sabato 5 marzo 2011

Ecclesiologia architettonica 4. l'uomo diventa ciò che contempla

   Il giudizio sull'attuale iconoclastia nelle Chiese occidentali, può sembrare avventato. Infatti da anni vi imperversa la moda delle Icone orientali... che per l'appunto è solo moda (sic!), cosicché il mistero delle Icone resta sigillato.

Duccio di Buoninsegna, Trasfigurazione

   In occasione del XII° centenario del II Concilio di Nicea (878-1987), il patriarca di Costantinopoli  Dimitrios I, scrisse una lettera enciclica sulla teologia delle Icone, nella quale condanna alcune distorsioni: “la loro riduzione a elementi decorativi” apprezzate “solamente come opere d’arte” e la loro riduzione “ad articolo commerciale […] secondo i metodi attuali di riproduzione industriale”(Dimitrios I, Il Concilio di Nicea e la teologia delle Icone, 28).
   L'Occidente secolarizzato, ma assetato di vita spirituale, recupera così le briciole che cadono dalla tavola sontuosamente imbandita dell'Oriente cristiano, usando le Icone come mero "elemento decorativo"; riduzione intollerabile e blasfema per l'Ortodossia, ma già molto per chi come noi ha i sensi stuprati dalle superfici lisce, uniformi e piane, dal (ab)uso monocromatico e unitonale dei colori, ridottoti al bianco asettico o al grigio cemento, dalle forme geometriche semplificate, ridotte a vuoti concetti astrattti o decostruite in omaggio alle mode passeggere del momento. Talvolta nelle fredde e disadorne chiese contemporanee, apparentemente abbandonata e fuori contesto, un'Icona brilla solitaria nella liquida tenebra versata nello scatolone di cemento chiamato chiesa, dando ancora una flebile speranza a chi cerca Dio.
    Quindi il patriarca Dimitrios I riafferma la necessaria compresenza di tre fattori affinché il mistero dell'Icona si realizzi:il pittore che mette in opera il suo soggetto […] la creazione materiale nella sua funzione spirituale particolare […] l’uomo che contempla l’icona il quale diventa simile a ciò che è rappresentato" (Idem, 31).


Michelangelo, Creazione di Adamo, Cappella Sistina
   L'iconografo contempla la Luce increata che brilla sul volto del Cristo e con la sua opera fa emergere dalla materia creata la sua funzione spirituale, Luce che il contemplativo diventa, contemplandola nella rappresentazione scritta dall'iconografo. L'uomo, con la contemplazione: "diventa simile a ciò che è rappresentato". Ciò, purtroppo, accade sempre e comunque, a prescindere da ciò che è rappresentato e da come è rappresentato. Avviene perché l'uomo non è solo ciò che mangia (Feuerbach, Il mistero del sacrificio), ma è anche ciò che vede, come è scritto degli idolatri: "Diventi come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida!" (Sal 114,8).
   La moda dell’Icona esprime da un lato la sete spirituale che imperversa nell’occidente secolarizzato, dall’altro conferma paradossalmente l’incapacità occidentale di contemplare, di risalire dalla realtà visibile all’invisibile, perché nulla è più dato oltre il visibile, dentro il cui stretto orizzonte ci siamo costretti. Nessuno slancio verticale, ne tuffo nelle profondità, solo una dimensione, piatta, noiosa ed uniforme in cui si muore pian piano, se mai si è vissuto. Questa è la caratteristica principale delle chiese contemporanee la riduzione della spazialità al solo piano orizzontale, con la perdita dell’altezza (cupola, volta) e della lunghezza (navata, abside), dato che già da molti secoli è andata perduta la dimensione della profondità (cripta).

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