sabato 1 febbraio 2014

Contro Maradiaga

Il cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga SDB, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del C8 (la commissione di 8 Cardinali che consigliano papa Francesco sulla riforma della Curia Romana), ha rilasciato il 20 gennaio un'intervista esplosiva al quotidiano tedesco Kölner Stadt-Anzeiger, tradotta e pubblicata sul Il Foglio di giovedì 23 gennaio 2014.
Innanzitutto, perché proprio il Kölner Stadt-Anzeiger? Esso non è uno dei principali giornali tedeschi, ma semplicemente un quotidiano locale di Colonia. Forse questa scelta è stata dettata dal fatto che in seguito alle dimissioni per raggiunti limiti d'età del card. Meisner, arcivescovo di Colonia, il Capitolo cattedrale sta selezionando la terna dei candidati da inviare alla Santa Sede? Oppure per lisciare il pelo nel verso giusto alla economicamente potente Chiesa Cattolica tedesca da parte del presidente di Caritas Internationalis?


Condivido ben poco delle parole dette dal cardinal Maradiaga nell'intervista a KSA, tra le poche condivise, questa: "la chiesa non è semplicemente un'istituzione creata dall'uomo, ma è opera divina", infatti essa permane nei secoli nonostante gli uomini cui è stata affidata, quel clero del quale è membro eminente proprio il cardinale honduregno. L'entusiasta cardinale honduregno parla di una nuova era, ma intende soltanto mezzo secolo; ed io che credevo la durata delle ere fosse di milioni di anni o almeno di millenni. Inizio della nuova era è il Romano Pontefice regnante, simile a papa Giovanni XXIII: "quando spalancava le finestre della chiesa, per farvi entrare aria fresca". Spalancare le finestre è certamente necessario per arieggiare la casa. Dopo aver aperto le finestre è opportuno richiuderle, soprattutto a queste latitudini e nella stagione invernale, perché si fa presto a far buscare un raffreddore. Restando poi in ambito architettonico, credo che i pastori non debbano preoccuparsi della freschezza dell'aria dentro la chiesa, aprendo o chiudendo le sue finestre; la qualità dell'aria nella chiesa è affare di nostro Signore, mentre dovere di tutti i cristiani è ascoltarlo: "Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese". I pastori dovrebbero  preoccuparsi di portare il buon profumo di Cristo risorto nel mondo, fuori dalle sagrestie, dalle curie e dalle redazioni.

Ma guardiamo alle affermazioni che non condivido.
Il cardinale salesiano invoca: "Più cura pastorale che dottrina", rivelando un tratto autobiografico, infatti è diplomato in psicologia clinica e psicoterapia. Se fosse diplomato in scienze motorie, forse avrebbe detto più esercizi ginnici che spirituali. Ergo la soluzione è stendersi sul lettino dello psicanalista e farsi massaggiare l'anima dai soli esperti rimasti, dato che i preti hanno abdicato da anni alla cura d'anime, debbono fare ginnastica per: "seguire il mondo che cambia velocemente". Ognuno evidentemente sceglie chi seguire, forse anche i pastori dovrebbero chiedersi chi vogliono seguire, perché poi le pecore li seguono. A me sembra che la chiesa stia annegando per troppa cura pastorale e viceversa manchi l'annuncio franco della dottrina. Legge suprema della chiesa è la salus animarum, cioè la salvezza delle anime (CIC 1752). Cos’è la salvezza? Da che cosa dipende? Le lettere dell’apostolo Paolo sono istruttive, proprio in merito al rapporto tra dottrina e cura pastorale. Ad una prima parte dottrinale, nella quale l’apostolo annuncia il Vangelo della salvezza, la Verità salvifica della morte e resurrezione di Gesù, egli fa seguire una seconda parte parenetica che deriva e si regge interamente sulla prima parte dottrinale, dove tira delle conseguenze particolari e specifiche per la chiesa cui indirizza quella lettera. Quindi, la contrapposizione tra dottrina e pastorale è inconsistente, non solo umanamente ma anche apostolicamente e come scrisse l'apostolo delle genti: "Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole." (2Tim 4,3-4).

Ma ascoltiamo ancora le parole ispirate del cardinale Maradiaga sul confratello vescovo Muller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (non della pastorale, ma proprio della dottrina). L'intervistatore tedesco domanda: "Il suo confratello e futuro cardinale Gerhard Ludwig Müller, nonché prefetto della congregazione della Fede, sembra tenere maggiormente in considerazione l’autorità della chiesa." Il riferimento implicito è all'articolo di mons. Muller sull'indissolubilità del matrimonio pubblicato dall'Osservatore Romano il 23 ottobre 2013, ma originariamente scritto in tedesco e pubblicato da Die Tagespost il 15 giugno 2013.
Maradiaga: (ride) Ho letto. E ho pensato: “Potresti avere ragione, ma anche torto”. Voglio dire, lo capisco. E’ un tedesco, e per giunta un professore, un professore di Teologia tedesco. La sua mentalità concepisce solo il giusto e lo sbagliato. Basta. Io però rispondo: “Fratello mio, il mondo non è così. Dovresti essere un po’ più flessibile nell’ascoltare i punti di vista altrui. Così non finisci per ritrovarti a dire solo altolà, qui è il muro e oltre non si va”. Ma penso che ci arriverà anche lui.
Anch'io ho letto questa risposta e ho pensato: "Ma dove ha imparato a sragionare in modo siffatto". Come può pensare che qualcuno possa avere ragione e torto sullo stesso argomento? Se il tedesco professore di teologia ha ragione il matrimonio è indissolubile, se invece ha torto il matrimonio è dissolubile, ma non può avere ragione e torto contemporaneamente. Non è la mentalità tedesca che "concepisce solo il giusto e lo sbagliato" è il buon senso, il buon uso della ragione a concepirlo. In logica si chiama principio di non contraddizione. Che senso ha invitare ad essere più flessibile nell'ascoltare? Flessibilità e durezza non sono attributi idonei all'ascolto. L'orecchio è aperto all'ascolto oppure è chiuso, sordo. Forse il cardinale intendeva per ascolto ciò che segue, cioè l'adesione personale a ciò che si è udito. Ma in questo caso si cade dalla padella alla brace, perchè in campo di fede l'adesione personale va alla propria coscienza, cosa che reputo abbiano fatto sia l'honduregno cardinale nell'intervista che il tedesco professore nell'articolo. Inoltre perché l'argomento del contendere, l'indissolubilità matrimoniale, non sembra da bar sport dove le diverse opinioni e i differenti punti di vista hanno diritto di esprimersi e volare con la fantasia. Per motivi di coscienza san Giovanni Battista e san Thomas More ci rimisero la testa. Se fossero stati più flessibili nell'ascoltare le opinioni altrui avrebbero forse conservato la testa. Cosa glielo impedì? Non fu il dovere di essere fedeli alla propria coscienza, anche a costo della vita? Ebbero ragione o torto, giacché l'ipotesi del Maradiaga, che avessero ragione e torto, non può esistere?

Senza dubbio tutte le parole devono essere interpretate. Anche quelle di Gesù, il quale raramente parlò in  modo oscuro, più spesso chiaramente, come per esempio sul matrimonio. Il Nazareno riporta il matrimonio al progetto originario di Dio contro tutte le interpretazioni casuistiche dei rabbini. Basta leggere nel discorso della montagna l’antitesi dedicata al matrimonio indissolubile: “Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio [Es 20,14; Dt 5,18]. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: "Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio" [Dt 24,1]. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.” (Mt 5,27-32). Forse un elemento del contesto storico di queste parole di Gesù è la discussione tra rav Hillel e rav Shammai, due grandissimi rabbini vissuti nel periodo intertestamentario, sulle cause lecite di ripudio della moglie. Hillel è più flessibile rispetto a Shammai, un duro conservatore la cui mentalità è simile a quella del teologo tedesco, deriso dal cardinale honduregno. Salvo che Gesù è ancora più duro del già duro Shammai e del teologo tedesco la cui mentalità ristretta comprende solo il giusto e lo sbagliato, il vero e il falso. Dipende in che verso si legge, secondo Dio o contro? Questa alternativa secca è anche alla base di  una altra parola di Gesù sul matrimonio, nella quale rispondendo ad una tipica domanda rabbinica circa i motivi leciti per ripudiare la moglie, Gesù abroga il permesso mosaico del ripudio perché grazie a lui, Verbo incarnato di Dio, si può nuovamente risalire al progetto originario di Dio sulla coppia umana e soprattutto si può vincere la durezza del cuore, da Gesù identificata come la causa del permesso mosaico: “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: "È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?". Egli rispose: "Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto". Gli domandarono: "Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e di ripudiarla?". Rispose loro: "Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all'inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un'altra, commette adulterio".” (Mt 19,3-9). Certo tutto si può interpretare, ma ogni interpretazione deve partire e ritornare al testo che fa testo. Bisogna ricordare che proprio la caduta, il peccato originale, nasce dall’interpretazione fatta dal Tentatore delle parole di Dio e alla sua scuola interpretativa, dall’interpretazione fatta dalla donna delle stesse parole di Dio. Il demonio è Padre della menzogna perché inganna la donna mettendo sulla bocca del Creatore parole che Dio non ha detto; la donna ingannata, cerca di correggere il diavolo, ma scegliendolo come interlocutore, accetta le sue premesse interpretative, il suo adulterare le parole di Dio, adulterandole lei stessa. Ecco le vere parole dette da Dio all’uomo: “Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire".” (Gen 2,16-17). Il comando di Dio è che si possa mangiare di tutti gli alberi del giardino meno uno. Ecco invece le parole che il serpente pone sulla bocca di Dio e come le riferisce la donna: “Il serpente […] disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: "Non dovete mangiare di alcun albero del giardino"?". Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete"". (Gen 3,1-3). Il serpente subdolo chiede se sia vero il falso, cioè se Dio abbia vietato di mangiare di ogni albero, uno spiritualismo che rivela molto del demonio, antitetico al realismo buono di Dio creatore di tutto. La donna scioccamente risponde, accettando la provocazione demoniaca e cade nella trappola del più astuto di lei, cerca di correggere la troppo palese falsificazione diabolica delle parole divine, ma non resiste alla demoniaca tentazione di perfezionarle, aggiungendo un di più che storpia, il divieto non solo di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, ma anche di toccarlo, divieto che non ha origine divina ma umana.

Una malattia oftalmica inficia la visione della realtà sociale contemporanea e del magistero della chiesa. Non nego che ci siano numerosi fallimenti matrimoniali, ma da qui a dire che vi sono solo questi… Ci sono molti matrimoni che funzionano e penso che siano ancora la più parte. Come si può squalificarli facendo di tutta un’erba un fascio, dichiarando: “Quel genere di famiglia oggi non esiste quasi più”. Questa è una falsificazione della realtà uguale e contraria a quella che nega che ci siano problemi: questi ci sono da che mondo è mondo, ma non ci sono solo le difficoltà. Certo che si verificano incidenti automobilistici, ma nessuno si sogna di abolire le automobili, ne tantomeno di abrogare il codice della strada perché viene violato. Il cardinale parlando del "genere di famiglia che non esiste quasi più" si riferisce alla famiglia di cui ha scritto il beato Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio. Così facendo il cardinale Maradiaga confonde il Magistero del papa espresso nella Familiaris Consortio e nelle sue Catechesi sul matrimonio e sulla vocazione dell'amore sponsale, con l’attuale situazione sociale, per di più descritta con la lente pessimista dei fallimenti. Il Magistero indica una meta da raggiungere, per la quale vale la pena di combattere, a patto di volerlo. Sembra invece che una parte della chiesa abbia rinunciato alla sua vocazione alla santità, contravvenendo il magistero del Concilio Vaticano II che nella Lumen Gentium tratta dell'universale vocazione alla santità. Oppure, siccome sono passati già cinquant’anni dall'evento conciliare i suoi insegnamenti sono già superati?

Bisogna prendere sul serio il giudizio (in realtà un pregiudizio) espresso in queste parole del cardinale Maradiaga: “la sfida pastorale richiede risposte al passo coi tempi. Risposte che non possono più fondarsi sull’autoritarismo e il moralismo”. Sua Eminenza a cosa si riferisce? Forse negli ultimi cinquan’anni, dopo che il beato Giovanni XXIII spalancò le finestre della chiesa, vi sono state risposte della chiesa fondate sull’autoritarismo e sul moralismo? Ricordo un paio di episodi. Il trattamento riservato dal beato Giovanni XXIII a san Pio da Pietralcina non fu esempio di autoritarismo? Il trattamento riservato da ampie fette della chiesa a Paolo VI e al suo magistero papale in seguito alla sua ultima enciclica, l’Humanae Vitae, non è forse esempio di moralismo? Cos’è autoritaritario? La semplice esistenza di un’autorità? La dittatura dei desideri non è forse autoritaria? Anche la voce interiore della coscienza, quando imperiosa esige d’essere obbedita, lo è? La sciocca accusa di autoritarismo spesso ne cela uno peggiore e più subdolo che ottiene con la dolce persuasione la supina omologazione al pensiero dominante. Cos’è moralistico? La riduzione della ricca vita morale dell’uomo ai comandamenti? Dimentichiamo forse che i comandamenti sono il necessario corollario della libertà, senza i quali la libertà scade nel libertinismo delle élite e dei superuomini. Senza la prescrizione dei comandamenti morali che richiedono di fare o non fare qualcosa, la libertà non nasce e non si struttura, non cresce, ma rimane uno sterile e informe desiderio di felicità, senza però la capacità di esserlo. Senza questa giustizia la misericordia si riduce a giustificare il peccato, invece che a perdonare il peccatore. Questo è ciò che cercano gli adolescenti, ciò che esige il Potere mondano, è la vita della massa. Ma questo non è ciò che vuole Dio e nemmeno ciò che desidero per la mia vita e per quella dei miei cari.

Infine ecco la dichiarazione d’intenti del novello riformatore: “Ci sono molte cose che devono cambiare nella chiesa. […] Le strutture devono essere al servizio delle persone. E se il mondo cambia velocemente, le strutture ecclesiastiche, della curia, devono riuscire a stare al passo dei mutamenti”. Che squallida visione della chiesa, letteralmente ridotta ad una multinazionale, una pia ONG. I cambiamenti auspicati nella chiesa, ridotti a mero ricambio delle strutture. Ma la chiesa, insegna il Vaticano II e tutti i santi, non è le sue strutture, le curie e gli uffici pastorali che si sono moltiplicati a sproposito a tutti i livelli, dalla semplice parrocchia alla chiesa universale. Una burocrazia che si autoalimenta. La chiesa non è più il mistero dell’umanità nuova che ha origine nella santa Trinità, il popolo di Dio, il sacramento dell’unità tra Dio e l’umanità? Che fine han fatto tutte queste categorie teologiche ripescate dal Concilio del secolo scorso dal ricco patrimonio tradizionale della chiesa. Vogliamo veramente riformare la chiesa? Bisogna iniziare da sé, iniziando o rafforzando il proprio cammino di santità, giacché solo i santi hanno reso migliore e più credibile colei che è nostra madre. E di solito i santi non hanno preso a modello il mondo, lento o veloce che sia, ma il Vangelo. Aboliamo la maggior parte degli uffici pastorali, giacché non servono a molto, e liberiamo energie per essere cristiani e per evangelizzare. Guardate come nacque e come si conservò in vita la chiesa coreana: dei veri cristiani laici vissero la loro fede e per alcuni secoli la trasmisero, senza clero, senza pastorale, senza burocrazie ecclesiali.
Una riforma strutturale forse è possibile, ma non credo se ne parlerà. Riforma disciplinare pienamente fedele alla divina Rivelazione: permettere agli uomini sposati, i cosiddetti viri probati, di accedere al sacramento del ministero ordinato, non solo al grado del diaconato già possibile, ma per lo meno a quello del presbiterato. Le testimonianze scritturistiche a favore sono due. Innanzitutto la volontà di Gesù che scelse tra i suoi apostoli almeno un uomo sposato, Simone poi detto Pietro, altrimenti il Signore non avrebbe potuto guarire la suocera di Simon Pietro (cfr. Mc 1,30). Dove c’è una suocera, c’è una moglie. Dove c’è una moglie c’è un uomo sposato. Quindi la precisa indicazione dell’apostolo Paolo, il quale nella prima lettera a Timoteo elenca i criteri per scegliere tra i candidati all’episcopato: “Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia guidare bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi” (1Tim 3,2-4). Le due testimonianze bibliche sono confermate dalla prassi attuale della Chiesa Cattolica che in due casi limitati già ammette uomini sposati al sacerdozio ordinato. Si tratta delle Chiese cattoliche di rito greco e degli Ordinariati cattolici per le comunità anglicane. Già ci sono uomini sposati che sono sacerdoti cattolici ed esercitano lecitamente, si tratta soltanto di estendere questa facoltà anche alle chiese di rito latino. Non si tratta di permettere ai preti celibi di sposarsi, ma solo di concedere agli uomini sposati di diventare preti. Questo permetterebbe di valorizzare e l’istituto matrimoniale e il carisma divino del celibato, ora ridotto a legge umana ecclesiale.

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