venerdì 4 marzo 2011

Ecclesiologia architettonica 2. Il bello

p. Erich Pryzwara sj

Il secondo punto fermo da fissare concerne il fondamento metafisico della bellezza.
Qualsiasi edificio, sia sacro che profano, sottosta al giudizio estetico, il cui giudizio ha due presupposti:
   1. l'unità dell'architettura, poiché l’insieme degli edifici è unico e non è divisibile sulla base della sua natura sacra o profana
   2. il giudizio estetico è possibile e doveroso sulla base di un criterio oggettivo, identificabile nella nozione metafisica del trascendentale “Bello
   Questi due presupposti sono universali, valgono sempre ed ovunque, poiché hanno fondamento  nelle qualità universali dell’essere di unità e di bellezza, qualità conoscibili non per fede in un’esplicita rivelazione religiosa, ma per la fiducia umana che si deve riporre nella ragione umana, ragione intrinsecamente aperta alla conoscenza dell’essere e delle sue buone qualità.
   
   Il principio che guida l’imperante soggettivismo artistico contemporaneo è così volgarizzabile: non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. Cosicché se a qualcuno piace la disarmonia, l’insensatezza, la menzogna o il male non teme di attribuirvi la qualifica di bello. Di modo che potenzialmente tutto può essere considerato bello, poiché tutto può piacere; ma se tutto è bello, niente lo è, essendo questo giudizio una mancanza di giudizio, una mancanza della capacità di discriminare tra ciò che è bello e ciò che non lo è che può avvenire soltanto sulla base di un criterio oggettivo universale quale il Bello.

Raffaello, particolare della Scuola di Atene

   Criterio dell’estetica è quindi il seguente: è bello ciò che è bello. Ciò che piace può essere bello o brutto, dato che il gusto soggettivo non crea il bello oggettivo, ma può adeguarsi ad esso, amandolo e cercandolo, oppure può odiarlo e fuggirlo, come i maiali che si rotolano compiaciuti nel fango, ai quali il Vangelo ci ordina di non gettare le perle (Mt 7,6). Nell’odierna temperie culturale una certezza va esplicitata e riaffermata: è bello non ciò che piace, ma ciò che è bello, gloria dell’essere, splendore percepito dai sensi umani. Cosicché è lecito e giusto applicare criteri di giudizio universali per giudicare della bellezza degli edifici, anche quelli sacri.
   Non vedo, però, perché limitare alla sola arte sacra il rifiuto dell’arbitrarietà. L’arbitrarietà in sé esprime quel soggettivismo solipsistico che nulla ha da comunicare agli altri, chiuso com’è nell’auto-contemplazione narcisistica. L’arte, viceversa, ha molto da comunicare, anzi non è azzardato affermare che essa è comunicazione, espressione, testimonianza, rivelazione, epifania, manifestazione, tutta protesa a perfezionare la forma che trasmette al meglio lo splendore del vero e del bene, manifestando la suprema armonia dell'essere. Sul fondamento dell’arbitrarietà non c’è vera arte, ne sacra ne profana, ma solamente il gorgoglio annoiato e vuoto di una mente ripiegata su di sé.

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