lunedì 4 aprile 2011

Quaresima 4. Metamorfosi dell'anima: concedimi di vedere i miei peccati

Quarta domenica di Quaresima, anno A
1Sam 16,1.4.6-7.10-13 * Sal 22 * Ef 5,8-14 * Gv 9,1-41


    La metamorfosi somministrata domenica scorsa è materica, riguarda la dimensione fisico-carnale dell'uomo: il cuore di pietra viene trasformato dall'incontro con Gesù in una sorgente d'acqua viva zampillante per la vita eterna. La metamorfosi somministrata questa domenica, viceversa, è spirituale, riguarda la dimensione psichica dell'uomo: le facoltà spirituali dell'intelletto e della volontà con cui l'uomo conosce, giudica e sceglie. Tale metamorfosi dell'anima e delle sue potenze avviene anch'essa attraverso il corpo, mediante l'applicazione del fango di Gesù sugli occhi ed il successivo lavacro nell'acqua sulla parola di Gesù, ma non può prescindere dalla libertà umana che può essere liberata solo se liberamente lo vuole. Come dicono i Padri: Dio può tutto, tranne che obbligare l'uomo ad amarlo.

Guarigione del cieco nato, Codice Purpureo di Rossano (VI sec.)

    Nella prima lettura Dio rivela a Samuele il proprio modo di giudicare e chiede al giudice e profeta di adeguarsi: "Non guardare al suo aspetto [...] io non guardo a ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda all'apparenza, io guardo il cuore" (1Re 16,7). Certamente Dio sa guardare il cuore e le sue profondità (colletta), ma l'uomo ha questa conoscenza interiore? L'ha avuta, infatti sta scritto che Dio, dopo aver creato gli animali: "li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati [...] quello doveva essere il suo nome" (Gen 2,19). Adamo, cioè ogni uomo, dà il nome alle creature mostrando di avere la capacità di conoscere le loro essenze, esprimendole col nome adeguato a ciascuna creatura. Questa capacità intellettiva dell'uomo grazie alla quale anche la creatura umana è capace di guardare il cuore, è gravemente ridotta dal peccato. Il serpente associa la conoscenza del bene e del male al frutto proibito, falsamente perché il discernimento del bene e del male non è magicamente contenuto in un frutto esteriore all'uomo, ma è intrinseco alla libertà che Dio gli conferisce creandolo, come spiega Gesù: "Non ciò che entra nella bocca rende impuro l'uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l'uomo" (Mt 15,11). Ingannata, la donna crede che la conoscenza, da cui scaturisce la sua libertà, sia fuori di lei, nel frutto che le appare: "buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza" (Gen 3,6). Quel frutto proibito, una volta mangiato ha ben altri effetti, tutt'altro che positivi: "si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi" (Gen 3,7). I loro occhi s'aprirono come quelli dei ciechi, ma videro solo la propria nudità provandone vergogna, quella nudità che prima del peccato era vissuta nell'innocenza (Gen 2,25), diventa ora motivo di vergogna e di paura, perché all'innocenza è subentrata la voracità e la ferocia che portano a nascondersi tra gli alberi del giardino (Gen 3,8-10). Ecco come avviene che i vedenti siano in verità ciechi, spesso s'illudono di vedere, tutt'al più vedono, come rivela Dio a Samuele, le apparenze. Ecco la necessità e la somma utilità di un cieco nato: "Perché in lui siano manifestate le opere di Dio" (Gv 9,3) e poter rimuovere dal peccato, se lo vogliono, coloro che credono di vedere e sono ciechi.

Duccio di Buoninsegna, Maestà Predella, Guarigione del cieco nato (1311)
     I Vangeli narrano più miracoli in cui Gesù guarisce dei ciechi: Bartimeo cieco di Gerico (Mt 20,29-34; Mc 10,46-34; Lc 18,35-43), il cieco di Betsaida (Mc 8,22-26), l'indemoniato cieco e muto (Mt 12,22) e Giovanni porta alla perfezione questo segno nel brano evangelico del cieco nato (Gv 9,1-41). Sviluppa il suo racconto in sette piccoli dialoghi, ciascuno caratterizzato da alcune domande, talune ripetute più volte, che interrogano sul mistero dell'esistenza umana e sul mistero di Gesù:
  1. i suoi discepoli e Gesù (Gv 9,1-7)
  2.    i suoi vicini ed il cieco nato (Gv 9,8-12)
  3.       i farisei ed il cieco nato (Gv 9,13-17)
  4.          i giudei ed i suoi genitori (Gv 9,18-23)
  5.       i giudei e il cieco nato  (Gv 9,24-34)
  6.    Gesù e il cieco nato (Gv 9,35-38)
  7. Gesù e alcuni farisei (Gv 9,39-41)
Forse si potrebbe scorgere una struttura a chiasmo dei sette dialoghi, facente perno sul quarto tra i giudei e i genitori del cieco nato, l'unico dialogo in cui nessuno dei due interlocutori crede in Gesù, ovvero vede la Luce del mondo, dialogo tra ciechi che credono di vedere e sono immersi nelle tenebre, ma dove paradossalmente compare il riconoscimento di Gesù come il Cristo, seppure in negativo quale causa di espulsione dalla Sinagoga.


    Una domanda in particolare funge da filo di Arianna del racconto: chi ha peccato?
Ha peccato colui che è nato cieco, o i suoi genitori? Gesù respinge questa ipotesi della retribuzione che corrisponde all'idea indiana del karma e delle molteplici reincarnazioni necessarie per purgarsi da esso: né il cieco nato, né i suoi genitori sono i colpevoli per la sua cecità. Ha forse peccato Gesù, avendo violato il Sabato impastando del fango e spalmandolo sugli occhi del cieco? Se Gesù fosse solo un uomo forse  sarebbe un peccatore come noi tutti, secondo un'interpretazione rabbinica della Legge viola insistentemente il sacro precetto del Sabato. Ma Gesù non è solo un uomo, è anche il Verbo di Dio che si compiace di salvare l'uomo proprio in giorno di Sabato, essendo lui stesso il Sabato, il compimento di ciò che quel giorno significa, conservazione e giudizio del mondo: "Il Padre mio agisce anche ora (di Sabato) e anch'io agisco" (Gv 5,17), parole dette dopo la guarigione del paralitico alla piscina della porta Betzatà, simili a quelle dette prima della guarigione del cieco nato: "Bisogna che compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno" (Gv 9,3) e che hanno un'eco nelle parole dette dal cieco nato ai giudei: "Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla" (Gv 9,33). Parole che danno risposta all'altra domanda che si rincorre in questo racconto: di dove è Gesù? da dove viene? Lo rivela il suo operare, impasta con la saliva polvere della terra e la spalma sugli occhi del cieco, chiara allusione all'opera creatrice, quando: "Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffio nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" (Gen 2,7). Ecco il Figlio dell'uomo ricrea l'uomo accecato dall'orgoglio alla sola condizione che il peccatore riconosca l'evidenza, cioè d'essere peccatore, confessione che risulta ben più facile al cieco nato che ai vedenti, i quali rischiano, anche se seguaci di Gesù, di restare nel peccato per la pretesa di vedere nonostante la Luce del mondo. Colma di intelligenza spirituale la preghiera quaresimale di sant'Efrem il siro invita a seguire l'esempio del pubblicano che supplica pietà, non quello del fariseo che giudica: "concedimi di veder i miei peccati e di non giudicare il fratello che cade" (cfr. Lc 18).


Sant'Efrem il siro

    Così dalle tenebre interiori che dominano l'anima di chi crede di vedere e nemmeno vede il proprio cuore impuro e peccatore, se confessiamo il nostro status di peccatori, riconoscendo d'essere ciechi, passiamo nel regno della Luce. Questo dice la seconda lettura: "un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore" (Ef 5,8) che termina con un'antica antifona liturgica pasquale che fa da trait-d'union con domenica prossima:

Svegliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e Cristo ti illuminerà.

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