sabato 9 aprile 2011

Quaresima 5. Metamorfosi dello spirito: credere che Dio l'ha mandato

Quinta domenica di Quaresima, anno A
Ez 37,12-14 * Sal 129 * Rom 8,8-11 * Gv 11,1-45

   La metamorfosi del creato innescata dalla Trasfigurazione di Gesù (II^domenica), dopo aver coinvolto distintamente il corpo (III^domenica) e l'anima (IV^ domenica) della creatura umana, coinvolge infine il suo spirito creato che simultaneamente è il terzo elemento costitutivo dell'uomo e l'unità del corpo materiale e dell'anima spirituale appartenenti all'unica persona, unità che la diabolica morte scioglie e scioglierà e che la divina Resurrezione ricompone e ricomporrà.

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1608-09
   Il Caravaggio ha raffigurato l'ultimo atto della resurrezione di Lazzaro, dopo che la voce del comando divino del Cristo, penetrata nell'oscurità maledorante del sepolcro, ha operato il miracolo e Lazzaro è appena uscito dalla grotta. Il Redentore ordina con un potente eppure misurato gesto della mano destra, di liberarlo dalle bende che tenevano legate mani e piedi di Lazzaro, essendo già caduto a terra il sudario che avvolgeva il suo volto. Un teschio frantumato, simbolo della morte ormai sconfitta, giace sotto la mano sinistra di Lazzaro colta mentre si rianima dall'abbandono cadaverico. La destra di Lazzaro, in esatta corrispondenza della destra del Salvatore, s'eleva repentina e decisa a proteggersi dall'eccesso di Luce che a fiotti penetra nelle tenebre sepolcrali e sommerge i testimoni del miracolo con la sua sorprendente evidenza. Luce proveniente da Gesù e da oltre, dal Padre che attraverso il Figlio suo opera. Luce che plasma con la sua densa e liquida vitalità tutta la scena, dalle spalle di Gesù si rifrange sui volti attoniti dei testimoni  e sulle loro membra mortali, fino al corpo risuscitato di Lazzaro. Splendida raffigurazione dell'antichissima antifona liturgica trasmessaci dalla lettera paolina agli Efesini e ascoltata domenica scorsa: "Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà" (Ef 5,14).
  
   Nella prima lettura Dio ripete due volte la stessa promessa: una prima volta i verbi sono al presente (apro, faccio uscire, riconduco); essi si riferiscono alla precisa situazione storica del popolo di Dio esule in Babilonia, al quale il profeta Ezechiele annuncia l'intervento salvifico di Dio che si realizzò attraverso Ciro re dei persiani. Nella ripetizione della promessa divina i verbi compaiono al futuro (voi riconoscerete, io aprirò, farò uscire, farò entrare, voi rivivrete, io farò riposare, voi saprete); con il passaggio dal presente/passato al futuro la promessa perde precisione storica e diventa ambigua; l'ambiguità è necessaria per restare aperta sul futuro e poter significare più cose insieme:
  1. l'imminente liberazione dall'esilio babilonese, ma al tempo della profezia ancora futura, liberazione soprattutto politica, ma non solo
  2. il perdono dei peccati, causa ultima della schiavitù, perdono che genera il timore di Dio (esso non è la paura provata da Adamo dopo il peccato, ma la fiducia in Dio generata dal suo perdono)
  3. la risurrezione di alcuni morti, fin quando nella pienezza dei tempi Dio risuscitò Gesù dai morti costituendolo Vita eterna per chi crede in lui, "causa di salvezza" secondo la lettera agli Ebrei
   La divina Liturgia ci istruisce, mostrandoci qual'è la radice ultima della triste condizione umana dei mortali, il peccato è la causa prima della morte spirituale e poi di quella corporea. Anche circa la risurrezione la Liturgia ci istruisce, mostrandoci che essa inizia già ora col perdono dei peccati che realmente risuscita l'anima dalla morte spirituale, senza esonerarci dalla pena della morte fisica; la risurrezione sarà compiuta solo alla fine del mondo quando anche la carne, sottoposta suo malgrado alla morte per i peccati commessi dall'anima, risorgerà manifestando così nuovamente e per sempre l'unità della persona umana, quando lo spirito creato proprio dell'uomo sarà unito allo Spirito increato di Dio: "farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete" (Ez 37,14), promessa confermata dall'apostolo Paolo che ai Romani scrive: "E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Cristo dai morti, abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" (Rom 8,11).
   Quando Gesù ritorna in Giudea a casa di Lazzaro, Marta e Maria, trova il suo amico sepolto già da quattro giorni; Marta confessa con Gesù la fede ebraica tradizionale nella risurrezione finale, confessione che offre a  Gesù l'opportunità di presentare la sua novità fondata sul depositum fidei ebraico: "Io sono la risurrezione e la vita" (Gv 11,25). Cristo è la resurrezione perché è la vita. Prima viene la risurrezione, non perché essa sia prima della vita, ma perché Colui che è la Vita sta parlando con uomini peccatori che a causa del loro peccato sono diventati mortali. Gesù Verbo incarnato è anzitutto la Vita, il prologo giovanneo dice: "In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" (Gv 1,4).
   In principio: "Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vita e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male" (Gen 2,9). Il comando dato da Dio all'uomo, costituisce l'uomo nella sua più alta dignità, quale interlocutore di Dio, suo vicario nel mondo e responsabile del creato, creatura libera perché ragionevole. Quel comando si compone di un ordine positivo molto ampio: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino" (Gen 2,16) e di un piccolo ma decisivo divieto: "ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare" (Gen 2,17); questa composizione del comando di Dio smentisce l'immagine torva di un Dio che sommerge l'uomo di prescrizioni e divieti, per restituirci il Dio vivo e vero che come una madre premurosa tutto dona ai figli perché vivano nella grazia sovrabbondante e come un padre prudente pone un solo decisivo limite affinché i figli non muoiano.
Profeticamente l'albero annuncia la sua Croce salvifica dalla quale Egli dona la Vita per il mondo, sulla quale morì per distruggere tutti i peccati e donare nuovamente la vita ai morti e ai peccatori morenti. Cosa che avviene per la sua obbedienza con la quale ha corretto, assorbito e vinto la disobbedienza di Adamo.
   Per fortuna la storia non si interrompe quì, ma Gesù ha detto e ripetuto: "chi crede in me, anche se muore, vivrà e chi vive e crede in me, non morirà in eterno" (Gv 11,25). Tutto il racconto della risurrezione di Lazzaro è costruito sul verbo "credere in". Ai discepoli che lo fraintendono, dice: "sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate" (Gv 11,15). A Marta, dopo averle rivelato la propria novità rispetto al depositum fidei ebraico: "Io sono la risurrezione e la vita", chiede: "Credi questo?", provocandola all'adesione di fede: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo" (Gv 11,25-27). Infine, davanti al sepolcro aperto di Lazzaro che realizza la profezia di Ezechiele: "aprirò i vostri sepolcri" (Ez 37,13), prima di gridare il comando divino: "Lazzaro, vieni fuori" operando il miracolo, Gesù si rivolge al Padre per ringraziarlo - momento colto dal Porta Salviati - e spiegare il motivo di tutto, della malattia di Lazzaro, del suo intenzionale rimanere nel luogo dove la notizia della malattia l'aveva raggiunto, delle sue lacrime di commozione davanti al sepolcro dell'uomo suo amico e del dolore delle sorelle dell'amico: "perché credano che tu mi hai mandato" (Gv 11,42) e molti dei Giudei credettero in Lui. Segno che ciascuno, nelle diverse situazioni personali può credere, dato che la fede di ognuno può crescere, aumentare, perfezionarsi.

Giuseppe Porta detto il Salviati, Resurrezione di Lazzaro, 1540-45
   La metamorfosi dello spirito dell'uomo avviene nella confessione di Gesù: "Gesù allora alzò gli occhi e disse: <Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perchè credano che tu mi hai mandato>" (Gv 11,42-43) confessione raffigurata da Giuseppe Salviati. Al centro della scena si staglia il Salvatore che con morbido movimento delle membra, sottolineato dal braccio destro levato accompagnato dal volto rivolto a Dio, domina la composizione con calma regale, resa più evidente dalla confusione che regna sovrana tra i testimoni per la sopresa del miracolo già avvenuto. Attraverso la confessione di Gesù lo spirito dell'uomo peccatore e perciò mortale, apprende e riceve la virtù soprannaturale della Grazia, viene trasformata la naturale paura del colpevole di fronte all'innocente in fiducia, come dice il Salmo odierno: "presso di te è il perdono che infonde il tuo timore" (Sal 130,4). Il timore di Dio è principio di sapienza, solo la scorza del timor di Dio è paura, terrore panico di fronte al rivelarsi del Santo, la polpa del timore è la fiducia filiale. Così per i peccatori la confessione che opera la metamorfosi del loro spirito è sempre confessione della propria miseria e della misericordia di Dio, è credere che Dio ha mandato Gesù.

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