domenica 30 dicembre 2012

Simone de Beauvoir, o del nascere asessuato

Recentemente Simone de Beauvoir ha conosciuto un inaspettato successo postumo.
Prima il Gran Rabbino di Francia, rav Gilles Bernheim, poi il Papa, sua santità Benedetto XVI, hanno citato una fra le sue affermazioni  più note: "On ne naît pas femme, on le devient", ovvero: "Donna non si nasce, lo si diventa". Queste parole affilate come rasoio recidono la radice che unisce le persone alla carne umana e le donne al corpo femminile, lasciando ciascuno in balia delle proprie fobie e cupidigie, venti di tempesta alternati alla bonaccia che dominano la nuda interiorità dell'anima.

Simone de Beauvoir (1908-86)

Ovviamente i due capi religiosi non si accodano a Simone-Lucie-Ernestine-Marie Bertrand de Beauvoir per approvare il suo slogan, uno slogan che qualunque contadina illetterata sa riconoscere come una sciocchezza. Una sciocchezza che purtroppo ha fatto molta strada e altrettanti danni, poche parole ripetute da molte bocche ossequiose divenute di gran moda, hanno plasmato l'opinione pubblica. Da slogan del femminismo più radicale è stato adottato dal movimento LGBT che ne ha fatto uno dei postulati delle sue lotte politiche.

Nel penultimo post ho scritto del cosiddetto matrimonio omosessuale, ove spero di aver spiegato razionalmente perché non ritengo possibile attribuire il nome di matrimonio alle coppie omosessuali e perché reputo che il nome di matrimonio sia di esclusiva pertinenza delle coppie formate da un uomo e da una donna (MUD = matrimonio uomo donna).

Nel frattempo sul Foglio si è svolto un breve dibattito a tre sul medesimo tema.
Sabato 15 dicembre dà inizio alle danze Giulio Meotti con un articolo-intervista al filosofo inglese Rogert Scruton: "E' tutta colpa di quei sibariti di Bloomsbury".

Risponde martedì18 Angelo Pezzana con il vaticinio: "Sulle nozze gay Scruton vincerà qualche battaglia, la guerra ormai no".
Il giorno seguente, mercoledì 19, interviene Giorgio Israel: "Caro Pezzana, ecco perché col matrimonio gay non si batte l'omofobia".

Infine, il 21 dicembre, Sandro Magister spara una doppia bordata alla ideologia gender (più che filosofia si tratta di una ideologia), con l'articolo: "Il papa e il rabbino contro la filosofia del "gender"" pubblicato sul suo sito Chiesa. La prima bordata è assestata dal saggio di Gilles Bernheim, Gran Rabbino di Francia: "Ce que l'on oublie souvent de dire", ovvero "Ciò che si dimentica sovente di dire". Pubblicato il 17 ottobre scorso è il suo autorevole contributo al dibattito pubblico che si sta svolgendo in Francia, un acceso dibattito innescato dal progetto di legge del governo socialista che vorrebbe introdurre il matrimonio gay; la legislazione francese  già riconosce con i PACS molteplici diritti alle coppie di fatto, sia etero che omosessuali.

Gilles Bernheim, Gran Rabbino di Francia

La seconda bordata è stata assestata da Benedetto XVI con il discorso tenuto in occasione degli auguri natalizi della Curia Romana. Uno dei temi principali del discorso papale è la critica della ideologia gender, il papa cita e loda il saggio scritto dal Gran Rabbino di Francia: "Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio [...]". Non è usuale che il capo della Chiesa Cattolica, ancorché erede del pescatore galileo Simon Pietro, in un suo intervento ufficiale non solo citi un Rabbino, ma pubblicamente lo lodi ed in qualche modo faccia proprio il suo pensiero.

Il saggio di Rav Bernheim si compone di due parti: nella prima analizza e vaglia criticamente gli argomenti dei favorevoli al riconoscimento legale del matrimonio omosessuale, nella seconda parte approfondisce le premesse sottese ai vari argomenti e riuscendo così a confrontare le due visioni del mondo. Egli identifica correttamente la vera posta in gioco: non "una tappa della lotta democratica contro l'ingiustizia e le discriminazioni", giudizio di uno che se ne intende di discriminazioni e quindi assolutamente affidabile e certo, bensì: "la negazione delle differenze sessuali" in nome di una ideologia antiumana.
Ma è nell'introduzione che Rav Bernheim da il meglio di sé. Egli rifiuta con mite decisione la scelta, fatta da alcuni responsabili religiosi, di autocensurarsi in nome dell'ideologia laicista di separazione tra lo Stato e le visioni del mondo dei cittadini sia religiose che non religiose, preferendo il principio anglosassone di laicità che accoglie nel dibattito pubblico tutte le voci, religiose e non, e afferma: "Ho sempre visto come un dovere l'impegno intellettuale nelle grandi scelte della storia e in primo luogo nelle grandi scelte del mio paese", poi aggiunge: "Il mio intervento è espressione riflessa della solidarietà che mi lega alla comunità nazionale di cui faccio parte".

Albert Durer, Adamo e Eva
In conclusione, in nome dell'umanesimo biblico e del senso comune, entrambi universali, affermiamo che la differenza sessuale inscritta nella coppia umana costituita dall'uomo e dalla donna è un dato con un fondamento naturale non una sovrastruttra culturale.

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