giovedì 21 aprile 2011

Triduo Pasquale. Alcune premesse

       Il Triduo pasquale è il centro dell'anno liturgico, ove sono celebrati i misteri fondamentali della fede cristiana: la passione e la morte in croce, la sepoltura e la discesa agli inferi, la resurrezione di Gesù, misteri fondamentali perché rivelano e consegnano compiutamente il mistero dell'amore di Dio per il mondo, amore che genera i nuovi cristiani e rigenera quelli invecchiati.


       Eppure, nonostante la sua importanza capitale, proprio il Triduo pasquale è spesso misconosciuto e frainteso: misconosciuto nella sua unità, frainteso nella sua pluralità. L'unità del Triduo pasquale è innanzitutto teologica, infatti la fede cristiana si fonda essenzialmente sulla congiunzione che unisce la morte di Gesù Cristo alla sua resurrezione: "Cristo morì per i nostri peccati secondo la Scrittura e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo la Scrittura" (1Cor 15,3-4). Il cristianesimo sta o cade su tale "e", brevissima congiunzione che esclude due tentazioni uguali e contrarie: il dolorismo della croce senza resurrezione, il felicismo della resurrezione senza la croce.
       Tale unità teologica dei misteri celebrati dal Triduo pasquale si riflette nell'unità liturgica delle celebrazioni, le quali sono distinte solo apparentemente, ad uno sguardo distratto e superficiale, ma in realtà sono una sola ed unica celebrazione distesa lungo i tre giorni del Triduo: il venerdì santo, il sabato santo e la domenica santa. Infatti, la Messa nella cena del Signore non ha congedo, compiuta la reposizione della santissima Eucaristia in una cappella, dopo alcuni istanti di adorazione silenziosa, i ministri tornano in sagrestia e l'assemblea lentamente si scioglie. La messa in Coena Domini prosegue nella successiva celebrazione della Passione del Signore che pure non ha congedo; la Passione del Signore non è una santa messa perché non vi è consacrazione eucaristica, ma semplice distribuzione dell'Eucaristia, consacrata in sovrabbondanza nella messa senza congedo, per attraversare il giorno silenzioso e aliturgico del Sabato santo e concludersi con la Veglia pasquale che inaugura l'ottavo giorno. La Veglia pasquale da un lato conclude la celebrazione della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo che ha avuto inizio con la Messa in Coena Domini e dall'altro lato dà inizio al tempo nuovo, inizio escatologico dell'eternità nella storia, l'ottavo giorno.
       Abbiamo così tre giorni e tre celebrazioni. Sembrerebbe logico attribuire ciascuna celebrazione ad un giorno del Triduo:  la messa in Coena Domini al giovedì, la Passione del Signore al venerdì, la Veglia pasquale al sabato. Ma questa soluzione di apparente buon senso, in verità sovverte la natura del Triduo pasquale "venerdì - sabato - domenica", contraddicendo due indicazioni chiarissime del Messale Romano che per la Passione del Signore prescrive: "In questo giorno e nel seguente, la Chiesa, per antichissima tradizione non celebra l'Eucaristia" (MR p. 145) e per il giorno seguente: "Il Sabato santo, la Chiesa, sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e morte, astenendosi dal celebrare il sacrificio della Messa (la mensa resta senza tovaglia e ornamenti) fino alla solenne Veglia o attesa notturna della risurrezione" (MR p. 160).
       Questa prescrizione sancisce la natura propria del Sabato santo, il giorno più incompreso del Triduo pasquale. Il Sabato santo ha per oggetto il mistero della sepoltura del corpo di Gesù e della sua discesa agli inferi. Mistero che sottrae alla Chiesa e al mondo il Salvatore e ne certifica l'indisponibilità. Gesù ha profeticamente alluso al giorno in cui non sarà disponibile, nell'apologia dei suoi discepoli che in sua presenza non digiunano, ma lo faranno quando: "lo sposo sarà loro tolto" (Mc 2,20) e nell'apologia di Maria sorella di Lazzaro perché cosparse i piedi di Gesù con trecento grammi di nardo puro: "I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avrete me" (Gv 12,8). Per tale motivo nel giorno del Sabato santo l'Eucaristia non può essere né celebrata né distribuita se non come viatico ai morenti.

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