venerdì 21 febbraio 2014

tra don Abbondio e fra Cristoforo

Ho letto con crescente disappunto la lettera di don Federico Pichetto sull’Appello a papa Francesco di Ferrara et alii. L’ho letta su Il Sussidiario e l’ho riletta su Il Foglio. Ecco le mie franche critiche alla lettera di don Federico Pichetto.

Prima di entrare nel merito una critica al metodo.
Non si è mai visto scrivere una lettera per giustificare la propria non adesione a un appello. Viviamo, ancora per poco, in una terra dei liberi, dove nessuno è obbligato a sottoscrivere qualcosa che non condivide, dove ciascuno è obbligato a seguire il sommo magistero della coscienza, dove nessuno è obbligato a giustificarsi perché non vuol fare qualcosa, semplicemente non la fa. Ma liberamente non aderire ad un appello e sbandierare ai quattro venti gli errori che si crede di vedere nella scelta altrettanto libera di aderirvi, significa giudicare negativamente le ragioni degli aderenti e gli aderenti stessi, mentre l’apostolo Paolo prescrive ai Romani: “Accogliete chi è debole nella fede, senza discuterne le opinioni” (Rom 14,1) e chiede a coloro che si considerano forti: “Chi sei tu, che giudichi un servo che non è tuo?” (Rom 14,4). La lettera di don Federico Pichetto è un’escusatio  non petita che rivela un senso di colpa nascosto, il “vorrei ma non vorrei” di Zerlina nel duetto Là ci darem la mano del Don Giovanni.
Anche don Federico avrebbe voluto sottoscrivere il nostro appello, ma non avendo il coraggio di farlo, ha trovato il coraggio di condannare chi un così piccolo coraggio l’ha avuto.


Ma entriamo nel merito.
La lettera di don Pichetto ha quella stessa natura reattiva che l'autore giudica negativa nell'appello e in generale. Ora, se don Pichetto reputa negativo reagire, perché lui stesso reagisce? Reagire è parte del vivere, solo i morti non reagiscono più a niente, mentre ai malati è necessario per guarire. Non si può non reagire, ma si deve scegliere come farlo. Gesù stesso nell’orto degli ulivi reagisce alla reazione di Simon Pietro rimproverandolo, nel Tempio Gesù reagì scacciando con violenza chi aveva trasformato la casa di preghiera in una spelonca di ladri, avrebbe dovuto tacere, limitandosi ad offrire se stesso? Per non dire della sue reazioni contro le città di Corazin, Betsaida e Cafarnao insensibili alla sua opera, contro gli ipocriti, contro coloro che scandalizzano i più piccoli.
Giotto, Cristo caccia i cambiavalute dal Tempio
Seconda contraddizione in cui cade don Federico riguarda la controffensiva. Secondo lui il primo errore dell’appello è “sostenere una controffensiva” e prosegue “Le controffensive le fanno i governi, le armate, le lobbies, non i cristiani”. A parte il fatto che la Santa Sede giudicata dal Comitato per i diritti del fanciullo delle Nazioni Unite rappresenta uno Stato firmatario di una Convenzione Internazionale, e solo in quanto tale è stata sputtanata, ed in quanto Stato con un Governo autorizzato ad una controffensiva. Ma torniamo a don Federico che prima afferma “i cristiani non fanno controffensive” contraddicendosi poco dopo dicendo “La più grande controffensiva di questa terra è l’Eucaristia”. Ma l’Eucaristia non la fanno proprio i cristiani ai quali sarebbe precluso fare controffensive?
Francesco Gonin, Don Radrigo e fra Cristoforo
La chiesa, al contrario di quel che ritiene don Pichetto, è un esercito ed è un partito.
È l’esercito dei cresimati agli ordini di Gesù nostro generale e i cristiani sono soldati di Cristo che indossano l’armatura di Dio: la cintura della verità, la corazza della giustizia, i calzari dell’evangelizzazione, lo scudo della fede, l’elmo della salvezza, la spada dello Spirito, per resistere alle insidie del diavolo (Ef 6,11-17). Per l’apostolo Paolo la battaglia della chiesa “non è contro la carne e il sangue”, cioè contro uomini e donne, “ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. Come ogni esercito non tutte le truppe sono obbedienti e coraggiose, talvolta ci sono soldati che disertano, più spesso sono gli ufficiali che abbandonano le truppe loro affidate, taluni pastori semplicemente fuggono perché pavidi, altri avidi si fanno lupi e mercenari. Non tutti sono come fra Cristoforo, ci sono anche tanti don Abbondio ed il coraggio, osserva Manzoni, "o uno ce l’ha o non se lo può dare".
La chiesa è un partito, è solo una parte, non è il tutto. Non è il mondo dal quale è scelta, non è il mondo al quale è inviata; non è il Regno di Dio del quale è testimone, non è il Regno dei Cieli al quale anela. La chiesa è una parte, non è il tutto, soprattutto dopo il secolo dei totalitarismi che continuano nell’ideologia gender. Ma la chiesa è un partito sui generis, un partito che non può costituzionalmente accettare alcun totalitarismo, ne quello imperiale antico e contemporaneo, ne quelli ideologici altrettanto idolatrici. Questo perché è cattolica non secondo il mondo e il principe di questo mondo, ma secondo Dio, quel Dio rivelato da Gesù Cristo che è la misura della chiesa e della sua cattolicità.
Francesco Gonin, Fra Cristoforo
Il pensiero totalitario è una tentazione che si infiltra nella chiesa, come quando don Pichetto scrive che “possiede una certezza”. Una volta la certezza posseduta era qualificata come la verità, oggi è aggiornata come stare dalla parte giusta. Ma il cristiano non possiede alcuna certezza, ma è posseduto da un solo Signore, è discepolo, è stato scelto da Cristo, non l’ha scelto. Chi può scegliere di seguire Gesù, il Messia crocifisso? Nessuno, né gli apostoli, né Maria sua madre, semplicemente perché siamo dei chiamati e solo così trovo la forza di prendere la mia croce e di seguire il Maestro, perché Gesù mi ha scelto, me lo chiede e chiedendomelo mi dà la forza.
Infine basta con l’apologia dell’autenticità e del silenzio.
L’unico silenzio che merita rispetto è quello dell’innocente, il cui silenzio per altro è eloquente se qualcuno lo ascolta. Ma il silenzio odierno è più spesso mutismo colpevole e vigliacco, è tacere quando si dovrebbe parlare, è girare il capo dall’altra parte per non vedere l’uomo ferito, per non udire le sue grida d’aiuto. Per questo siamo una società così rumorosa, per coprire coi nostri strepiti le voci, in primis la voce della nostra coscienza che come ci approva quando facciamo il bene così ci condanna quando facciamo il male, poi le voci degli ultimi, le voci dei migranti lontani che periscono nel canale di Sicilia, le voci dei migranti vicini che bussano alle nostre porte, le voci più flebili dei bambini non ancora nati.
Francesco Gonin, Don Abbondio

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