mercoledì 1 febbraio 2012

sul concetto di volto del Figlio di Dio

Antonello da Messina, Salvator Mundi, 1465
Ho visto l'opera teatrale di Romeo Castellucci "Sul concetto di volto del Figlio di Dio".
Ne sono uscito disgustato.
Non per le azioni sacrileghe, paventate da alcuni cattolici faziosi, azioni che non ci sono.
Disgustato per la presenza ossessivo-compulsiva delle feci. Mi sono chiesto se ciò significhi una regressione o una fissazione dell'autore alla fase anale del suo sviluppo psichico, fase che Freud colloca tra i due e i quattro anni e ... ho provato una pena infinita.
Ritengo che l'ossessiva presenza degli escrementi voglia intenzionalemente provocare negli spettatori la nausea per la vita di merda del padre malato e del figlio che l'accudisce in ottemperanza al comandamento: "Onora il padre e la madre".
La tesi dell'opera teatrale è che la vita è uno schifo. Fa schifo la vita del padre ammalato che si imbratta delle sue feci. Fa schifo la vita del figlio che come Sisifo è condannato continuamente a pulirlo. Fa schifo il quarto comandamento che prescrive di onorare il padre, al posto di parcheggiarlo in un ospizio in attesa che crepi. Tutto fa schifo ciò che si svolge sotto lo sguardo del Cristo dipinto da Antonello da Messina, uno sguardo che nel corso dell'zione teatrale trascolora progressivamente dalla indicibile silenziosa dolcezza alla sadica beffarda indifferenza per gli uomini, il padre cagante ed il figlio pulente.
Dopo l'ennesimo spargimento di feci da parte del padre, letteralmente sparse sulla propria esistenza corporea e su quella inseparabile del figlio, finalmente il tristo figuro cui è stato ridotto il figlio si ribella, esplode la rabbia covata e dopo aver urlato la propria esasperazione per la propria vita sequestrata, il figlio disperato si appoggia inconsolabile al volto di Cristo. Questo è l'attimo sublime dell'opera teatrale, il figlio si appoggia al volto del Figlio di Dio. Ecco l'umano bisogno di redenzione e l'atto di fede che aderisce al Redentore, la necessità di essere salvati e l'abbandonarsi fiducioso al Salvatore del Mondo: "Venite a me voi tutti che siete stanchi ed oppressi e io vi darò ristoro" (Mt 11,28).
Ma dopo essere stati condotti a questa altezza, ecco che subito si viene precipitati nell'abisso della disperazione. Lentamente il volto del Figlio di Dio, sul quale il figlio stanco e oppresso ha trovato ristoro in un attimo di luce, si tinge di nero. Una macchia liquida annichila il bellissimo Volto di Gesù Cristo. Secondo il regista ciò rappresenta l'inchiostro con cui è scritta la Sacra Scrittura, inchiostro che annega nel nero più cupo i meravigliosi colori di Antonello da Messina. A me, invece, ha dato la netta impressione del liquame compulsivamente sparso per tutto lo spettacolo.
Poi il velo sul quale era proiettato il volto del Figlio di Dio si lacera, come il velo del tempio alla morte del Figlio di Dio, e sulle macerie del Volto santo dileggiato, sul letamaio della vita, compare l'incipit del Salmo 23: "Tu sei il mio pastore". Tu chi? Il Figlio di Dio il cui bellissimo volto è stato annientato e lacerato? Oppure il di lui Padre, creatore sadico di un tale schifo? Ma ecco, mentre ci si interroga nel tentativo di identificare il pastore, prima indecifrabile e poi distinta lampeggia una invettiva nichilista, un non capovolge l'affermazione di fede nel suo contrario: "Tu non sei il mio pastore". Il regista vorrebbe così circoscrivere la fede nel dubbio, ma se avesse voluto dubitare, avrebbe dovuto rendere interrogativa quella negazione: "Tu sei/non sei il mio pastore?". Non trasformandola in una interrogativa, la fede viene prima negata e poi resa equivalente al suo contrario. La mancanza di fede ha una sua dignità tragica. Mentre il lampeggiare del non significa che tutto è assolutamente indifferente: credere o dubitare, amare o odiare, essere o non essere, sperare o disperare. Nulla conta, nulla vale, l'indifferenza regna sovrana, come il Fato, e se tutto è indifferente, allora tutto è merda.


Alla fin fine l'opera teatrale del Castellucci  esprime l'odio verso l'OPERA CREATRICE, sia l'Opera prima del Creatore di ogni cosa, che le opere seconde dei cocreatori, gli artisti che nelle loro opere proseguono l'Opera creatrice del Sommo Artista, opere rappresentate più che degnamente dalla splendita tela dipinta da Antonello da Messina. Oltre all'odio verso l'opera creatrice di Dio e degli artisti, un altro genere di odio s'esprime in tale opera teatrale: l'odio per il VOLTO UMANO, opera divina in cui culmina la creazione prima e si riflette il Creatore. Come ha insegnato Emmanuel Levinas, nel volto dell'uomo si mostra e si espone all'altrui accoglienza, riconoscimento e rispetto, la vulnerabilità di ciascuno. Nel volto umano la vulnerabilità dell'uomo si espone e richiama la resposabilità di ciascuno a non uccidere. Il singolo volto è irriducibile e resiste alla presa del concetto che pretende di dominarlo, manipolarlo, strumentalizzarlo.

E' il volto benedetto del Cristo che nella prigione sivigliana, dopo aver ascoltato in silenzio tutte le recriminazioni ed accuse del Grande Inquisitore, "fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante", gli si accosta e "lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni". La più grande miseria che alberga nel cuore dell'uomo è sciolta dalla ben più grande misericordia che palpita sul volto del Figlio di Dio.

2 commenti:

  1. Caro Paolo,
    condivido. Leggo da tempo il tuo blog e lo trovo ricchissimo. Ti scrivo solo in questa occasione per ricordarti dei lettori silenziosi che passano di qui.
    Mille grazie,
    Francesco

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    1. Grazie Francesco per i complimenti immeritati e soprattutto per essere brevemente uscito dal silenzio.
      Seppure non conosca il tuo volto
      e neppure la tua voce,
      ora conosco il tuo Nome
      che sia benedetto.

      Scrivere un blog è un'esperienza assai strana,
      è come pensare ad alta voce tra sé:
      le parole sgorgano dal cuore e all'aria
      sono affidate, silenziosa e solitaria...
      Qualcuno ascolta?
      Qualcuno risponde?
      Sicuramente il mio Angelo custode,
      talvolta gli occasionali passanti che non mi prendono per pazzo.

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