domenica 8 giugno 2014

Delle cose da chiedere. VII B

Il settimo giorno la preghiera ha da essere moltiplicata per adempiere l’opera divino-umana del culto. Fondamento del culto sono le tre azioni compiute da Dio nel giorno di Sabato: "Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando" (Gen 2,3). L'ordine con cui Dio compie le tre azioni che creano il Sabato e sono le fondamenta divine del culto umano (benedire-consacrare-riposare), viene imitato dall'uomo con il culto divino, ma secondo l'ordine inverso (riposare-consacrare-benedire), perché l'immagine creata riflette capovolta il prototipo divino increato. Come Dio mostrò il prototipo al suo servo Mosè: "Guarda ed esegui secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte" (Es 25,40), così l'umile Mosé fece.
Marc Chagall, Amanti nei lillà (1930)
Il riposo è quindi il Vestibolo che introduce l'umanità nel grande mistero del culto divino. Per l'uomo questa è la prima azione per poter entrare nel culto, è la cesura assolutamente necessaria che distingue il feriale dal festivo, la durezza del lavoro dalla dolcezza del cessarlo, la fatica dal ristoro, la sistole dalla diastole. Astenersi dalle azioni feriali è la premessa necessaria per potersi dedicare integralmente alle azioni festive. C'è un tempo per lavorare e un tempo per riposare. E come il lavoro non è fine a se stesso, così il riposo non è fine a se stesso, ma il fine e del lavoro e del riposo è Dio. Le azioni comprendono tutte le attività umane, riguardano ogni sfera della vita dell'uomo, quella corporea e quella spirituale, il lavoro fisico e quello intellettivo, cosicché bisogna astenersi non solo dai lavori feriali, ma anche dai pensieri ordinari, per occupare la mente nei pensieri che riguardano Dio e "amarlo con tutta la mente" (Mc 12,31). Anche il riposo non è fine a se stesso, non è puro vuoto, nirvana, ma semplice astensione dalla fatica ordinaria del lavoro, per poter godere in pienezza del lavoro stesso e dei suoi frutti, e godere fiduciosi dei beni del creato e dei beni sovraessenziali dell'Increato. ma per godere di tutto ciò è necessario astenersi, uscire dallo scorrere degli istanti che ci travolgono per salire oltre e vivere l'istante, fermarsi per passare dal cronos al kairos, dalla cronaca all'evento.
Marc Chagall, Amanti sopra San Paul de Vence (1971-72)

Come al Vestibolo segue il Santo, al riposo segue il Consacrare. Con tale azione qualcuno o qualcosa viene dedicato esclusivamente ad un fine particolare. Tale destinazione esclusiva lo mette da parte, dedicandolo al suo destino. Israele è il popolo scelto da Dio tra tutti i popoli perché riceva la sua rivelazione e sia la primizia tra i popoli; nel popolo che il Signore ha dichiarato “è il mio figlio primogenito” (Es 4,22), un ruolo peculiare lo rivestono i primogeniti, umani e animali, tutti consacrati al Signore e tutti da riscattare. Noi dobbiamo seguire l’esempio di Gesù nostro Signore, il quale nella notte in cui fu tradito, pregò per i suoi discepoli: “Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17,19). Gesù si consacrò per tutti quelli che credono in lui, tanto i presenti quanto quelli futuri, perché siano consacrati nella verità, la solida Roccia che rende l’uomo-polvere un credente. L’apostolo Paolo ricorda ai gentili la verità della fede umile: “chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere” (1Cor 10,12) ed anche il debito contratto con Israele: “Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te!” (Rom 11,18). L’apostolo, non solo esorta a non vantarsi contro Israele, chiama a testimoni della propria sincerità Cristo e lo Spirito Santo e dichiara solennemente: “Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Rom 9,3). Con questa dichiarazione d’amore per gli Ebrei, Saulo segue “la via nuova e vivente” inaugurata da Gesù nella sua carne (Eb 10,20) quando accettò di morire “giusto per gli ingiusti” (1Pt 3,18). Ciò lo riconobbe anche Caifa quando dichiarò: “è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo” (Gv 11,50); l’evangelista riconosce che Caifa non lo disse cinicamente da uomo di governo “ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione”(Gv 11,51). Tale via di sostituzione vicaria ha un illustre precedente in Mosè, quando fermò l’ira divina contro il popolo, il quale aveva appena sancito l’alleanza con il Signore e subito l’aveva anche tradita idolatrando il vitello d’oro, come sta scritto: “Ed egli li avrebbe sterminati, se Mosè, il suo eletto, non si fosse posto sulla breccia davanti a lui, per impedire alla sua collera di distruggerli” (Sal 106[105],23). Questo amore per il popolo della prima alleanza è il giusto ringraziamento per aver donato al mondo la salvezza di Gesù Cristo, come sta scritto: “La salvezza viene dai Giudei” (Gv 4,22) e ancora: “a causa della loro caduta la salvezza è giunta alle genti”(Rom 11,11), poiché "da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli" (Rom 9,5). Perciò è doveroso consacrarsi per Israele intercedendo in suo favore, affinché ricordando si converta e faccia ritorno al Signore suo Dio, come è scritto: “O Dio, fa che ritorniamo, fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (Sal 80[79],4). La memoria è la cifra spirituale d’Israele e sua missione divina. Il ricordo riguarda anzitutto le opere fatte da Dio in favore del suo popolo amato: le promesse fatte ai padri, l’elezione, le alleanze, le liberazioni dalle schiavitù per ricevere i doni della Legge e della terra e attendere il dono escatologico del Messia. Poi il ricordo riguarda anche i tradimenti d'Israele “popolo di dura cervice”, come tutti gli uomini peccatori. Il ricordo dei peccati non serve ad inchiodare Israele al fallimento, nemmeno in vista della sua sostituzione, negata dall'apostolo Paolo quando scrive: "Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! [...] Ora io dico: forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. [...] quanto alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei padri, infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rom 11,1.11.26). Ci si ricorda del proprio peccato solo per confidare in: "Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione" (Es 34, 6-7). 
Marc Chagall, Amanti vicino ad un ponte (1948)
 Infine, come il Santo introduce al Santo dei Santi, così la consacrazione introduce al Benedire. La benedizione è una parabola costituita da due archi. Il primo arco discendente e originario è la benedizione con cui Dio crea, redime e santifica il creato. Il secondo arco ascendente e responsoriale con cui l'umanità riconosce Dio come sorgente e lo ringrazia, confessa la bontà delle creature e delle azioni di Dio e condivide fraternamente i suoi doni. Il nome Debir ha la stessa radice di Davar: dalet-beth-resh. La Parola è l'elemento peculiare del Dio biblico e conseguentemente dell'uomo biblico. Il nostro Dio parla, parlando crea il mondo e agisce nella storia e ci parla come ai suoi amici; il creato è un mondo intelleggibile e gli uomini sono capaci di comprendere il linguaggio di Dio. Questo è il grande mistero della divino-umanità, ovvero della santificazione del Nome. Alla sequela di Gesù “figlio di Davide secondo la carne” (Rom 1,3) il settimo giorno è necessario benedire Dio per Israele e sul popolo della prima alleanza invocare la benedizione dell’Altissimo, com’è detto nei Salmi: “Sia pace su Israele” (Sal 125[124],5; 128[127],6) e dall’apostolo Paolo: “il desiderio del mio cuore e la mia preghiera salgono a Dio per la loro salvezza” (Rom 10,1). Israele è motivo di ringraziamento eterno a Dio per la sua mera esistenza che testimonia la grandezza e la bontà di Dio. Infatti, provengono da Israele e al popolo eletto appartengono per sempre l’umanità di Gesù, suo padre e sua madre, i discepoli e gli apostoli sui quali è edificata la Chiesa. Come recita l'inno apostolico: "Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo" (Ef 1,3). Perché è in Gesù, figlio d'Israele e Messia, che noi pagani abbiamo parte alla salvezza; il Nome santo di Gesù che dobbiamo benedire, Nome che significa Dio salva e nel quale perciò è santificato il Figlio insieme al Padre, santificazione possibile solo grazie allo Spirito Santo, nel quale non solo si dichiara: "Gesù è Signore" (1Cor 12,3), ma anche si grida: "Abba, Padre" (Rom 8,15). 

In conclusione le parole del profeta Amos: “Cercate il Signore e vivrete” (Am 5,6) riassumono compiutamente le cose buone da cercare. Il Deus absconditus e nessun altro è la meta finale cui il creato anela: “perché Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28).
Marc Chagall,  Amanti (1981)

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