venerdì 22 aprile 2011

Triduo Pasquale 1. Venerdì santo

   Nel primo giorno del Triduo pasquale la Chiesa celebra la passione e morte di Gesù attraverso due celebrazioni distinte ed unite:
  1. la messa in Coena Domini
  2. la Passione del Signore
Michelangelo, Cristo nudo (1495)

   "A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto, cioè
che Gesù è morto per i nostri peccati secondo le Scritture" (1Cor 15,3).

   Questo è il primo articolo di fede ricevuto dall'apostolo Paolo e da lui trasmesso nella medesima forma in cui l'ha ricevuto. Questo è l'oggetto teologico del primo giorno del Triduo, oggetto celebrato nei due momenti. Il fatto storico della morte in croce di Gesù é la pietra d'inciampo universale, rifiutato sia dai giudei che dai greci perché mette in crisi le rispettive immagini di Dio (cfr. 1Cor 1,22-25), viene interpretato grazie a due chiavi di lettura:
  1. per i nostri peccati
  2. secondo le Scritture
   I peccati dell'umanità sono la causa efficiente della croce di Gesù, non la causa finale che è l'amore di Dio Padre per il mondo (cfr. Gv 3,16) e che il Figlio suo accetta di testimoniare sino alla fine (cfr. Gv 13,1). Il peccato del mondo è trasferito dai peccatori, incapaci di liberarsene, all'unico giusto capace di liberarcene, discernendo in ciascun peccatore l'uomo creato a sua immagine dai suoi peccati.
   Le Scritture rivelano che la morte di Gesù in croce avvenne secondo il pensiero di Dio (cfr. Mc 8,33), cosa di per sé difficile da accettare perfino ai suoi discepoli (cfr. Lc 24,19-21). Nella morte in croce del Figlio dell'uomo si realizza la volontà salvifica universale. Ciò che Adamo non riesce a fare, lo realizzò Gesù aprendo così la via di salvezza nella sua carne, grazie alla quale ha perfettamente obbedito al Padre, diventando causa di salvezza eterna per tutti ed esempio da seguire.
   La stessa articolazione tra fatto storico della morte di Gesù e sua interpretazione salvifica è utile per comprendere la stretta relazione tra le due celebrazioni di questo primo giorno del Triduo pasquale:
  1. la messa in Coena Domini è focalizzata sull'interpretazione che Gesù stesso ha consegnato della sua morte imminente come servizio e lavacro
  2. la Passione del Signore è focalizzata sul fatto storico della morte in croce di Gesù
   Tale distinzione tra interpretazione e fatto storico non è rigida ma puramente indicativa. Infatti la Coena Domini non si riduce alla sola interpretazione di Gesù della sua morte imminente, ma consegna pure il triplice memoriale di quel fatto storico: l'Eucaristia, il ministero sacerdotale, il comandamento nuovo dell'amore. Così la Passione del Signore non si riduce alla sola cronaca del fatto storico, ma trasmette anche la sua autentica interpretazione confermata da Gesù e dalle Scritture (Is 53; Sal 22) e che la Chiesa attua nel tempo con la Preghiera universale. Tale Preghiera universale prosegue lungo la storia la preghiera di Gesù (Mc 15; Gv 17), preghiera di Gesù e della Chiesa che ha il suo culmine nel memoriale della pasqua di Gesù (morte e resurrezione) la liturgia Eucaristica.

Otranto, Chiesa di san Pietro (XI sec.)

Messa in Coena Domini
Es 12,1-8.11-14 * Sal 115 * 1Cor 11,23-26 * Gv 13,1-15
   La prima lettura ci presenta il rito pasquale dell'agnello. Nella notte in cui lo sterminatore attraversò la terra d'Egitto per uccidere tutti primogeniti, da quello del faraone al primogenito dello schiavo e del bestiame, passò oltre le case degli israeliti perché segnate col sangue dell'agnello immolato, arrostito ed in fretta consumato. Per l'evangelista Giovanni l'agnello pasquale è Gesù, immolato nell'ora in cui venivano sacrificati gli agnelli pasquali e al quale non venne spezzato alcun osso (cfr. Gv 19,14.33.36), come dichiarò il Battista Gesù è veramente: "l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo" (Gv 1,29.36).
   Nella seconda lettura l'apostolo Paolo trasmette ciò che egli stesso ha ricevuto dal Signore riguardo all'ultima cena. Il comando: "fate questo in memoria di me" ripetuto sul pane e sul calice (1Cor 11,24-25) unisce gesti e parole compiute dal Signore a gesti e parole fatte in sua memoria dai suoi discepoli. Quindi l'apostolo dichiara che tali gesti e parole annunciano la morte del Signore. La morte del Signore non è il ricordo triste di una giovane vita violentemente ed ingiustamente troncata, ma è l'annuncio dell'amore illimitato di Dio per noi (Rom 8,32.34); non è un ricordo che passivamente s'imprime nella nostra memoria, ma è l'annuncio che Dio è per noi: "Egli, non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?" (Rom 8,32).


   Il Vangelo della lavanda dei piedi illustra compiutamente il significato che Gesù stesso ha dato alla sua morte imminente. Una morte accolta e forse provocata, sicuramente muore libero e consapevole come dichiara nella preghiera del Getsemani: "Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà" (Mt 26,42). Una morte che conferma il suo amore "perfetto, integro, compiuto, al quale non manca nulla", essendo questo il significato di "li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Amore folle che compie un gesto sconveniente per l'uomo libero e persino allo schiavo, a maggior ragione sconveniente per il Signore ed il Maestro, gesto d'amore che sovverte tutti i criteri di giudizio e che giustamente provoca la spontanea ribellione di Simon Pietro: "Tu non mi laverai i piedi in eterno" (Gv 13,8). Eppure Colui che venuto nel mondo per servire e non per essere servito (cfr. Mc 10,45) è il Signore e non teme di lavare i piedi ai suoi discepoli, compie l'umile atto d'amore che non teme di abbassarsi rispetto all'amato, gesto che nei Vangeli compiono solo due donne: la peccatrice nella casa di Simone il fariseo (Lc 7,38) e Maria di Lazzaro (Gv 12,3). Quanto è grande l'amore di Dio per l'uomo! Amore che si sostanzia nella divina Eucaristia, corpo crocifisso e sangue versato per diventare alimento necessario alla volontà redenta dei peccatori che umilmente mangiano quel corpo e indegnamente bevono al calice e poter amare, secondo il comandamento nuovo, come da Lui sono amati.

Matthias Grunewald, Pala dell'Altare d'Issenheim (1512-16)


Passione del Signore
Is 52,13-53,12 * Sal 22 * Eb 4,14-16; 5,7-9 * Gv 18,1-19,42
   I due brani del Primo Testamento, la prima lettura presa dal profeta Isaia ed il Salmo 22, sono la chiave  per accedere alla croce di Gesù. I lunghi secoli di cristianesimo ci hanno abituato al Cristo crocifisso, perdendo la scandalosa novità della sua morte in croce che la rendeva indigeribile agli uomini del mondo antico. La morte di Cristo in croce era incomprensibile non solo per i Giudei e per i Greci, come scrive san Paolo ai Corinzi (1Cor 1,17ss), ma anche per i suoi discepoli, sia prima che avvenisse quando Gesù profetizzava la propria morte (cfr. Mc 8,32-33), sia dopo la sua morte che li aveva resi tristi perché le loro umane speranze di riscatto erano state deluse (cfr. Lc 24,17.21). La Chiesa apostolica ha iniziato a comprendere la necessità della croce solo grazie allo Spirito Santo, Colui che pensa secondo Dio (cfr. Mt 16,23, 1Cor 2,10-11). Lo Spirito Santo prosegue la spiegazione di tali cose iniziata dal Signore Risorto con il rimprovero sulla strada di Emmaus: "Stolti e lenti di cuore nel credere in tutto ciò che hanno detto i profeti. Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24,25-26). La stoltezza rallenta la naturale facoltà del cuore a credere, allora la diffidenza prende il posto della fiducia, la paura sostituisce la gioia. Ecco  perciò la misteriosa figura del Servo sofferente di Dio, il profeta Isaia lo descrive nel suo quarto carme e Davide nel Salmo 22 raccoglie e trasmette il suo grido. Grazie al Servo sofferente testimoniato dalle Scritture d'Israele, la passione e morte di Gesù diventano comprensibili, nonostante ciò che ha sofferto da parte degli uomini e da parte di Dio, il suo Servo ha custodito la sua fiducia in Dio, come sta scritto: "Non stare lontano da me, perché l'angoscia è vicina e non c'è chi mi aiuti [...] Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto" (Sal 22,12.20).
   La seconda lettura è doppiamente rivolta agli uomini. Come ogni lettura essa è rivolta agli uditori; ma lo è in particolare perché mette in luce il rapporto di causa - effetto tra ciò che è accaduto a Gesù e ciò che può accadere agli uomini. Presenta Gesù come: "Sommo Sacerdote grande", grande perché: "è passato attraverso i cieli" (Eb 4,14). Ciò fa riferimento a due eventi della vita di Gesù, con cui è stato innalzato fin dentro il Santuario celeste: la morte e l'ascensione. Ma ciò fa anche riferimento al Sommo Sacerdote aronnitico che una sola volta all'anno, il giorno dell'Espiazione (yom Kippur), entrava nel Santo dei Santi con il sangue del capro per aspergere il coperchio dell'Arca (Chapporret = espiatorio) e pronunciare il Nome sacro di Dio per ottenere ad Israele il perdono dei peccati. Il rito antico giunge a compimento nella morte di Gesù, l'agnello che toglie il peccato del mondo, versando il proprio sangue in espiazione di tutti i peccati e diventando: "causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5,9). La salvezza procurata dall'obbedienza di Gesù ha come effetto la fiducia: Dio ha avuto misericordia di noi quindi possiamo, anzi, dobbiamo accostarci a Dio senza più quella paura tipica dello stato adamitico, la paura del colpevole, ma con la piena fiducia tipica dello stato filiale che Gesù ci ha aperto.

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