nel sepolcro, il discepolo amato giunto per primo aspetta Pietro dietro a lui; dentro la tomba buia s'intravede seduto sul sepolcro un personaggio celeste.
Fontana Lavinia, 1581
Perché questa peculiarità? Perché proprio delle donne sono le prime destinatarie della novità assoluta, la resurrezione di Gesù dai morti?
Tra l'altro sembra che per il diritto ebraico la testimonianza femminile fosse inammissibile; prova di una sua misoginia, oppure tentativo maldestro di regolare una peculiarità femminile, comunque da riconoscere?
La donna, infatti, aderisce immediatamente all'epifania della realtà, correndo il rischio di eccedere nella fiducia e cadendo nella creduloneria. Se in tribunale ciò è pericoloso, nella vita, ovvero nel rapporto con il mondo invisibile di Dio, è vitale. Per questo Dio riesce a parlare alle donne anche durante il giorno, quando le figlie di Eva sono nello stato di veglia (la madre di Sansone, Maria la madre di Gesù, Maddalena e le  mirrofore); mentre per parlare agli uomini debba farlo di notte e/o nel sogno, quando la coscienza razionale dei figli di Adamo dorme e può emergere l'intuizione mistica (il patriarca Giacobbe e il suo figlio prediletto Giuseppe, il giudice e profeta Samuele, il profeta Ezechiele, Giuseppe lo sposo di Maria). Ho trovato questa intrigante prospettiva nel libro di P. Florenskij, La concezione cristiana del mondo, dove nella prima lezione afferma: "Il sonno colora la vita della nostra anima. Avviene in modo delicato, femminile: cambiando le nostre convinzioni, non meditiamo sulle origini. [...] Nella storia ci sono i giorni e le notti. Nella fase notturna prevalgono il principio mistico, la volontà noumenale, la sensibilità, la femminilità. Nella fase diurna della storia sono più attive l'azione superficiale, la volontà fenomenale, maschile" (p.39).
Beato Angelico, 1438-40

La Domenica di Pasqua è il primo giorno della settimana. Dal punto di vista letterario è questo il nome principale della Pasqua, l'unico attestato nei Vangeli: "Il primo giorno della settimana" (Mt 28,1; Mc 16,2.9; Lc 24,1.13; Gv 20,1.19). Mentre gli agiografi insistono unanimi su questo nome per identificare e per indicare il giorno in cui Gesù risorse dai morti, adesso è un nome tradito e misconosciuto, ridotto a ultimo giorno del week end!

Perché Gesù è risorto il primo giorno della settimana?
E' stato un caso fortuito, oppure frutto di una scelta intenzionale?
Trattandosi di una questione che riguarda Dio, trovo difficile si tratti di una casualità. Egli che tutto dispone secondo la sua sapienza, ha scelto il primo giorno della settimana per rivelare nella redenzione del mondo il compimento della creazione del mondo e giustamente inaugurare la nuova creazione il primo giorno della settimana. Nell'ordine della creazione il primo giorno della settimana Dio creò la sua creatura primogenita: "Dio disse: "Sia la luce". E la luce fu" (Gen 1,3). Nell'ordine della redenzione il primo giorno della settimana Gesù risorse dai morti, rivelando il senso delle sue parole: "Io sono la luce del mondo" (Gv 8,12). Il senso apocalittico perché questa dichiarazione rivela la reale natura del rivelatore, parole veridiche perché ontologiche.
La Luce che è Gesù risorto ha iniziato a brillare laggiù negli inferi dove esplose come una supernova, tracimò dall'abisso e dal sepolcro vuoto straboccò fino ad illuminare la terra e i cieli, il passato, il presente ed il futuro. Nella sua Luce noi vediamo la luce, senza siamo ciechi, ripiegati su noi stessi. Non per niente, la Veglia Pasquale non può iniziare nello spazio consacrato della Chiesa, spazio integralmente orientato a Dio, bensì deve iniziare nello spazio profano e immondo, ripiegato su se stesso, regno delle tenebre dalle quali il Cristo salvatore è venuto a salvarci con la sua Luce gentile.
Tiziano, 1511-12
Con la resurrezione di Gesù nel suo vero corpo vengono affermate almeno queste cinque verità:
         1. la bontà intrinseca della prima creazione nonostante la caduta
         2. la vittoria dell'umile amore sacrificale dell'Agnello
         3. la sconfitta dell'orgoglio spirituale dell'Omicida
         4. la salda speranza nella vita eterna della nuova creazione
         5. l'unità del Creatore e del Redentore
Mi voglio soffermare sulla prima e sull'ultima, poiché tali verità di fede sono oggetto dell'incontro di Maria Maddalena con il Risorto, incontro più noto come Noli me tangere.
Giovanni è l'evangelista che più degli altri assume il punto di vista di una donna, racconta il fatto con gli occhi di Maria Maddalena: "Gesù le disse: "Donna perché piangi? Chi cerchi?". Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo" (Gv 20,15).
Maria commette un banale scambio di persone, confonde il Risorto con il custode del giardino. Grazie a questo semplice errore viene rivelato un aspetto dell'identità del Risorto. Maria pensa si tratti del contadino che dopo il riposo sabbatico è sceso nel suo podere per coltivarlo, invece si tratta niente meno che del Custode del giardino di Dio, dell'unico padrone del mondo! Giustamente Maria gli si rivolge chiamandolo Signore, pur trattandosi per lei del mezzadro che vanga la sua terra, e lo prega di dirle dove ha posto il cadavere assente.
Juan de Flandes, 1500
Ecco perché la donna piange: cerca il cadavere sepolto in fretta tre giorni orsono, un cadavere scomparso. Ed ecco, incontra il nuovo Adamo inviato da Dio nel Giardino per custodirlo e coltivarlo. Egli custodisce il giardino nell'offerta della sua Vita, in obbedienza al Padre e per amore nostro, Vita che nessuno può sottrargli, perché egli la offre da se stesso, avendo il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo (cfr. Gv 10,17-18). Egli coltiva il giardino seminando ovunque il seme della Parola (Mt 13,3-8), seme che muore per dare frutto (Gv 12,24), irrorato dall'acqua dello Spirito dato dall'inviato di Dio senza misura (cfr. Gv 3,34).
L'esperienza umana universale afferma, senza tema di smentita, che la morte costituisce il limite insuperabile. Questa è la verità narrata dal mito di Orfeo ed Euridice: la musica e il canto creano un'armonia talmente bella da ammansire anche le fiere poste a custodia dell'Ade, ma non riescono a riportare in vita le ombre dei morti. L'incredulità di Orfeo non è frutto della paura che egli ha dimostrato di non avere, ma della vana e falsa promessa della Morte di restituire alla vita, vita che la Morte non ha e non può promettere. L'umanità può solo prendersi cura del cadavere umano, non come fece Achille con il cadavere di Ettore, ma come fece Antigone con il cadavere di Polinice, secondo: "le leggi divine, leggi non scritte e indistruttibili. Non soltanto da oggi né da ieri, ma da sempre esse vivono" (Sofocle).
Perciò davanti alla morte, alla mia morte e alla morte altrui, alla morte delle persone che amiamo e alla morte di quelle che odiamo, come uomini non possiamo che disperare ed aver pietà, rimorso e commozione. Perciò Dio Padre ha un grande amore per noi uomini dando il suo Figlio unigenito, affinché chi crede in lui abbia la vita. Dio ci salva dalla disperazione e dal rimorso resuscitando suo Figlio Gesù. Così facendo conferma l'offerta della sua vita sulla croce e ce ne fa partecipi donando lo Spirito di Dio, lo Spirito del Figlio a tutti quelli che credono in lui. Così inizia la nuova creazione.
Cornelisz van Oostsanen Jacob, 1507
Cristo è risorto dai morti
con la morte ha vinto la morte
e ai morti nei sepolcri
fa dono della vita.

domenica 8 aprile 2012

Vita pulsante nel ventre terrestre

 Totalmente Primavera... by 21guilherme
L’odore del pulito si diffonde per la casa, quando a primavera si fanno quelle pulizie rese necessarie dal lungo inverno e rese possibili dalle giornate che si allungano e viepiù si riscaldano.
Nei giorni di sole, dalle finestre spalancate, entra il profumi dei fiori: i mandorli, le primule, i peschi, i ciliegi. E con gli odori entrano i colori freschi e nuovi, resi più vivaci dalla luce sempre più abbondante che a primavera celebra la vittoria annuale sulla fredda tenebra invernale. 
Vita che pulsa nel ventre della terra e freme nei rami ancora spogli degli alberi che giorno dopo giorno sono come ricamati di gemme, foglie e fiori. Fragili come i bambini, delicati come i lattanti nelle cui bocche l’Altissimo ha stabilito la sua forza invincibile.
 Primavera by de P. M.

Forza nascosta nella debolezza estrema, proprio come accadde a Gesù a Pasqua. Nel suo cadavere consegnato alla terra il tesoro è nascosto nel campo, nella sua anima discesa agli inferi è occultata la perla di grande valore, nel suo spirito reso al Padre si cela il sacro Graal: è il suo amore per Dio suo Padre e per gli uomini suoi fratelli, un amore unico e solo per il Creatore e le creature. Egli disse: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13 ). Lo disse e lo fece, e non solo per i suoi amici, ma ci amò quando ancora eravamo suoi nemici: “mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rom5,8). E se per l’uomo Gesù dare la vita significò morire, per il Dio Figlio ciò significa vivere e far vivere, per sempre ed in pienezza, senza ritegno né risparmio:  Lui, il Figlio, è la nostra Vita!
TINTORETTO, 1579-81
Una notte, una delle mie figlie, allora aveva all’incirca nove anni, mentre andavamo a dormire mi confidò la sua grande paura della morte di uno di noi e di morire, tutta angosciata e lacrimosa mi chiese: “Cosa succede quando muoio? Dove andrò? Sarò sola senza la mia famiglia?”.
Mi sdraiai accanto a lei e abbracciandola le sussurrai che anch’io avevo paura di morire, ma avevo anche fiducia in Gesù che è risorto dai morti, in Dio suo e nostro Padre che non ci ha creati per vederci morire ma ci farà rivivere per stare con Lui e nello Spirito Santo di Dio che è la Vita eterna.
GIORDANO LUCA, 1665
Poi abbiamo pregato insieme una decina del rosario, osservando come si conclude l’Ave Maria: “Santa Maria madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”. Chiediamo alla madonna di essere con noi e per noi nell’ora in cui moriremo e lei ci sarà, perché c’era quando suo figlio morì e ci affidò a lei: “Donna, ecco tuo figlio”.
RAFFAELLO, 1501-02

giovedì 5 aprile 2012

Corriere dei santi (nonostante gli errori)

Martedì 27 marzo sono stato sorpreso dal Corriere della Sera!
 Infatti il paludato quotidiano laico della borghesia milanese, portavoce militante dell'establishment, ha pubblicato nella sezione culturale un ampio articolo (1.754 parole e 10.657 battute) di Pietro Citati su san Silvano del Monte Athos: "Silvano, il santo che leggeva nel grande libro del cosmo".
Mi permetto, comunque, di fare alcune osservazioni.
san Silvano (1937)

le IMPRECISIONI (errori da matita blu)
1. L'identità ministeriale del confessore. Citati genericamente lo definisce "un padre spirituale", definizione equivoca perché può essere pertinente anche per un semplice monaco; viceversa il sacramento della confessione, anche nella Chiesa Ortodossa, è amministrato esclusivamente da un sacerdote, in quel caso dallo ieromonaco padre Ieronim.
2. La formula della preghiera di Gesù, o preghiera del cuore, è incompleta poiché l'autore omette l'ultima parola. La formula intera è la seguente: "Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore". Freud direbbe che questa omissione irriflessa rivela una fobia di Pietro Citati: la paura del peccato e della natura peccatrice dell'uomo.
3. La teologia, come ogni scienza, ha un proprio linguaggio che deve essere usato con precisione. Citati scrive che Dio: "gli aveva fatto conoscere la sua essenza sottile", affermazione temeraria e formalmente eretica. Infatti, in seguito al conflitto tra Barlaam il calabro e Gregorio Palamas, la teologia ortodossa distingue in Dio tra  l'Essenza e le Energie, la prima inconoscibile mentre solo le seconde conoscibili e partecipali alla creatura umana.
4. Nei tre stadi della vita spirituale le lacrime hanno una presenza capovolta rispetto a quanto asserisce Citati: sono sempre abbondanti nella prima fase, diventano rare nella seconda fase, per poi nella terza fase ma solo raramente aumentare di nuovo.
5. Scrivendo di san Serafino di Sarov, afferma che: "avrebbe voluto allontanarsi dal monastero per nascondersi nella foresta", lasciando intendere che Serafino si limitò a desiderare ciò, ma senza sperimentarlo. Invece avvenne esattamente il contrario: Serafino chiese  al suo igumeno il permesso di ritirarsi in un eremo nel cuore della foresta e ricevuta la sua benedizione, si ritirò nella foresta dove visse solitario per quindici anni.

i PRO
1. Divertente l'immagine letteraria di Pantagruele applicata a Silvano, un gigante della spiritualità cristiana.
2. Citati, grande critico letterario, giudica l'opera di Silvano Il Lamento di Adamo, con poche lapidarie parole che non lasciano dubbi: "un capolavoro letterario". Io cosa posso aggiungere se non l'invito a leggere questo capolavoro?
3. Il giudizio sull'Umiltà quale: "cuore metafisico del cristianesimo". Quale profondità di giudizio, ne sono ammirato e concordo. In un colpo solo Citati riscatta la metafisica, necessaria in quanto siamo animali ragionevoli, e identifica perfettamente il cuore del cristianesimo, l'Umiltà con la maiuscola, ovvero il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo e si è reso partecipe nello Spirito Santo.
4. Il giudizio sulla mistica silvaniana, definita mistica "della perdita" o "della nostalgia". Esatto, liturgicamente appartiene alla mistica del Sabato Santo, con santa Teresa Verzeri, santa Teresa di Lisieux, beata Teresa di Calcutta e Adrienne von Speyr.



i CONTRO (errori da matita rossa)
1. L'uso ambiguo del verbo credere, con cui Citati squalifica la dimensione conoscitiva dell'atto di fede, riducendola a pia illusione soggettiva. Silvano: "credeva innumerevoli" i propri peccati. A ciò Citati contrappone il suo giudizio assertivo, introdotto da un bel mentre avversativo, senza l'ombra del dubbio: "mentre erano avvolti da una profonda innocenza del cuore". Qui l'autore si lascia prendere la mano e deposte le vesti del critico letterario di vaglia, indossa le vesti del confessore dotato del carisma della cardiognosia, la conoscenza dei cuori umani, come sant'Ignazio da Loyola, san Filippo Neri, san Giuseppe da Copertino, san Francesco da Paola, san Giovanni di Dio, santa rosa da Lima, il santo curato d'Ars e san Pio da Pietralcina. La pretesa di conoscere l'intima coscienza di Silvano meglio di Silvano stesso è sbalorditiva. In questo caso di chi conviene fidarsi? In chi è ragionevole porre la nostra fiducia? In Silvano che si confessa peccatore,oppure in Pietro Citati che giudica il cuore di Silvano profondamente innocente? Chi diffida della semplice fede degli umili, confida in se stesso...
2. L'erronea contrapposizione tra perdita e presenza. Giustamente Citati indica quale cifra sintetica della esperienza mistica silvaniana, laperdita o nostalgia di Dio. Ma ogni perdita presuppone qualcosa che è stato perso, ovvero presuppone una presenza, la presenza di Dio così profondamente sperimentata da provocare il dolore e la nostalgia per la sua perdita. Ora per rendere sopportabile la nostalgia di Dio si hanno due possibilità, due vie: mettersi come Silvano alla ricerca di Dio per trovare l'acqua che disseta l'anima nostra, oppure illudersi di riuscire ad annegare tale sete con dei surrogati che inevitabilmente prima o poi si rivelano idoli quali sono. La fede non ha il suo contrario nella mancanza di fede o incredulità, ma nella idolatria. Ed il cammino di fede non ha inizio con la fede, ma con la presenza viva di Dio che chiama l'uomo ad uscire dall'idolatria, peccato universale, per entrare nel cammino di fede nel Dio vivo e vero.
3. Infine è assurdo confinare la perdita e la nostalgia alla figura di Adamo, come se Adamo fosse una persona realmente esistita e non il simbolo potente e reale di ciascun uomo. Silvano, i contemporanei e gli uomini di tutte le epoche, noi tutti siamo Adamo e sperimentiamo la nostalgia di Dio. Ciò non è affatto una condizione difficile da conservare. La nostalgia è consustanziale alla nostra situazione di esuli, forestieri, pellegrini. La nostalgia non ci abbandona e tutto diventa vuoto e deserto perché abbiamo ferito ed abbandonato il Dio che ci ama. Non l'assenza di Dio rende insopportabile la vita (che Dio è sempre presente essendo il Luogo del mondo), ma il nostro vivere come se Dio non ci fosse "etsi Deus non daretur", rende la nostra vita vuota e deserta.
san Silvano l'athonita, icona francese
 San Silvano prega per noi.